XV Seminario di Archeoastronomia 13-14 aprile 2013 -Genova Sestri Ponente (report di Marisa Uberti)

 

Sotto l’insegna del primo sole di primavera, quest’anno in ritardo sul calendario meteorologico, si sono svolte le due giornate di studio organizzate dall’ALSSA (Associazione Ligure per lo Sviluppo degli Studi Archeoastronomici), in collaborazione con l’ Osservatorio Astronomico di Genova. La sede del Seminario è stata la sala dell’Università Popolare Sestrese, nella omonima piazzetta situata in zona dolcemente declive del pittoresco borgo di Sestri Ponente,  facente parte del comune di Genova.

I lavori congressuali sono stati aperti sabato 13 aprile intorno alle 9.30 da Giuseppe Veneziano, responsabile della Didattica dell’Astronomia dell’Osservatorio e tra i primi fondatori dell’Alssa, il quale ha fatto un breve resoconto delle attività dell’Associazione, nata nel 1997, due anni prima della SIA (Società Italiana di Archeoastronomia), grazie all’iniziativa di un Comitato Promotore formato da un gruppo di ricercatori aderenti a diverse associazioni quali l’Osservatorio Astronomico di Genova, l’Istituto Internazionale di Studi Liguri, l’Associazione Ligure Astrofili “Polaris” e l’Associazione Astrofili Spezzini. Quei primi quindici ricercatori si sono uniti in libero sodalizio, senza fini di lucro, e oggi sono arrivati ad una quarantina di persone (chi volesse saperne di più può consultare il sito ufficiale dell’Alssa). Dal 1997 si tiene annualmente il Seminario di Archeoastronomia, giunto quest’anno alla quindicesima edizione. Avendo avuto il piacere di presenziare all’evento,  di seguito espongo un breve report di ciascuna relazione rimandando, per gli approfondimenti, agli Atti del Seminario che saranno  prossimamente disponibili sul sito dell’Alssa.

A fondo pagina ho inserito il video con immagini e didascalie che i relatori hanno presentato (la visione integrale del filmato è al link:  https://www.youtube.com/watch?v=Hk6LzTt8fGQ -durata 45 minuti circa).

La prima a prendere la parola è stata l’archeologa Marina De Franceschini con una relazione intitolata “Archeoastronomia nelle Ville Imperiali Romane: la Villa Jovis di Tiberio a Capri”. Tale studio, eseguito per la parte archeoastronomica  in collaborazione con Giuseppe Veneziano, è  stato condotto dalla studiosa sul sito della favolosa Villa Jovis (dal latino Villa di Giove), posta sul promontorio più orientale dell'isola di Capri, in posizione sopraelevata sul Monte Tiberio, con una impareggiabile visuale sul Golfo di Napoli, da ischia fino a Pozzuoli. 

 

                   

Ai tempi della sua fondazione (I sec. d.C.), il complesso architettonico occupava un’area di 7.000 mq e fu voluto dall’imperatore Tiberio, che a Capri possedeva già una dozzina di ville.  Sembra che in questa egli amasse soggiornare in completo relax e fu la sua residenza fissa dal 27 al 37 d.C.   Nella parte settentrionale dell'edificio v'è il quartiere imperiale, dove c'erano le aule private di Tiberio;  nella parte sud-occidentale vi erano gli alloggi della servitù e nella zona orientale era collocata la sala del trono.  Per comunicare con la terraferma, l’imperatore usava una Torre- Faro e un sistema di segnalazioni ottiche e luminose. Il faro, che doveva avere anche funzioni difensive,  fu probabilmente impiegato per le  osservazioni astronomiche (crollò a causa di un sisma poco dopo la morte di Tiberio stesso). L’imperatore si dedicava allo studio del cielo e tra i suoi collaboratori più fidati vi era l'astrologo-astronomo Trasillo.  La Villa era dotata di numerosi ambienti, di cui restano delle cisterne e un Emiciclo, in posizione dominante.  La Villa si elevava per sette piani (l’Emiciclo si trova al sesto); da alcuni studi precedenti (C. Krause, 2005) ottenuti con Google Earth si era visto che, dal centro del corridoio dell’Emiciclo, l’orientamento doveva essere pari ad un azimut di 90° (alba dell’Equinozio).

                     

Per avere la conferma e scoprire il significato simbolico di questo orientamento equinoziale, la d.ssa De Franceschini si è recata sul posto all’alba dell’Equinozio d’Autunno  del 22 settembre 2012 e ha potuto documentare che da quella posizione si vede il sorgere del Sole dal Monte Nuda (in provincia di Salerno, situato a 87 Km in linea d’aria da Capri), ma non perfettamente in asse con il corridoio (87°) e questa è stata una sorpresa.  La particolare disposizione delle nicchie a “V” (ambienti obliqui A e B)– dove forse c’erano delle statue- ha fatto emergere l’ipotesi che essi fossero orientati verso l’alba dei Solstizi, ma le verifiche condotte da Giuseppe Veneziano hanno fatto cadere questa eventualità (mentre è confermato l’orientamento equinoziale). La relatrice ha tenuto a ribadire come la ricerca attraverso i supporti virtuali vada dimostrata sul campo (1).

Il relatore seguente è stato Giorgio Casanova, che ha trasportato l’attenzione del pubblico in sala verso un argomento diverso ma altrettanto affascinante “L’orologio astronomico del Comune di Bologna”. Questo manufatto, appannaggio della Torre d’Accursio, conobbe tre fasi di esecuzione: la prima tra il 1451 e il 1492, la seconda (avvenuta dopo un incendio) dal 1492 al 1550 (in cui una lanterna andò a sostituire il torricino originario), una terza e ultima fase iniziata con i restauri del 1550 e conclusasi nel 1774. Fu poi restaurato nel corso del 1800 ma il carosello meccanico non è oggi più in sede (è custodito nel Museo all’interno del Palazzo Comunale).  A differenza degli altri orologi più o meno coevi, quello di Bologna non aveva lancette e presentava, centralmente, un fuoco centrale e non la Terra,  che era considerata ufficialmente al centro dell’Universo. La presenza del fuoco rientrava nella teoria Pitagorica secondo la quale al centro dell’Universo c’era un fuoco centrale attorno al quale giravano tutti i pianeti. Era un’astronomia “mistica”, quella Pitagorica, basata sui numeri (la tetrade pitagorica); in particolare fu Filolao (470 – 390 a.C.) – un seguace del Pitagorismo - che approdò alla conoscenza del ruolo marginale della terra nel sistema solare, attribuendo la massima importanza al "fuoco centrale",  o Hestia, ovvero la sede di Zeus, centro dell'attività cosmica. Egli infatti sosteneva che  al centro dell'universo vi fosse un grande Fuoco centrale ove vi ruotavano dieci corpi: la Terra, l'Antiterra, la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno, e il cielo delle stelle fisse interpretato come un fuoco esterno. I dieci corpi si trovavano lontani dal Fuoco centrale secondo distanze proporzionali a fattori del numero 3, un numero ritenuto sacro dai pitagorici. Nel 1451, probabilmente sulla scia di un ritorno alle antiche conoscenze della Tradizione Pitagorica (in antitesi con quelle Aristoteliche), il cardinale Bessarione volle far costruire l’orologio meccanico di Bologna,  quando si decise di dotare la città di un tale manufatto. Attorno al fuoco centrale una ghiera circolare riportava i segni zodiacali; attorno a questa c’era un’altra ghiera con elementi non determinati (2); nella ghiera più esterna e più grande erano riportate le ore in numeri romani (da I a XXIIII). Esternamente al quadrante c’erano quattro tondi in cui erano dipinti gli apostoli. Due figure, forse angeliche, erano situate ai lati, con la mano poggiante sul quadrante, imprimendo l’idea di movimento (del resto il tempo scorre ciclicamente come la ruota).  Il grande Copernico (1473- 1543) vide quotidianamente questo orologio, perché studiò all’Università di Bologna. Chissà, forse quell’orologio ispirò la sua teoria sull’eliocentrismo...

