L’area archeologica sulla cima del Monte Jato (M. Uberti)

(sez.Valle dello Iato)

 

Dopo aver visitato il Museo di San Cipirello ed aver preso un po’ di confidenza con il paesaggio, dopo essermi  emozionata davanti al luogo dove si fronteggiarono, per vent’anni, le forze arabe e quelle sveve, dopo aver raggiunto lo spettacolare sito di S. Cosmo alle pendici meridionali del Monte Jato, è il momento di giungere in cima. Dove mi attende una spettacolare realtà archeologica, che in pochi ancora conoscono.

Stratificazioni successive e complesse caratterizzano la sommità di questo monte,  la cui altitudine si aggira sugli 850 m. , dunque di accesso non agevolissimo. Sono stati compiuti molti sforzi  al fine di rendere accessibile al grande pubblico questo Parco Archeologico ma, come si legge sui pannelli in loco e sul materiale divulgativo messo a disposizione dal Comune di San Giuseppe Jato (1), i visitatori devono essere preparati  ad un certo sforzo fisico e dotati di un minimo di attrezzatura personale (scarpe adatte al terreno).  L’area archeologica si può raggiungere in automobile perché è stata realizzata una comoda carrozzabile, oppure a piedi dai paesi a valle (2). Esiste però il problema di mantenere l’area di scavo (tuttora attiva) priva di erbacce infestanti, che rendono difficile l’adeguata lettura delle rovine, nonché di preservarla dagli incendi che si sviluppano quasi puntuali ad ogni estate.  Problemi con cui l’attuale direttore del Parco, il prof. Ferdinando Maurici, è quotidianamente alle prese.

Ma lasciando spazio, in questo report, al valore culturale del sito, devo dire che esso sprigiona un fascino che si assapora già ammirando l’ampio paesaggio che si distende davanti agli occhi del visitatore: un panorama mozzafiato che spazia dalla Rocca Busambra al golfo di Castellammare e a Capo San Vito, dai monti della Conca d’Oro alla Rocca d’Entella, dalla Valle dello Jato a quella del Belice. Perspicaci coloro che scelsero di stabilirsi qui!

Come abbiamo già accennato nella sezione precedente, questo areale fu ininterrottamente abitato dal 1.000 circa a .C. (da popolazioni autoctone, delle quali si sa poco) fino al 1246, quando venne raso al suolo da Federico II di Svevia.

·         Il nome

Non esistono conferme certe circa l’origine del toponimo Iato. I cittadini della città sul Monte Jato venivano chiamati IAITINOI nelle fonti greche, IETINI ed IETENSES in quelle latine. Il nome della città compare invece su alcune tegole e su alcune monete come IAITOY (è riportato al genitivo di Iaitas). Lo scrittore romano Silio Italico (II sec.) nel suo poema storico in diciassette libri “Punica”, definisce l’insediamento “celsus ietas”. La città si chiamava dunque Ietas in latino e Iaitas in greco. La forma medievale del nome, Giato, viene tramandata dalle fonti più tarde che ricordano la città, estremo rifugio dei musulmani in Sicilia, come abbiamo visto visitando il "Castellaccio".

  • Gli scavi e la riscoperta di Iaitas

Tutto era caduto nell’oblio fino a quando cominciarono ad affiorare dal passato le antiche rovine: gli scavi cominciarono nel 1971 ad opera di una equipe archeologica dell’Istituto di Archeologia dell’Università di Zurigo (in virtù di una apposita convenzione con l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali e sotto il controllo della Soprintendenza di Palermo). In questi 43 anni di scavo (che si effettua ogni anno ininterrottamente nel mese di giugno), si sono succeduti alla sua guida diversi direttori (prima il professor Bloesch, poi il professor Isler e attualmente il prof. Reusser) e sono state riportate alla luce diverse emergenze archeologiche:

·         Il Tempio di Afrodite

·         Il Teatro

·         L’Agorà

·         La casa a peristilio

·         La grande cisterna d’acqua

·         Resti romani

·         Il quartiere medievale di Giato

Gli scavi hanno rimesso in luce anche un edificio punico sovrapposto ad una costruzione tardo-arcaica (tempietto?) della quale non rimangono molte tracce ma alla quale sono connessi alcuni reperti, tra cui vasi di importazione di notevole importanza. La presenza di edifici di questo tipo indica l’integrazione e la commistione  tra elementi greci e e gli abitanti di Iaitas, processo che si perfezionò attorno al V secolo a. C. Alcuni edifici di culto che i greci trovarono, appartenenti agli autoctoni (edifici a est della Casa a peristilio), vennero probabilmente lasciati in loco per una continuazione del culto indigeno.

