Buddismo e Cristianesimo

                                                (Costanzo Ajello)

 

 

In tempi relativamente recenti l’attuale XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso, dichiarò pubblicamente che ognuno avrebbe fatto bene a permanere nella propria religione nativa, pur studiando e compren-dendo le altre, ivi compreso il buddismo. Tale affermazione ci sembra in controtendenza rispetto ai tentativi di proselitismo svolti da molte religioni e chiese, con eccezione per l’Ebraismo, che ricono-sce soltanto la discendenza genetica ad esclusione della “Sinagoga riformata” e che tale posizione liberale debba meritare il plauso di “tutti gli uomini di buona volontà”!

Per quanto riguarda specificamente il buddismo e soprattutto la scuola Zen, sia Sôto che Rinzai, molti sacerdoti cattolici e non solo, anche con ruoli istituzionali eminenti, praticano o hanno prati-cato la meditazione Zen o zazen, testimoniandone favorevolmente per quanto riguarda i suoi bene-fici di ordine spirituale, pur rimanendo fedeli all’ortodossia della propria religione di appartenenza. Il buddismo appare avanzare a passo deciso a livello globale, nonostante il diffondersi generalizzato di uno spirito laico e laicista, salvo che in India dove è nato e parzialmente tramontato da secoli, at-tribuendo i suoi successi alla capacità di adattamento alle condizioni ed alla mentalità prevalenti nelle varie zone del mondo. Come è noto il buddismo si rifà ai canoni formulati sulla base degli in-segnamenti orali di Siddharta Gautama Shakyamuni, detto Buddha (il Risvegliato), nato verso la metà del VI secolo a. C. a Kapilavastu, villaggio del Tera nepalese ai piedi dei primi contrafforti dell’Himalaya e a nord-ovest di Benares, ora chiamata Varanasi, distante circa 240 chilometri. Le vicende della vita del Buddha sono estesamente note al pubblico sia grazie alla letteratura che a rap-presentazioni visive, e riteniamo di non doverci dilungare nemmeno sui  principi della sua dottrina facilmente reperibili. Il nostro intento è invece quello di analizzare lo sviluppo del buddismo attra-verso fasi storiche alterne nel corso dei secoli.

Nell’ambito delle religioni tradizionali, pur potendosi definire una religione con diverse accezioni, il buddismo viene considerato, con sospetto, ateo, anche se contrariamente al significato deteriore attribuito al termine che lo vedrebbe opposto ad un Dio trascendente e creatore, lo stesso contempla la divinità immanente, che si onora attraverso il culto, i rituali e il salmodiare di frasi (sutra) comuni a tutte le religioni, per richiamarsi alle verità trasmesse e che, tra altri, Cicerone chiama relegere che in questo caso diventerebbe l‘etimologia del termine religione, appunto. Vi sono stati tuttavia enco-miabili tentativi da parte di teologi aperti, anche monoteisti, impegnati in un’analisi comparativa delle confessioni religiose ed in occasione del Concilio Vaticano II, svoltosi nei primi anni del 1960, sacerdoti come Giulio Girardi e Raimon Panikkar, furono chiamati a dare un contributo di cono-scenze specifiche per un promettente inizio di dialogo interreligioso ed interculturale, rivolto ai cre-denti non cattolici ed ai non credenti. Purtroppo queste lodevoli intenzioni si sono poi arenate con i pontefici successivi, tanto che i citati esponenti vennero emarginati dalla stessa gerarchia ecclesia-stica nonostante la loro incontestabile fedeltà alla chiesa.