                           

Giuseppe Veneziano è stato il terzo relatore della mattinata, presentando i suoi studi sugli “Effetti della rotazione terrestre sulla previsione dei fenomeni celesti (sulla presunta eclisse del Monte Bego)”. La tematica è stata sviscerata in maniera molto esaustiva dal ricercatore e mi spiace doverla condensare ai minimi termini in questo report. Nel risalire ai fenomeni celesti accaduti in un passato remoto bisogna porre molta attenzione ai programmi virtuali a disposizione degli studiosi, ha sostenuto Veneziano, perché non tutti hanno la stessa attendibilità ma gli studiosi stessi – nelle loro indagini - devono tenere conto di alcuni aspetti che la scienza archeoastronomica impone per la sua complessa natura. Lo spunto alla sua trattazione è derivato al relatore dalla partecipazione al Convegno francese di Tende del settembre 2012, tenutosi  presso il Musée Dèpartmentel des Merveilles, il cui tema era incentrato sulle rappresentazioni di astri, ammassi stellari e costellazioni nella preistoria e nell’antichità. In quell’occasione la studiosa Chantal Jegues-Wolkiewiez ha proposto una interpretazione personale di un curioso petroglifo inciso su una roccia a 2470 m di altitudine, sul Monte Bego, nella Valle delle Meraviglie, detto “l’uomo con le braccia a zig-zag” (catalogato con la sigla Z IV, G III, R 16D).  E' bene ricordare che 'interpretazione ufficiale o classica è che si possa trattare di una divinità associata al fulmine (vedi immagine sottostante):

                                

La latitudine a cui si trova la roccia è= 44° 04’02” Nord, la longitudine è= 7° 26’ 02” Est, l’Azimut è=90°, l’inclinazione della roccia è=24°. La datazione del petroglifo oscilla tra l’Età del Rame (3.000- 2.200 a.C.)e il Bronzo Antico (2.200- 1.800 a.C.). Secondo la Jegues-Wolkiewiez l’anonimo incisore rupestre immortalò un’eclisse anulare di Sole avvenuta nella prima mattinata del 10 ottobre 1718 a.C. (che per gli astronomi corrisponde al – 1717, per una questione di “notazione astronomica” la quale, in estrema sintesi, usa un numero negativo che, in valore assoluto, è minore di uno rispetto alla notazione usata dagli storici), con tanto di protuberanze e di ombra proiettata sulla Terra. A quel tempo, secondo la studiosa, l’Equinozio d’Autunno avveniva il 9 ottobre, perciò un eclisse anulare in quel frangente avrebbe avuto un significato del tutto particolare per la popolazione stanziata in loco; per eternarlo, il fenomeno sarebbe stato scolpito sulla roccia. A sostegno della propria tesi, la studiosa aveva portato al citato Convegno una serie di elaborazioni grafiche, oltre a proprie spiegazioni dei singoli dettagli che compongono la raffigurazione rupestre.

                              

 

Giuseppe Veneziano, pur stimando profondamente la Jegues-Wolkiewiez per il suo intenso lavoro di antropologa ed etno-astronoma, ha sentito la necessità di approfondire la questione, che lo ha convinto poco fin nell’immediatezza. Al termine di un corposo lavoro di analisi dei dati (3) egli ha potuto concludere che ciò che la Jegues-Wolkiewiez ritiene di aver individuato nel petroglifo in oggetto, non regge per almeno tre principali motivi:

  • L’impossibilità dell’occhio umano di cogliere i dettagli di una eclisse anulare di Sole, in cui la nostra stella non viene mai completamente oscurata e la luminosità residua è molto elevata
  • Gli algoritmi del software utilizzato dalla ricercatrice non hanno tenuto conto del graduale rallentamento della rotazione terrestre (ΔT) causato dalle maree sollevate dalla Luna e dal Sole. Questo ha prodotto un sostanziale errore di latitudine, tanto che l’eclisse è avvenuta in pieno Oceano Pacifico e non sul Monte Bego
  • Un eventuale osservatore su detto Monte non avrebbe mai potuto osservare l’eclisse, né tantomeno la sua ombra prodotta sulla Terra, poiché il luogo era posto all’esterno della fascia percorsa dalla penombra, che è la sola a raggiungere la superficie terrestre durante il fenomeno di un’eclisse anulare di Sole.

 

L’intervento successivo è stato quello del giovane ricercatore Alessio Miglietta, che ha presentato una relazione dal titolo “L’Età del Mondo. Il sistema cronologico newtniano tra astronomia, archeologia ed esegesi”. L’intenzione dell’esposizione è stata quella di tentare una rivalutazione di un’opera postuma del grande Isaac Newton (1642-1727), Chronology of Ancient Kingdom amended (Cronologia emendata degli Antichi Regni) pubblicata a Londra nel 1728. Ad essa lo scienziato aveva dedicato molte delle energie degli ultimi anni della propria vita, quando probabilmente aveva accumulato una conoscenza molto elevata e si era relazionato con diverse discipline, oltre a quelle “ufficiali”:  l’alchimia e la scienza ermetica, la teologia e l’esegesi biblica, interpretazione delle profezie, l’economia, la filosofia naturale, la tecnica, nel complesso tentativo di individuare più correttamente possibile l’origine e il senso di ogni cosa: il principio divino e il suo linguaggio. Per il suo contenuto considerato “di tedio infinito”, uno dei maggiori biografi di Newton (R. Westfall) la definì  senza alcun fondamento, in grado di suscitare l’interesse di un ristretto gruppo di persone “capaci di appassionarsi per la data della spedizione degli Argonauti”. L’opera ricevette molte critiche e fu  categorizzata come uno degli studi occulti di Newton e, in breve, cadde nell’oblìo. Newton scrisse molto ma pubblicò –in confronto- molto poco. Nell’opera sulla Cronologia Newton affrontò un cruciale e dibattuto tema del suo tempo: la supremazia delle Scritture (cioè la cronologia sacra) sugli altri sistemi cronologici adottati dalle antiche civiltà. Per sostenere questo assunto, egli utilizzò confutazioni, analisi di fonti letterarie,  testimonianze archeologiche disponibili a quel tempo, ma introdusse anche un nuovo metodo: la datazione attraverso la precessione degli Equinozi, primo tentativo nella storia.