  • Il tempio di Afrodite

Alcune iscrizioni presenti su vasi usati per le libagioni riportano il nome della dea Afrodite, per cui si è desunto che il tempio fosse a lei dedicato. Rispetto alla planimetria dell’area archeologica, si trova ad ovest. E’ ritenuto l’edificio più antico, costruito intorno al 550 a. C. su capanne indigene. Le sue dimensioni erano notevoli: 17,8 m per 7,25 metri. La facciata era messa in risalto da grossi blocchi di pietra agli angoli esterni. I muri esterni, soprattutto dei lati nord e ovest, sono abbastanza ben conservati, mentre sul lato a valle non ne restano che le fondazioni. La pianta dell'edificio mostra un pronao (ingresso) cui seguivano due colonne, antistanti un vano centrale (cella), e infine vi era un vano posteriore chiuso, un adyton (vano sacro all’interno della cella) tipico del tempio greco della Sicilia occidentale. Il vano principale era suddiviso da due colonne di legno di cui si sono rinvenuti solo la base e un capitello in posizione di crollo. La porta del tempio si trovava sul lato est mentre davanti all’edificio si trovava l’altare che era costituito da grossi blocchi. Il Tempio rimase in uso anche con la ricostruzione della città in epoca ellenistica (300 a. C. circa) e crollò nel 50 d.C. Con il tempo le sue pietre vennero impiegate fino all’epoca medievale per costruire altri edifici.

Dagli scavi è emersa anche una casa tardo arcaica (500 a. C. circa).

  • Il teatro

Venne edificato alla fine del IV secolo a. C. avendo probabilmente come modello quello di Dioniso (inaugurato ad Atene da Licurgo nel 330 a.C.). Il Teatro di Iaitas aveva la tipica forma semicircolare: le 35 gradinate sfruttavano il pendio naturale sottostante la cima del monte e offrivano una capienza di 4.400 posti.  Davanti vi erano tre file di gradinate riservate agli ospiti d’onore (magistrati, sacerdoti e ospiti): erano dotate di schienale e dovevano essere adornate da zampe leonine La cavea era suddivisa in sette settori e la si raggiungeva tramite otto scalinate. Molti dei sedili furono asportati e riutilizzati negli edifici che vennero eretti sul Teatro in epoche successive. L'acqua piovana scolava, tramite un tombino di pietra, nel canale che passava sotto la scena. L'edificio scenico, con i caratteristici parasceni laterali, è ben conservato anche se nei secoli il monumento ha subito diverse ristrutturazioni, di cui la prima verso il 200 a. C. e l’ultima nei primi decenni del I sec. d.C.  All'interno dell'edificio scenico si sono rinvenuti numerosi pezzi di pavimento del piano superiore e tegole rotte. Dalla facciata del teatro provengono le tegole bollate che lo ricoprivano e le quattro splendide statue conservate nel Museo Archeologico di San Cipirello, che erano forse situate lateralmente, perché solo una mano è lavorata. In età tardo-imperiale una casa fu addossata al portico esterno dell’edificio e successivamente, sulla cavea, fu costruito un quartiere abitativo arabo.

  • Agorà (Piazza principale)

Lo spazio non era di grandi dimensioni, 50 per 40 metri, ma godeva di una eccellente posizione. Al pari della via principale, era pavimentato con lastre arenarie. La piazza pubblica era circondata, sui lati est, nord e ovest, da portici a due navate. Le colonne poggiavano su uno stilobate a tre gradini. In origine il portico nord, a due navate, si protraeva oltre l'angolo ovest della piazza. Alcuni blocchi dello stilobate sono rimasti in situ, i più vennero reimpiegati per il nuovo portico ovest, aggiunto in un momento successivo. Due diversi tipi di lastrico evidenziano i due periodi di costruzione. Il lato ovest della piazza principale comprende tre edifici, eretti su una pianta unitaria circa due secoli dopo la piazza: il portico, la retrostante sala del consiglio o bouleuterion di Iaitas e, annesso a sud, un tempio.