Raimon Panikkar, laureato in chimica, teologia e filosofia, nonché professore emerito di storia delle religioni presso famose università americane, europee ed indiane, con discendenza da madre cattolica catalana e padre hindu, sperimentò contiguamente la realtà delle religioni orientali, svol-gendo la sua missione di sacerdote cattolico in India per alcuni decenni e dedicò gran parte della sua vasta produzione letteraria proprio all’approfondimento delle fedi esotiche, che costituiscono una testimonianza unica delle loro espressioni. Nel caso specifico del buddismo un notevole saggio è quello contenuto in “Il silenzio del Buddha - Un ateismo religioso” che apre orizzonti inediti a chi volesse dedicarsi alla sua lettura. Nella sua esposizione l’Autore non nega al buddismo la defini-zione di religione, anche se preferisce designarlo come “fede atea” soltanto perché, questa, non en-tra nel merito della presenza di un Dio.

A nostro parere, la capacità adattativa del buddismo è data dalla mancanza del dogmatismo e asso-lutismo che caratterizzano le affermazioni dottrinali di altre confessioni, soprattutto nella Chiesa Cattolica Apostolica Romana anche se questa forma di liberalità non ha impedito quelle rotture che hanno dato luogo a scismi e condanne di eresie. Con questo non si vuol dire che il buddismo procede con andamento lineare e fedele alle prime enunciazioni, se si pensa alle rielaborazioni e dirama-zioni registratesi dalle sue origini e tuttavia, se oggi appare come un “corpo” unico e saldamente af-fermato, a questo sembra aver contribuito la confluenza di tali rami in un alveo comune che gli at-tribuisce, appunto, questo corpo apparentemente univoco indipendentemente dai conflitti sulle inter-pretazioni dottrinali, talvolta manifestatesi in scontri cruenti nonostante l‘armonia predicata.

È noto che, tutt’oggi il buddismo è rappresentato da varie scuole e sette operanti soprattutto in Giappone ma storicamente nate in Cina, nonostante quella particolarmente attiva sembri essere ai profani la Soka Gakkai International (SGI), dal significato di Soka (creazione di valore) e Gakkai (associazione), di cui è portavoce e propagandista assai dinamico Daisaku Ikeda, in effetti costitui-tasi pochi decenni fa ma di fatto riferita agli insegnamenti di Nichiren Daishonin nato in Giappone nel 1222 ed ispirata in particolare al sutra del Loto, nonché fondatore della setta Hokke. Nichiren fu senza dubbio un personaggio tumultuoso e intraprendente ma la connotazione principale del suo ca-rattere fu l'esasperato nazionalismo e le posizioni estremamente intransigenti nei confronti delle al-tre scuole buddiste. Oggi il Soka Gakkai è ritenuta un'ala militarista e nazionalista del buddismo a cui ha aderito un imponente seguito di opinionisti anche occidentali e trattandosi di una comunità e-conomicamente e politicamente potente, questa assumerebbe più le connotazioni di una massoneria. Ammettiamo, però, la nostra scarsa familiarità con i riferimenti di tale setta e forse abbiamo subito la suggestione dei detrattori della stessa anche a causa di certe nostre idiosincrasie nei confronti di dichiarazioni, rilasciate con troppa leggerezza, da suoi seguaci che dispongono di tanta visibilità quanto di superficialità.

Risalendo tuttavia ai genuini insegnamenti di Nichiren su cui si basa la pratica attuale, ci viene detto che la stessa ricorre alla recitazione ripetitiva del mantraNam myo ho renge kyo” riportato dal sutra del Loto, che viene traslitterata in cinque caratteri cinesi, anche in Giappone, il cui signi-ficato è “La mistica Legge del Sutra del Loto”; tale rito si svolge in presenza del Gohonzon, un semplice rotolo di carta che raccoglie gli insegnamenti di Nichiren, il cui originale è tuttora conser-vato nelle vicinanze di Tokyo, ma la cui riproduzione in formato ridotto, è distribuita per uso perso-nale ai seguaci, da tenere fra le mura domestiche. L'effetto di questa recitazione sarebbe di carattere fisico e con chiari risvolti psicologici, tale da produrre un senso immediato di sollievo e di libera-zione per affrontare con più vigore le situazioni immediate della quotidianità. Tale pratica della reci-tazione di mantra, come vedremo di seguito per i seguaci del buddha Amitabha, è assai diffusa pres-so certe tradizioni buddiste, anche se con aspettative meno miracolose rispetto a quest'ultima.