                                  

L’ultimo relatore della mattinata è stato Luigi Torlai, dell’ Associazione Tages (Pitigliano), che ha presentato un interessante argomento “Poggio Rota: il “bastone Equinoziale”. Il relatore è partito da una premessa: dall’allineamento dell’asse di un sito mediante l’ombra generata da un bastone verticale è possibile rilevare se l’edificazione del sito stesso sia stata realizzata durante l’Equinozio; in tale data- trovandosi il Sole a 45° di azimut –la lunghezza dell’ombra del bastone è uguale alla sua altezza e la direzione dell’ombra del bastone individua sul terreno un orientamento univoco, che non si ripete cioè in nessun’altra data dell’anno.

                             

L’estremità dell’ombra di un’asta (verticale o obliqua) agli Equinozi diventa una retta; in qualsiasi altro periodo dell’anno essa disegna delle linee curve (v. cerchio di Ipparco). Detto questo, Torlai ha illustrato cosa è stato scoperto nel sito di Poggio Rota, che sorge ad una latitudine=42° 36’ 09” Nord e ad una longitudine=11°35’59” Est; è un poggio  tufaceo davanti al fiume Fiora, nella campagna di Pitigliano (GR), e fu scoperto nel 2004 da Giovanni Feo. In seguito è stato studiato dal punto di vista archeoastronomico (4) e  geologico e gli esperti hanno concluso che si tratti di un complesso sacro utilizzato come osservatorio astronomico, probabilmente dalla cosiddetta “Cultura di Rinaldone”, collocabile intorno al III millennio a.C.  Da un unico banco di roccia vulcanica sarebbero stati tagliati (dall’alto verso il basso) e ricavati dieci grandi monoliti contenenti una serie di canaletti e incisioni, alcuni fatti dall’uomo, altri di probabile origine naturale.  I monoliti risultano separati da stretti passaggi a corridoio, dove i raggi solari filtrano in determinati momenti dell’anno. Analizzando il masso n.8 è stata notata una fenditura che avrebbe potuto accogliere un “bastone equinoziale” (“mirino equinoziale”), per cui l’ipotesi andava verificata e il 2 settembre 2011 il gruppo di studio si è recato in loco per eseguire le opportune misurazioni strumentali. 

      

L’azimut ricavato è stato di 204° alle ore 14.10, valore che, confrontato con il taglio del masso (che va dal meridiano, 180°) dà un angolo di 24° (=obliquità dell’eclittica).  I valori ricavati fanno ritenere che non siano casuali, ma che anticamente il masso n.8 sia stato utilizzato per determinare il tramonto del Sole al Solstizio estivo verso il Monte Nero (az.303°).

  • Al termine dell’esposizione del dr. Torlai, si è effettuata la conviviale pausa per il pranzo, in cui si è potuta apprezzare anche l’ottima performance culinaria degli attivissimi archeoastronomi, che colgo occasione per ringraziare pubblicamente.

La sessione pomeridiana è stata aperta da Mauro Peppino Zedda che ha tenuto una conferenza dal titolo “Tracce di un antico osservatorio dei Liguri-Apuani in Garfagnana”.  Tale studio è stato preventivamente inserito in un libro scritto dal relatore,  in cui lo stesso ha raccolto le proprie osservazioni partite da una visita al duomo di Barga o Collegiata di San Cristoforo (5), in provincia di Lucca, dal piazzale del quale si ha una splendida visuale sul cosiddetto Monte Forato, caratterizzato da un curioso foro nella roccia. Tale Monte ha la caratteristica di ricordare la forma di un volto d’uomo adagiato (Omo disteso), i cui “lineamenti” sono costituiti dai rilievi ondulati della montagna stessa.  L’Omo ha la bocca aperta, data dal foro che dà il nome al Monte, e che è in realtà un arco naturale di roccia di trenta metri. Questa montagna  ha probabilmente rappresentato, per gli antichi abitatori della zona qui stanziati, un preciso punto di osservazione di alcuni fenomeni astronomici. La cosa interessante è che lo Zedda ha preso in considerazione tre edifici sacri cristiani dislocati tutti in faccia al Monte Forato (il duomo di Barga,  la chiesa di San Frediano a Sommocolonia e la chiesa di San Michele a Perpoli ), riscontrando delle correlazioni archeoastronomiche degne di attenzione e sicuramente da approfondire.  Questi tre edifici furono costruiti su siti che in epoca preistorica erano luoghi di osservazione astronomica. Zedda ha eseguito delle misurazioni che gli hanno consentito di notare che l’asse di orientamento del duomo di Barga coincide con il mento dell’Omo disteso e con lo stipite dell’ingresso (decentrato rispetto alla facciata). Prendendo in esame, poi,  la chiesa di San Frediano, lo Zedda ha notato che anche l’asse di orientamento di quell’edificio coincide con il mento dell’Omo disteso. Lo studioso ha calcolato l’orientamento, in  azimut, del Monte Forato rispetto alla chiesa di San Frediano, unitamente all’orientamento in Declinazione e, in una data prossima al Solstizio invernale (il 26 dicembre del 2011), ha osservato che dal piazzale antistante la chiesa si vede il Sole tramontare proprio dietro l’Omo disteso.  Il giorno seguente lo studioso ha potuto rilevare che da una stretta feritoia dei ruderi della Torre medievale di Sommocolonia, vicina a San Frediano, si vede lo stesso identico fenomeno.  Va ricordato che l’apertura da cui è possibile osservare l’evento è veramente stretta, eppure da quella fessura si traguarda il Monte Forato. Un caso? Zedda ha proceduto alle stesse misurazioni degli orientamenti in azimut e di Declinazione del Monte Forato rispetto al Duomo di Barga, ma ha anche preso in esame un’altra altura poco distante, il Monte Palodina; dal piazzale antistante il duomo ha delineato l’arco di orizzonte in cui tramonta la Luna nel lunistizio meridionale, il lunistizio maggiore coincide con la cima del Palodina e quello minore con la fronte dell’Omo disteso.  L'orientamento del duomo di Barga (unitamente alla sua ubicazione) sul lunistizio minore meridionale si associa ad una "coincidenza": la declinazione della stella Sirio coincide con quella della luna al lunisitizio minore attorno al 2.000 a.C.  Un eventuale osservazione del fenomeno avrebbe richiesto la presenza di un popolo prima di tale data. Una ulteriore curiosità è data dal fatto che il duomo o Collegiata è dedicato a san Cristoforo, un santo che, sincretisticamente, è collegato a divinità pre-cristiane legate a Sirio. Nella foto sottostante, indicazione dei punti in cui tramontava Sirio nelle diverse epoche, osservati dal sito dove sorge il duomo di Barga.