Nell'area del portico ovest sono state rinvenute tegole con bollo latino, segno della dominazione romana che da oltre un secolo incombeva sulla città su tutta la Sicilia occidentale. Il portico ovest, a due navate, e largo 9 metri, fu costruito con materiale di reimpiego e ricongiunto, alla ben e meglio, con lo stilobate del portico nord. Sono stati trovati elementi del colonnato sia interno che esterno, entrambi di ordine dorico. Alcuni fusti di colonna, scoperti in posizione di crollo sono stati rialzati per motivi di conservazione. La sala del consiglio, di pianta quasi quadrata, includeva 9 gradinate a semicerchio, accessibili tramite 4 scalinate. Gli oratori che intendevano rivolgersi all'assemblea si collocavano nello spazio libero fra le due porte d'accesso.

  • La casa a peristilio

L'edificio è collocato a Nord del Tempio di Afrodite e costituisce una delle più vaste e antiche dimore greco-ellenistiche private che si conoscano. Dallo spazio antistante il tempio di Afrodite si accedeva, per pochi gradini, al vano d'ingresso. Passato questo vano, si raggiungeva il cortile a peristilio, dove sono stati messi in luce fusti di colonna del pianoterra ancora eretti. La casa era costruita con muri a secco, in alcuni casi conservatisi fino a 5 m di altezza; occupa un’area di 828 metri quadrati e siccome era disposta su due livelli, i metri quadrati risultano doppi. L'aspetto elegante della casa fa pensare a un proprietario di rango elevato e doveva essere splendida: gli ambienti erano disposti intorno a due cortili colonnati sovrapposti: a nord c'erano quelli di rappresentanza (con pavimenti a mosaico). Nella pianta della casa si contano in tutto, cortili compresi, 25 vani. L'approvvigionamento con acqua potabile era garantito da non meno di 4 cisterne d'acqua piovana, in parte con copertura ad archi. La facciata della casa era rivolta a sud.

La caratteristica pianta, con porte e finestre decentrate, lascia intendere che i vani laterali erano sale da banchetto. Una casa greca includeva di norma almeno una sala da banchetto. Ogni sala di banchetto conteneva nove letti, ciascuno dei quali poteva accogliere due convitati. Nelle 4 sale da banchetto dei due piani si arrivava dunque ad ospitare comodamente 72 persone.

Nel locale n. 17 è stata rinvenuta una curiosa iscrizione pavimentale in tessere musive bianche su fondo rosso: “Salve Ora te ne andrai ilare” (un saluto per l’ospite che, a conclusione del banchetto, lasciava la sala contento, almeno questo era l'auspicio).

Questa ricca dimora disponeva anche di un bagno, preceduto da un’anticamera e dotato di un locale di servizio ausiliare. Aveva un lavandino e una vasca, alimentata con acqua tramite una tubatura (l’acqua veniva versata a mano nei condotti!). Sotto la vasca c’è era una sorta di camino con apertura ad arco che aveva funzione di riscaldare l’acqua. Si ritiene che il bagno sia stato un ampliamento eseguito in epoca di poco posteriore alla casa stessa (metà del III secolo a.C.).

La lussuosa dimora aveva anche un forno per cuocere il pane e sicuramente c’erano delle botteghe, tra cui quella di un tintore. La distruzione definitiva è avvenuta verso il 50 d. C., sotto l'imperatore Claudio.

  • Epoca romana e bizantina

Dai documenti sappiamo che la città, all’arrivo dei Romani, si consegnò spontaneamente. In seguito la troviamo tra le città "stipendiarie" della Sicilia. Nel 71 a. C. Jaitas fu vittima delle vessazioni e ruberie di Caio Verre, allora pro-rettore in Sicilia. Poco si sa della presenza successiva a quella romana, cioè ai bizantini sull’area.