Lo spirito genuino del buddismo parrebbe invece più presente nelle scuole tradizionali del Tendai, dello Shingon, fondato dal patriarca Kobo, dello Jodo, fondato da Honen, dello Zen Rinzai, fondato da Eisai, dello Zen Sȏto, fondato da Dogen. Il merito di questa condivisione, passata anche attra-verso drastiche opposizioni, sembrerebbe risalire al cinese Tche-yi, che nel 575 d. C. fondò il mona-stero sul “Monte Celeste” (Tien-t’ai) che divenne poi il centro di un nuovo sincretismo. Gli insegna-menti sui principi del “Loto” vennero raccolti in un ponderoso volume dal discepolo di Tche-yi, Kuanting e costituirono poi la fonte dottrinale comune alle scuole succitate.

L’amidismo richiede tuttavia un commento più esplicito, in quanto collegato alla figura del buddha Amitabha, risalente al buddismo antico, sembrerebbe ai primi secoli dell’era contempora-nea; buddha che viene talvolta presentato come una promanazione di Shakyamuni e a cui si riferisce la credenza facilmente consolatrice  nella Terra Pura, un lussureggiante paradiso a cui possono acce-dere tutti i  diffusasi presso lo strato popolare dei cinesi e poi anche in Giappone e altrove, tuttora in parte coltivata, evidentemente presenta degli elementi che sono del tutto estranei agli insegnamenti classici di Shakyamuni, ispirati alla vita terrena dello uomo anche sotto forma di reincarnazione, che non troverebbe alcuna collocazione in altre sfere e si presta a molte speculazioni, mentre appar-tiene ad altre religioni professate o comunque ad evocazioni mistiche come la descrizione nell’”Ar-cangelo Cremisi” nella teologia filosofica islamica dello sceicco persiano Sohravardi, vissuto nella seconda  metà del  XII sec., finanche a quella degli ambienti angelici immaginati dai  devoti come tappa precedente il raggiungimento del nirvana, purché pronuncino il mantra “nembutsu”, un’invo-cazione rivolta allo stesso Amitabha o Amida. Questa credenza largamente visionario svedese Ema-nuel Swedenborg in tempi più recenti. A voler ben vedere poi, questo transito attraverso la Terra Pu-ra somiglia molto nella sua funzione al Purgatorio, secondo la descrizione data dallo studioso ame-ricano Joseph Campbell nel suo saggio “Riflessioni sull’arte del vivere”, laddove egli parla di que-sto stadio contemplato dal cristianesimo, come condizione attraverso la quale si abbandona il luogo del dolore e in cui “soffriamo ancora, ma abbiamo cominciato la ricerca con la sensazione che l’impresa è possibile”, anche se il nirvana in definitiva non è assimilabile, sembrerebbe, “al luogo dove ci sia la gioia e la gioia incenerirà il dolore”...

   In effetti la dottrina di Tche-yi, basata sull’amidismo, era fortemente impregnata di taoismo, che costituiva, alternativamente, una fonte di reciproca fertilizzazione con il buddismo e tuttavia, lo stesso aveva saputo guardare anche al cristianesimo come una delle tante vie che conducono ad una unica salvezza. Del resto, la contaminazione fra buddismo e cristianesimo o, meglio, la loro fecon-dazione incrociata, anche se è difficile stabilire una priorità storica, nonostante l’epocale precedenza temporale della fondazione del buddismo, i cui canoni sarebbero però di molti secoli successivi e talvolta coevi delle sacre scritture cristiane, non sfugge, peraltro, a molti storici delle religioni. Se fosse vero quello che sostiene Osho Rajneesh e non solo lui, che Gesù dopo la sua crocifissione e morte apparente si era rifugiato in Oriente e scomparso definitivamente in Kashmir, dove giacereb-bero le sue spoglie, non sorprenderebbe molto una siffatta interpretazione. Joseph Wolf, figlio di un rabbino e convertito al cristianesimo, nonché storico delle religioni, da parte sua dichiara che grazie ad un’illuminazione gli sarebbe stato rivelato che la Resurrezione avrà luogo proprio nel Kashmir, laddove secondo il filosofo del XVII secolo, François Bernier, si ipotizza localizzato il paradiso ter-restre.