 

                      

 

Misurazioni degli orientamenti in azimut e in di Declinazione lunare del Monte Forato sono stati eseguiti dal relatore anche rispetto alla chiesa di San Michele a Perpoli,  che è in relazione col tramonto della luna sulla fronte dell’Omo disteso al lunistizio maggiore meridionale. Un’ultima costruzione è stata presa in esame: la chiesa dei  SS. Pietro e Paolo a Fiattone, che “guarda” al tramonto di Venere. Maggiori approfondimenti sono contenuti nel libro del ricercatore (“Monte Forato e il Duomo di Barga - Tracce di un Antico Osservatorio dei Liguri Apuani”, Agorà nuragica, Cagliari, 2012), il quale ha sottolineato la necessità di riunire gli sforzi di più discipline per trovare le necessarie conferme di una presenza preistorica di un popolo di “osservatori” dei fenomeni astronomici in quest’area.                                                                         

                               

C’è stata una defezione, per motivi personali, di uno dei conferenzieri previsti, quindi si è data la parola ad Ettore Bianchi, che ha esposto una elaborata ricerca intitolata “Il Sol dell’Avvenire nell’utopia di Aristonico (II sec. a.C.)”, portando il pubblico in una zona bollente di eventi sanguinosi che si consumarono dal 133 al 129 a.C. nel regno di Pergamo, situato a quel tempo nella porzione occidentale dell’attuale Turchia. E’ qui che si svolse la cosiddetta “rivolta di Aristonico”, che sconvolse l’Asia Minore e che costituì la premessa per il dominio romano nell’area, dando origine al primo embrione della futura provincia d’Asia.  Chi era Aristonico? Il suo nome greco era Aristónikos,  latinizzato Aristonīcus ed è considerato (a torto o ragione) il figlio naturale di Eumene II re di Pergamo. Quando il fratellastro Attalo III (133 a. C.) morì, il giovane Aristonico impugnò il testamento che faceva dei Romani gli eredi del regno e si proclamò re con il nome di Eumene III.  Dopo la sconfitta navale a Cuma, secondo Strabone si sarebbe rifugitato nelle zone interne della Misia e della valle del Caico per preparare la rivolta contro Roma, alla quale parteciparono le classi meno abbienti della popolazione.  Aristonico si fregiava della collaborazione del filosofo Blossio di Cuma, e il suo programma sociale era volto all’eguaglianza umana (per questo piaceva ai poveri e agli schiavi). I suoi seguaci presero l'appellativo di Eliopoliti (Heliopolitae) ossia “Cittadini del Sole”, dando ad intendere che, nella comunità dell’avvenire benedetta dal dio Apollo, non ci sarebbero state caste né diseguaglianze, ma tutti sarebbero stati tra loro fratelli, solleciti l’uno per l’altro. Per questo si parla di…utopia! Quando mai una società potrà essere così? Gli avversari di Aristonico chiaramente osteggiavano il suo progetto politico-sociale-religioso e profetizzavano una orribile “Città degli Schiavi”. Il relatore ha esposto in modo molto particolareggiato eventi e risvolti filosofici caratterizzanti la figura di Aristonico, alla luce di quanto la dotta letteratura ha fatto pervenire fino a noi. Che l’uomo fosse animato da una vena di stoicismo radicale pare fuori di dubbio, per Bianchi, il quale ha tenuto a chiarire una credenza visionaria:  Aristonico era certo che gli sarebbe comparso in cielo un segnale, rappresentato dal Sole, secondo il quale sarebbe avrebbe capito il momento più opportuo per stabilire una nuova e riconciliata Umanità. Ma doveva trattarsi di qualcosa di veramente grandioso, un fenomeno di portata eccezionale connesso al Sole, un mutamento nella configurazione complessiva delle stelle e dei pianeti.  Cosa accadde, dunque, nel 133 a.C., per spingere Aristonico a decretare che il “momento” fosse arrivato? Il Bianchi, coadiuvato da Mario Codebò, ha cercato la configurazione celeste ai tempi di Aristonico (programma Cyber Sky), ricavando la posizione esatta del Sole nascente all’Equinozio di Primavera del 135 a.C. e la sua distanza apparente dalle posizioni di due stelle particolari, Gamma-Arietis o Mesarthim, l’ultima luce brillante connessa al gruppo dell’Ariete,  e Omicron-Piscium, il primo punto luminoso che l’eclittica incontra sopra uno dei due bracci che definiscono la figura dei Pesci.  In estrema sintesi a quel tempo,  anche ad occhio nudo si poteva vedere che il Sole - all’Equinozio di Primavera -aveva cessato di stagliarsi contro la costellazione dell’Ariete (com’era stato per due o tremila anni precedenti), e mostrava di spostarsi con ritmo lento ma inesorabile, verso la casa zodiacale dei Pesci (per il fenomeno Precessionale). In questa configurazione celeste Aristonico e i suoi seguaci individuavano l’abbandono di una tragica età del ferro, di miserie e ingiustizie, e il passaggio ad una più positiva età dell’oro, decretata dal volere di Apollo e degli altri dei: l’avvento della “Città del Sole”. Le cose non andarono come sperate e Aristonico, vinto e catturato dal successore di costui, M. Perperna (130 a. C.), fu inviato a Roma dove fu ucciso. Ma non morirono le sue idee: la prefigurazione di un Sole di Giustizia comportò un crescente prestigio delle divinità solari anche nelle classi dominanti greco-romane e continuò ad avere un’influenza notevolissima sulle menti e sui cuori delle popolazioni più povere e oppresse del Vicino Oriente. Una parte di costoro si rivolse al culto iranico di Mithra (la cui prima attestazione nell’Anatolia centrale risale al 60 circa a.C.); ma l’ispirazione del sogno eliopolitico di Aristonico lo si ritrova anche nel Cristianesimo millenaristico delle origini.

                          

Dopo questa bellissima relazione, che ho dovuto necessariamente condensare, la parola è passata a Luigi Felolo (Istituto Internazionale di Studi Liguri), che ha parlato della “Dag Rune”, la “Runa del giorno” e altre quattro.  Le Rune, secondo l’esperto si saghe germaniche A. Kruse, erano conosciute in Scandinavia a partire almeno dal II sec. d.C. in numero di 24. Questa serie di lettere  era detta "fuþark" (dove il segno þ corrisponde al suono th dell'inglese think), dalla sequenza dei primi 6 segni che lo compongono (*Fehu, *Uruz, *Þurisaz, *Ansuz, *Raido, *Kaunan), era l'alfabeto segnico usato dalle antiche popolazioni germaniche. Queste lettere erano impiegate non per lunghi testi ma venivano incise su armi, ornamenti, pareti rocciose, pietre tombali e commemorative.  Oltre al carattere pratico e quotidiano, le lettere incise potevano assumere un valore magico o religioso. Se ogni runa corrispondeva ad un determinato suono, aveva un suo preciso significato (per esempio, la runa “TI”, derivante dal nome del dio Tiwaz, se incisa sulle armi, ne aumentava la potenza).  L’origine delle rune non è in realtà certa; i Germani, tramite i contatti con i Romani, conobbero probabilmente l’alfabeto usato in ambito alpino (Nord-Etrusco), che si pensa possa aver dato origine all’alfabeto runico. Dopo aver mostrato diversi esempi di oggetti e pietre recanti incisioni runiche europee, il relatore si è soffermato su cinque rune in particolare: la D (giorno chiaro), la F (bestiame, ricchezza), la NG (fecondità), la T (fama, onore, fedeltà), e la Z (protezione, difesa).