  •  Il quartiere medievale di Giato

Gli arabi arrivarono sul Monte Jato dopo l’827 d. C. , data che segna la loro conquista dell’isola. Cacciati i bizantini, occuparono l’area con una corposa presenza (ben 13.000 famiglie musulmane). Il nome della città ci è pervenuto come Giato (Catù). Dagli scavi sembra certo che il quartiere islamico si fosse sviluppato attorno al Teatro greco; si trattava di povere case con un unico ambiente, edificate impiegando le pietre del Teatro stesso. Le case erano disposte intorno ad un cortile lastricato; tetti erano coperti con tegole e i pavimenti erano di battuto. All'interno della casa si è ritrovato spesso un ripiano di pietre per il letto. Uno degli angoli, separato da un muro curvo, serviva per tenervi le provviste. A monte delle case si trova un muro di confine oltre il quale,  poco distanziate, si sono scoperte delle tombe (semplici tombe a fossa prive di corredo).

La presenza di queste sepolture in immediata prossimità dell'abitato si può spiegare con lo stato di assedio che Giato subì nell'ultimo periodo della sua esistenza. Il motivo di tanta fretta deve essere ricondotto all’evoluzione storica che è stata ben delineata. I Normanni diventarono i governatori del territorio e sotto di loro Giato conobbe uno splendido momento di benessere economico come si evince dalle parole di Ibn Idrisi nel suo "Libro di Ruggero" e dal famoso documento latino-arabo del 1182, detto Rollo, con cui Guglielmo II donava a S. Maria Nuova di Monreale i territori di Jato (Magna Divisa Jati), Corleone e Calatrasi. Ma sotto gli Svevi la popolazione islamica diventò insofferente e si ribellò (già alla morte del re Guglielmo II). Si iniziò una lunga ed estenuante battaglia durata circa vent’anni lungo le pendici del Monte Iato, che nel 1246 vide l’imperatore cristiano Federico II avere la meglio sugli arabi (v. sez. "Castellaccio").

  • Epilogo

Giato venne distrutta, i suoi abitanti deportati a Lucera, in Puglia. La Valle dello Jato perse d’importanza e venne dimenticata. Solo la sopravvivenza di toponimi arabi dimostra che la presenza islamica, nonostante sia stata estirpata, fu incisiva per questa Valle.

 

Note:

1)      Ringrazio vivamente il sindaco del paese, dr. Davide Licari, e il dr. Rosario Squadrito (consulente al Turismo) per avermi fornito interessante materiale documentale  e promo-pubblicitario  che mi ha permesso di conoscere ed apprezzare ulteriormente i variegati e caratteristici aspetti della Valle dello Jato.

2)      Attraverso tre sentieri che si inerpicano sul Monte; quello dei Militi, quello dal Camposanto Vecchio e quello dalla Scala di Ferro.

 

·        Le notizie tecniche sono tratte da fonti in loco e dal sito ufficiale del Comune di San Giuseppe Jato dove si possono trovare tutte le informazioni storiche, artistiche, archeologiche, topografiche e le indicazioni per raqgiungere il sito

.        Si segnala anche il portale di informazione del Comune di San Cipirello

 

·       Esprimo un particolare ringraziamento al prof. Ferdinando Maurici per la disponibilità dimostrata durante la mia visita all’area archeologica

 

 

 

Galleria foto: L'area archeologica del Monte Jato

Argomento: L'area archeologica del Monte Jato

Iaitas

onofrio butera | 24.01.2018

Sono profondamente dispiaciuto di non aver conosciuto prima i resti archeologici di una città che, con i suoi edifici di marmo bianco e la sua bellezza, doveva apparire come un miraggio ai viaggiatori provenienti da Selinunte. Grazie, a tutti coloro che si sono prodigati e continuano a prodigarsi affinchè questo sito non torni nell'oblio.

R: Iaitas

Duepassinelmistero | 06.03.2018

Grazie a lei per le parole sensibili.

curiosita

savo | 17.07.2015

Uns meravigia da vedere

Bello

Tartarone buscemi lorenzo | 24.08.2014

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