La figura del bodhisattva Kanon, che appare alla sinistra di Amitabha, rappresentata talvolta in vesti maschili ed altre femminili, assunta come protettrice della maternità, richiamerebbe a tal punto quella di Maria Vergine con il bambino Gesù che si dice che in occasione della prima persecuzione nei confronti dei missionari cattolici, in Giappone, gli stessi si rifugiassero nei templi amidisti river-sando la loro devozione sulle sue immagini.

Pare, d’altronde, che il Vangelo sia giunto in Giappone nel 1549 allorché la nave spagnola che portava il gesuita Francesco Saverio, approdò nella piccola isola di Hirado, il quale avviò l’evan-gelizzazione in quel Paese, estesasi poi all’isola di Kyushu, la più meridionale delle grande isole del Sol Levante facente parte della prefettura di Fukuoka, dove tuttora esistono numerose chiese cattoli-che e steli commemorative di eventi riferiti al Cristianesimo. La crescente presenza della comunità cristiana, in particolare sotto l’influsso del cattolicesimo, mise però in allarme il locale Shogun, il governatore militare, che vedeva nella nuova religione una minaccia all’autorità imperiale, spogliata della sua investitura divina e fra il XVI ed il XVII, iniziarono le persecuzioni con la crocifissione di ventisei cristiani ed il divieto di professare la fede, fino alla repressione nella città di Shimabara dove furono uccisi quarantamila cristiani, molti dei quali bambini. Ad un secolo di distanza dall’ar-rivo di Francesco Saverio, nel 1641, lo Shogun emise un decreto che vietava ogni contatto fra giap-ponesi e stranieri, ivi compresi i missionari, situazione che sembra si fosse mantenuta fino al 1853, all’arrivo delle navi da guerra americane per riaprire il Giappone ai contatti con il resto del mondo.

Tuttavia, nel frattempo, i cristiani giapponesi avevano continuato a professare la loro fede mime-tizzandosi con il culto di Kanon, si dice, per mantenere la venerazione di Maria Vergine. Ma al fa-scino misterioso di Kanon, sembravano non essere indifferenti neanche i missionari in Cina di qual-siasi ordine sia domenicani che agostiniani o gesuiti, come si può riscontrare nello scritto del 1588, dell’agostiniano Juan Gonzalez de Mendoza “Histoire du grand royaume de la Chine”. In certi casi, altri storici missionari cattolici preferirono rapportare l’amidismo al luteranesimo, relegandolo allo stato di eresia. Tentativi di accostamento fra certe figure  venerate dal buddismo e dal cattolicesimo sono stati fatti peraltro dallo storico giapponese moderno Mahasaru Anesaki che ha accomunato Honen e San Francesco in una stessa devozione e lo storico francese Paul Sabatier aveva portato la figura di San Francesco agli onori degli ambienti non cattolici, mentre il teologo riformato svizzero Karl Barth nel suo “Dogmatik“ comparava Gesù Cristo e Amida. Inoltre, nel 1324 il domenicano Nicola di Strasburgo, pronunciando a Lovanio un “Sermone sul monte d’oro”, davanti al Capitolo del suo ordine, prendeva in considerazione la figura del Cristo nell’ambito della sua disamina sulle credenze esotiche e da parte sua l’amidismo assumeva l’idea di una “salvezza” e di un “salvato-re”che fanno pensare al cristianesimo ed in particolare al nestorianesimo in quanto tale prerogativa non è mai stata attribuita al Buddha Shakyamuni, mentre il bonzo Tchu-hong, abate della pagoda Yun-si-se vicino a Hangchow in Cina, lamentava in una lettera a padre Matteo Ricci, che il cristia-nesimo è “copia la dottrina della Terra Pura”.