                                    

Secondo Felolo, la runa D o runa del giorno potrebbe essere associata alla figura “a clessidra” incisa su una grande roccia del Monte Beigua (Appennino Ligure), che avrebbe una valenza archeoastronomica: le linee oblique vi potrebbero simboleggiare le direzioni di albe e tramonti solstiziali, la linea orizzontale la direzione di albe e tramonti equinoziali, le linee verticali la direzione meridiana. Altri esempi sono mostrati nelle seguenti immagini:

                       

Sono stati mostrati poi ulteriori esempi di possibili caratteri runici, classificati tuttavia con altro significato: 

  • nell’area del Finalese (una probabile F all’esterno del  Riparo dei Buoi, presso Ciappo de Cunche; la T, trasformata in balestriforme, presso Arma della Moretta)
  •  nella Lunigiana (la Z sottoforma di orante inciso su una parete interna della grotta di Diana a Canossa, Villafranca in Lunigiana)
  • Sul Monte Beigua (probabile NG o losanga, simbolo di fertilità)

Naturalmente quelli presentati sono soltanto degli esempi rappresentativi di un fenomeno incisorio ben più ampio, interessante tutta l’Europa e che merita di essere maggiormente  approfondito e compreso.

  • Il primo giorno di conferenze si è concluso con le domande del pubblico e con scambi di opinioni tra ricercatori di diversa provenienza e disciplina, con l’efficiente Giuseppe Veneziano che ha congedato piacevolmente il pubblico,  ringraziandolo e dando appuntamento per la mattina successiva.

 

Domenica 14 aprile alle 9.20 circa i lavori congressuali sono stati riaperti e dopo la presentazione di rito, è stata data la parola a Paolo Pietrapiana con la sua relazione “Campi di piramidi e costellazioni del piano galattico”.  L’Egitto specchio del Cielo, questo pensavano gli antichi abitatori del Nilo della loro terra e per realizzare al suolo quanto brillava nella volta celeste, dimora degli dei immortali, realizzarono forse il più immenso progetto della storia.  Non solo le tre piramidi della piana di Giza, secondo il relatore, sarebbero in correlazione con le tre stelle della Cintura di Orione (come Robert  Bauval teorizzò diversi anni or sono), ma tutte le piramidi sulla sponda occidentale del Nilo –da Abu Rawash a nord della piana di Giza e sino al distretto meridionale di Dashur -  per un tragitto di almeno 33 chilometri, hanno un corrispettivo celeste.  In Cielo splende la Via Lattea, lungo serpentone che in terra era associato al fiume Nilo, la benedizione dell’Egitto. Il deserto orientale ed occidentale appaiono come le sue sponde; se le piramidi sono paragonabili a stelle, il loro raggrupparsi identifica allora le costellazioni lungo quella riva del fiume celeste in cui è presente anche la costellazione di Orione. In questa porzione della volta stellata si trovano però altre importanti costellazioni come quella del Cane Maggiore, quella del Toro, Andromeda, Pegaso, Aquila, Delfino, Sagittario.  Lo studioso ha analizzato in dettaglio le correlazione tra i “campi di piramidi” della piana di Saqquara e le costellazioni di Andromeda e Pegaso.  Dall’esposizione sono emerse sorprendenti corrispondenze che –se venissero confermate soprattutto dagli scavi archeologici per quegli edifici che mancherebbero all’appello (per completare la “mappa celeste” in terra) – potrebbero sottintendere un progetto architettonico globale, durato un migliaio di anni e fondato su precisi intenti sacri o religiosi. Hanno arricchito la relazione delle splendide immagini.

                         

Il giovane ricercatore Stefano Carboni si è avvicendato al relatore precedente riportandoci in Italia, nel Casentino, zona che nel I millennio a.C. era sotto l’influenza di popolazioni etrusche, italiche, celtiche e liguri (secondo Plinio e Polibio).  Il territorio era anche caratterizzato dalla presenza di culture agro-pastoriali transumanti. Di questa affermazione è bene tenerne conto, andando a presentare l’argomento proposto dallo studioso, intitolato “Il Sasso del Regio: un calendario luni-solare?”.  Il manufatto è collocato in un punto sopraelevato,  al culmine di un pendio terrazzato con muri a secco che raggiungono 4 m di altezza costituito da blocchi poligonali delle dimensioni di 0,5 – 1 m di lato. Nei pressi  del manufatto, inoltre, si trovano diverse presenze architettoniche di epoche diverse: i ruderi di un insediamento tardo-romano (IV-V sec. d.C.), il Santuario di Santa Maria delle Grazie (XV secolo), una Casa colonica con annessa una Fonte sacra (“galattofora”) e una strada di transumanza trans-appenninica (dal Monte Falterona alle sorgenti  del fiume Arno, che scorre inferiormente alla collina). E’ indicativo come in una zona ritenuta anticamente sacra per la presenza della fonte naturale “galattofora”, si sia impiantato un edificio di culto cristiano in cui è venerata una Madonna del Latte (sincretismo religioso spessissimo incontrato anche da chi scrive). Il “Sasso del Regio” è un blocco litico su cui sono state eseguite diverse incisioni, come da figura sottostante:

                      

Cercando di dare un’interpretazione ai soggetti incisi, il relatore ha ipotizzato che ci si trovi dinnanzi ad un campo semantico riconducibile alla fertilità e alla fecondità, al ciclo della natura morte-rinascita, probabile un’attinenza con divinità “tutelari” della fonte sacra. L’interesse maggiore è stato diretto verso la curiosa nicchia (interpretata come un utero materno), ed eseguendo le misurazioni degli orientamenti astronomici è stato possibile determinare che essa è allineata con il punto occaso solstiziale solare: al Solstizio invernale, il Sole è nell’utero. Simbolismo profondamente significativo! Sul “Sasso” sono presenti 48 coppelle suddivise in 8 barre verticali più 1 curva (costituiscono un “ciclo chiuso”). Il numero 48 potrebbe riferirsi al numero di fasi lunari in un anno solare. Si tratta, per il Carboni, di una parapegma. L’idea che ne deriverebbe potrebbe ricondursi ad una sorta di calendario lunare “rifasato” con quello solare mediante l’osservazione del Solstizio d’inverno. Una ipotesi correlata vede nel manufatto una simbologia affine a quella Celtica o comunque a culture agro-pastorali. La disposizione delle barre verticali, ripartite da un lato e dall’altro della nicchia-utero, potrebbe anche indicare che chi lo ha realizzato si riferisse a due stagioni, l’una luminosa (sulla base della levata eliaca di alcune specifiche stelle come Betelgeuse, Sirio e Arturo e al tramonto di altre come Antares) e l’altra oscura. Lo studioso, dall’analisi della sequenza delle coppelle sulle barre verticali, ha notato anche una affinità con il calendario Numano. Comunque il suo è stato un ben più ampio lavoro rispetto a quanto ho qui condensato; spero comunque che serva da stimolo per ulteriori approfondimenti e auspicabili indagini archeologiche, anche per tentare di fornire una datazione all’enigmatico reperto che, al momento, non ha età.

                    

Gaudenzio Ragazzi ha avuto il compito di ridestarci dai segreti che il Sasso casentino ha portato con sé, e ci ha spronato a passo di…danza. La sua conferenza, infatti, ha avuto per titolo “Iconografia preistorica e Coreutica: la Danza alle porte del Cosmo”.  Il ricercatore ha esordito affermando che, nonostante l’elaborazione di un’efficace metodo interdisciplinare, lo studio del gesto e della danza non ha goduto fino ad oggi gli stessi sviluppi delle indagini condotte su altre classi di rappresentazioni (corpus di immagini) incise nell’antichità. Anche i testi di storia della danza offrono ben poco spazio alle manifestazioni coreutiche dell’Europa pre/protostorica. I motivi sono diversi e non imputabili alla scarsità di dati; sembra doveroso considerare in questa sede almeno due aspetti (tra i molti elencati dal Ragazzi):

-la questione del “senso” del rappresentare il gesto e la danza

-una volta elaborata una teoria della danza preistorica, si pone il quesito sul valore conoscitivo, sul livello di “scientificità” attribuibile alle interpretazioni degli studiosi.

Pare, in estrema sintesi, che occuparsi dell’argomento ponga seri problemi all’accademismo poiché trovare una spiegazione scientifica al motivo della danza non è cosa da poco.

Nella danza ritroviamo due principali elementi di base; la funzione sociale e quella magico-simbolica (“interazione cosmica”). Quando un individuo si unisce ad un insieme di persone e iniziano un ritmico movimento, la percezione del sé –inizialmente forte- lascia il posto alla percezione di essere un tutt’uno per entrare a far parte di un ingranaggio, un perfetto meccanismo umano che è l’insieme danzante. Ne deriva un accordo, un’armonia tra danzatori che comporta un radicato senso di coesione sociale e di appartenenza difficilmente riscontrabile in altri movimenti collettivi. Secondo il relatore, il seguire determinate geometrie e movimenti ritmici ricalca il ciclico fluire degli elementi della Natura, per tale ragione danzare diviene- in tale ottica- un fenomeno naturale, dunque con connotazioni sacre. Attraverso il movimento della danza sacra, l’uomo poteva anche dominare gli elementi e gli eventi, ingraziarsi le divinità, propiziarsi la pioggia o il soleggiamento, le guarigioni,  le vittorie sui nemici,  aiutare il viaggio del defunto, come dimostrano alcune iconografie che sono state presentate dal relatore, il quale ha messo l’accento anche sull’importanza della durata della danza, poiché essa non può durare per sempre: l’energia prodotta si esaurisce nel tempo e poco alla volta si riducono i benefici che la comunità si attende di ricevere. Sarà questo che ha indotto l’uomo arcaico ha rappresentare il rito? Se, infatti, il rito agito raggiungeva il suo scopo, che bisogno c’era di rappresentarlo? Probabilmente, per prolungarne (fino ad eternarne) l’effetto. 

                        

Estremamente interessante, a giudizio di chi scrive, è stato l’aver portato all’attenzione il valore soprannaturale delle iconografie incise sulla roccia, per il loro perdurare nel tempo. Lo studioso di arte rupestre dei Boscimani del Kalahari,  J. David Lewis Williams, ha potuto verificare di persona (interrogando gli ultimi artisti boscimani) che per loro la superficie della roccia è concepita come un velo, una sottile pellicola che separa il mondo umano da quello sottostante ritenuto la sede degli spiriti della terra. Chi incide, dunque, opera a contatto con entità invisibili che egli solo riesce a percepire, come vedesse l’anima della roccia stessa. Ciò spiegherebbe anche la ragione per cui gli artisti rupestri hanno scelto sempre determinate rocce e non altre: nella mentalità arcaica le regioni del cosmo non erano entità separate ma l’espressione di un’unica manifestazione. I flussi di energia e le entità periodicamente attraversavano i registri cosmici (cielo, terra e mondo infero) con esito talvolta positivo e tal’altra negativo per la vita umana. I punti dove questi trapassi si verificavano (“rotture di livello”) erano ritenuti luoghi di manifestazione del sacro, ossia ierofanie. Qui venivano eseguite le liturgie e, più spesso, le incisioni. Un altro aspetto degno tra i tantissimi che il Ragazzi ha proposto è l’idea del “centro” presso le popolazioni antiche (“omphalos” per i greci, “mundus” per i Romani),  ma anche in quelle ancora più arcaiche che, al centro dello spazio sacro, ponevano un totem. Molte scene di danza sono organizzate attorno ad un centro. L’immagine sottostante mostra una danza attorno ad un elemento geometrico: un cerchio (simbolo del Cielo) attraversato da due croci, una ortogonale e una diagonale, che formano una ruota simbolica, esprimendo l’orientamento rispetto al sorgere e al tramontare del Sole all’orizzonte nei momenti principali dell’anno, il Solstizio e l’Equinozio.

 

Rappresentazione risalente al 3.000 a.C. che mostra una danza circolare su due linee compiuta intorno ad un simbolo geometrico, rinvenuta lungo il corso del fiume Geravshan, in Tagikistan (M. Ksica, 1974)

 

Numerose danze “moderne” affondano le loro radici nella protostoria, con ogni probabilità; un esempio è quello della danza popolare che fino a pochi anni fa le fanciulle di Plonéour-Lanvern (Finistère) eseguivano attorno ad un monolite realizzato alla fine dell’Età del Ferro, che fungeva da asse cosmico.

Spiace dover condensare questa lunga esposizione, ma il Ragazzi sta per pubblicare un apposito studio sull’argomento, dunque a breve sarà disponibile integralmente.

 

La misurazione archeoastronomica dei ruderi della chiesa di Santo Stefano a Isola del Cantone (GE)” è stato il titolo della relazione che è seguita, di Henry De Santis (Archeoastronomia Ligustica) e Sergio Pedemonte. (ma presentata da Giuseppe Veneziano per defezione dei ricercatori). L’analisi dei due studiosi è stata rivolta a questo edificio, situato sulla sponda destra del fiume Scrivia, sul terrazzamento più antico del torrente, ad un’altitudine di 370 m. Il paese che conosciamo oggi, un tempo non esisteva; si ritiene che la chiesa di S. Stefano fosse la prima costruita a Isola del Cantone e potrebbe risalire ad un’epoca antecedente il XII secolo, ma perse d’importanza quando i Benedettini- alla fine del XII secolo- costruirono la chiesa di San Michele sulla sponda opposta del fiume. L’edificio era comunque ancora in auge nel 1600, quando venne restaurato ed è citato nelle visite pastorali fino al 1787. Dopo di che probabilmente cadde nell’oblìo e venne ricoperto dalla vegetazione; nelle operazioni di ripulitura, nel 1986, venne trovata un’ascia neolitica riutilizzata nella muratura e tegoloni romani. Sono state eseguite le misure astronomiche dell’asse centrale della chiesa e si è potuto vedere che essa era orientata, quasi esattamente, sull’asse Est-Ovest tuttavia, sull’orizzonte visibile, antistante entrambe le direzioni, sono presenti le montagne che elevano la sky-line per circa 7-8 gradi. Un tale orientamento, se non è casuale, può essere ottenuto solo con l’uso di tecniche “strumentali” quali il cerchio indiano o, più semplicemente, con uno “gnomone” infisso verticalmente nel terreno al culminare del Sole al mezzogiorno vero. Questa osservazione dovrà essere ulteriormente approfondita.

                   

 

Il dr. Enrico Calzolari (Alssa) ha preso quindi la parola per tenere la propria esposizione avente come tema “Per un progetto di Parco di paleo-archeoastronomia nel promontorio del Caprione (SP)”, in cui sono stati evidenziati e resi noti numerosissimi siti che, a detta del relatore, dovrebbero rientrare sotto la tutela di un apposito Parco  culturale delle Valenze del promontorio del Caprione e del Corvo.  Tali siti sono stati individuati e ripartiti dallo studioso in base ad un ordine cronologico e tipologico come segue:

  1. Preistoria:
    1. I siti di Cassiopea =  Canaa Granda (Arcola) San Lorenzo, Campo de Già, Cattafossi, Combara (Lerici)
    2. la farfalla di luce
    3. il sito di Scornia (Lerici)
    4. il sito di Codina  (Lerici)  (dolmen con selci)
  2. Protostoria:
    1. la statua stele di Lerici (Codina di Lerici)
    2. le tombe liguri del Cafaggio (Ameglia)
    3. le macine a remo del Caprione e di Lunigiana
    4. il nemeton di Sorgentia (Ameglia)
    5. i cavanei  
  3. Romanità:
    1. la villa romana di Bocca di Magra  (Ameglia)
    2. la cisterna romana di Senzano e i relativi contrafforti (Lerici);
    3. il sito di Carbognano (Lerici);
    4. l’Orto Magno di Pugliola (Lerici);
    5. l’Angelo di Bocca di Magra (angulus ora scomparso) (Ameglia)
  4. Medioevo:
    1. Barbazano (borgo fortificato) (Lerici)
    2. Portesone   (villaggio pastorale) (Lerici)
    3. San Lorenzo (chiesa orientata in equinoziale) (Lerici)
    4. Castello di Ameglia
    5. Castello di Lerici
    6. Castello di San Terenzo (Lerici)
    7. Fortificazione di Solaro (Lerici)
    8. Torre Gorpina (Tellaro) (Lerici)
    9. le fornaci da calce  (Lerici) (Arcola) (Ameglia) 
    10. il borgo pisano  di Lerici
    11. il borgo vecchio di San Terenzo
    12. il borgo vecchio di Tellaro
    13. la Via dei Mulini (Codina, Carbognano, Lerici) con il relativo bottaccio
    14. l’acquedotto Capo Acqua – Portesone – Tellaro con il relativo bottaccio
    15. il Portulo Maris di Pertusola  (edificio con affresco)
    16. traccia del Barbacane (Lerici)
  5. Archeologia industriale:
    1. la grande fornace del Guercio
    2. la fornace da laterizi dei Senti
    3. lo stabilimento metallurgico di Pertusola (produzione di piombo-argento)
  6. Archeologia militare ottocentesca
    1. il forte Pianelloni (Batteria di Finocchiara) (Lerici)
    2. la batteria di Santa Teresa (Bassa e Alta) (Lerici)
    3. il forte Rocchetta (ancora militare) (Lerici)
    4. la batteria di Maralunga (ancora militare) (Lerici)
    5. la batteria di Punta Bianca (Ameglia)
    6. la batteria “Chiodo” di Monte Marcello (Ameglia)
  7. Le chiese:
    1. la cappella castrense di Santa Anastasia (castello di Lerici)
    2. la chiesa dei Santi Martino e Cristoforo (ora San Rocco) (Lerici)
    3. l’Oratorio di San Bernardino in Lerici
    4. la chiesa di Santa Lucia in Pugliola
    5. Nostra Signora dell’Arena  in San Terenzo
    6. L’Oratorio di S. Giovanni Battista in Pozzuolo
    7. La primitiva chiesa di San Giorgio di Tellaro
    8. La chiesa di S. Giovanni Decollato alla Serra
    9. La chiesa di San Francesco in Lerici
    10. Antico oratorio della Concezione di Maria in Selàa di Tellaro
    11. La chiesa di San Pietro di Monte Marcello (Ameglia)
    12. La cappella ottogonale del Volto Santo di Bocca di Magra (Ameglia) già Santa Croce del Corvo, legata a  Dante Alighieri (Carmelitani scalzi)
  8. cappella di S. Maria della Pietà in Barcola
  9. cappella Fabbricotti in Bagnola
  10. Le ville
    1. la villa De Benedetti in Barcola
    2. il Casino di Caccia  di Volpara,  detta il Fodo
    3. la villa Marigola
    4. la villa Shelley (ex Maccarani)
    5. la villa Cochrane ora Carnevali
  11. Le tracce templari:
    1. cappella castrense di Santa Anastasia
    2. torre fortificata (ora campanaria) di  San Rocco (croix fichée)
    3. campanile di Santa Lucia in Pugliola (croix fichée)
    4. borgo di Trebiano (croix fichée) (Arcola)
    5. Portulo maris di Pertusola
  12. Il  “distretto delle memorie poetiche e letterarie”:
    1. Dante = S. Croce del Corvo (Ameglia)
    2. Dante - Turbia = paleo frana della Marossa (Ameglia)(?)
    3. Petrarca = torre di Lerici
    4. Petrarca = olio di Barbazzano
    5. Boccaccio = porto di Lerici
    6. Boccaccio = porto della Seccagna (Ameglia)
    7. Shelley = Villa Shelley (San Terenzo)
    8. Byron = sfida di nuoto, oggi Coppa Byron a  Lerici
    9. Max Weber = Hotel Shelley - Lerici
    10. Boecklin = a San Terenzo in casa del pescatore Rossi; opere ispirate al golfo
    11. D.H. Lawrence = Hotel Shelley -  Villino Veppo-Gambrosier  (casina rosa di Fiascherino, ora distrutta)- oliveto di Tellaro
    12. Gabriele D’Annunzio (Villa Marigola)
    13. Virginia Woolf – Villa Gregoretti (San Terenzo)
    14. Salvatore Quasimodo - Premio Nobel  (Villino Celli-Rescigno)

 

Per molti di essi il Calzolari ha prodotto suggestive immagini fotografiche che non possono che indurmi ad augurargli che questo progetto possa presto essere preso in considerazione da chi di dovere e realizzato! Seguiremo gli sviluppi…

Uno dei "siti di Cassiopea", dove è visibile il fenomeno luminoso della "farfalla" di luce

 

L’ultima relazione è stata quella di due esperti ricercatori, Mario Codebò (Archeoastronomia Ligustica) e Agostino Frosini, che hanno presentato “Il Metodo Nautico”. Questo programma permette di calcolare la declinazione sottesa dall'Azimut di un momento utilizzando le Effemeridi nautiche per il calcolo dell'azimut del Sole in un preciso istante UT. Dato che l’argomento è molto “tecnico” e il metodo impiega degli algoritmi specifici che applicano calcoli astronomici, formule nautiche e geodetiche, rimando al sito https://www.webalice.it/agostino.frosini/Archaeoastronomy%20Program/Calcolo%20Metodo%20Nautico/Programma.html  per poter consultare direttamente sia gli Algoritmi stessi che il programma informatico messo a punto dai relatori.

 

  • La conclusione dei lavori è stata accompagnata dai meritati applausi a tutto il gruppo di conferenzieri che ha veramente illuminato queste due giornate di Seminario con la presentazione di studi appassionanti, stimolanti,  impegnativi ed innovativi. Studi che riescono ancora a sorprendere, a dispetto della frenesia della vita moderna, e che ci spingono a rivolgere lo sguardo al fantastico scenario che è a disposizione di tutti: quello del Cielo, degli astri e dei fenomeni astronomici che interessano il nostro pianeta. Fenomeni che per gli Antichi rappresentavano la manifestazione del sacro o del divino, codificando in essi una ciclicità armoniosa secondo Leggi ineffabili. Tale armonia era garanzia dell’esistenza di un perfetto orologio cosmico, sul quale basare la vita quotidiana e i riti, l’orientamento di massi ed edifici cultuali, l’incisione di rocce e pietre o la composizione di danze… Tutto questo andava fatto bene,  da chi sapeva leggere nei segreti della Natura; l’armonico fluire del Tempo e dell’energia cosmica andava compreso con ogni mezzo perché in agguato c’era sempre una forza oppositrice e disgregatrice di uguale potenza. Prevenirne gli effetti (o limitarne i danni) era di vitale importanza. Il compito dei moderni ricercatori è di trovare la chiave universale di quel modo di pensare, di allineare, di costruire, di organizzare le attività lavorative e le feste religiose dei diversi popoli antichi: l’archeoastronomia, unita ad altre discipline scientifiche (e alla sana passione che evoca le fondamentali domande), può essere di grande aiuto anche per capire meglio il presente, e ciò emerge chiaramente in congressi come questo, in cui in maniera intelligente e aperta si confrontano i dati e le idee, si propongono ipotesi di lavoro e di approfondimento, si divulgano scoperte e ricerche, si aggiornano i propri “registri” mentali.

Mi è gradito cogliere l’opportunità di ringraziare Giuseppe Veneziano per la cortesia, la disponibilità e la professionalità dimostrate. Mi complimento inoltre per l’eccellente organizzazione che ha saputo imprimere, con successo, a questo quindicesimo  appuntamento annuale dell’Alssa (6).

 

Note:

1)- Al fine di rendere chiaro al lettore (soprattutto meno avvezzo alla materia archeoastronomica) l’importante questione, riporto il chiarimento che ho ricevuto da Giuseppe Veneziano, che ringrazio vivamente: “Dalla piantina del sito elaborata da un archeologo svizzero (Krause) sembrava che le strutture fossero orientate astronomicamente: l'orientamento del corridoio centrale a 90° di azimut era cioè in direzione del sorgere del Sole agli equinozi (punto cardinale Est), al che io ho calcolato tutti i probabili orientamenti anche nelle eventuali direzioni dei solstizi e nelle direzioni lunari. Invece la fotografia scattata dalla De Franceschini la mattina dell'equinozio ha evidenziato che il Sole non sorgeva esattamente al centro del corridoio, ma leggermente spostato a destra (il Sole era sorto dietro alla Cima della Nuda che era a 90° di azimut). Ciò significava quindi che il corridoio non era orientato a 90° (probabilmente la cartina dell'ingegnere svizzero era orientata non geograficamente ma magneticamente, cioè con la bussola), ma a qualche grado in meno (poi risultato dalle misure in 87° di azimut). Confrontando questi dati con quelli ricavabili dall'immagine di Villa Jovis (foto satellitare del 2007) su di Google Earth, mi sono accorto che l'immagine satellitare dava addirittura un orientamento del corridoio a circa 67°, quindi completamente al di fuori dei valori rilevati con la posizione del Sole. Grazie alle foto "storiche" presenti su Google Earth sono risalito ad un'altra immagine precedente (del 2003), questa volta più precisa, che mi ha confermato l'orientamento del corridoio sugli 87°. (I tre gradi di differenza spostano tutti gli allineamenti calcolati in precedenza sulla cartina, mantenendo (anche se non precisa al 100%) parzialmente le illuminazioni agli equinozi. Questa differenza tra le due foto di Google Earth riprese ad anni di distanza, rende chiaro che ci sono casi particolari (ad esempio strutture o edifici costruiti su cime a strapiombo sulla pianura o sul mare - come nel caso di Villa Jovis - che possono creare su Google Earth degli errori anche sostanziosi, perchè le immagini satellitari a volte sono riprese non perpendicolarmente (dall'alto verso il basso) ma con una inclinazione variabile che sposta l'orientamento dell'edificio rispetto al paesaggio circostante, creando quindi un disallineamento con i punti cardinali”. 

2) Del manufatto originale è stato reperito un disegno di dimensioni esigue che –seppure ingrandito- non permette di distinguerne i dettagli. Nuove ricerche d’archivio potranno forse colmare la lacuna.

3) Lo studioso ha impiegato i più raffinati algoritmi oggi disponibili servendosi del programma Five Millenium Catalog of  Solar Eclipses (https://eclipse.gsfc.nasa.gov/SEcat5/SEcatalog.html)

4) Ricordiamo che l’analisi condotta dal prof. Adriano Gaspani è presente nel nostro sito al link: www.duepassinelmistero.com/Poggiorota.htm

5) Allo splendido edificio e ai suoi simbolismi arcani abbiamo anni fa dedicato un articolo nel nostro sito

6) Cui abbiamo quest'anno partecipato per la prima volta, con entusiasmo. Grazie a tutti!