 Se si ipotizza che qualche cenacolo gnostico-buddista, si fosse costituito in Egitto, soprattutto nel-la grande Alessandria ed in Siria, insinuando l’idea che avesse, in qualche modo, influenzato l’ela-borazione di certe credenze cristiane; lo storico francese Jean Dauvillier sostiene invece la teoria che il cristianesimo della “Chiesa orientale”, più propriamente quello “caldeo” anziché quello “ne-storiano”, era già penetrato in Asia fin dal V secolo per essere autorizzato poi dall’imperatore T’ai-tsong con editto del 638, disponendo di numerosi monasteri. Del resto si registra la presenza in Cina del primo monaco nestoriano conosciuto con il nome cinese A-lo-pen o O-lo-pen, fin dal 631. Seguì la breve persecuzione del 698-700, ma tornò ben presto attuale come testimonia la celebre iscrizio-ne di Sin-gan-fu (allora Tch-ang-ngan) per commemorare nel 781 i suoi importanti progressi. Il let-terato cinese Chan-t’ao, autore del “Kuang-King Chu”, operava ai tempi della prima espansione del cristianesimo nell’impero ed in quel periodo (650-683) l’imperatore Kao-tsung, suo amico, esten-deva i suoi favori ai cristiani, avviando legami di collaborazione e di amicizia tra cristiani e bud-disti. In Cina sarebbero esistite allora quattro chiese del cristianesimo orientale oltre a una mani-chea.

Sotto gli storici influssi culturali della Cina sul Giappone, queste idee religiose furono colà recepi-te, come testimonia Saeki:”Molte cose, che i nostri antenati attinsero in Cina nel corso del VII, VIII e IX secolo erano pensieri cristiani sotto un rivestimento cinese, come queste parole che fino a po-co tempo fa ritenevamo essere puramente e semplicemente cinesi, ma che alcuni eruditi hanno di-mostrato essere in realtà greche o ebraiche” senza dimenticare dell‘influenza ellenica sull‘arte bud-dista nel Gandhara.

Nell'807 Kukai (Kobo Daishi), reduce da un lungo soggiorno in Cina, avrebbe portato a Kyoto un nuovo sistema, lo Shingon, in cui sembrerebbero essere presenti elementi cristiani ed in particolare il rito kwancho (acqua sulla testa), una specie di battesimo buddista, che amministrava al suo emulo Saicho (Dengyo Dai-shi) fondatore del Tendai. Ancora con l’invasione dei mongoli in Cina, nel XIII secolo, i loro imperatori estesero il loro favore eclettico ai cristiani, nestoriani o latini ma anche bizantini e sembra che avessero facilitato la conoscenza della relativa religione anche in Giappone, secondo quanto riferito allo inizio del ‘900 dal vescovo anglicano Arthur Lloyd nel suo “The West among the Tares. Studies of Buddhism in Japan”:”Alcune delle maggiori biblioteche di Kyoto con-tengono ricche testimonianze del fatto che il cristianesimo era conosciuto in Giappone molto tempo prima dell’arrivo dei gesuiti. Questa conoscenza sarebbe stata acquisita non solo attraverso i ne-storiani, ma anche attraverso i mongoli”. Nonostante la grande persecuzione dell’845 in Cina, che determinò la temporanea scomparsa del cristianesimo, pare che le tracce diffuse preparassero l’ulte-riore germinazione.

 Volendo ricostruire la circolazione di altre idee religiose non si può tuttavia ignorare la possibile contaminazione anche dello zoroastrismo proveniente dall’Iran mentre sempre riferendosi all’in-flusso dell’Iran, la studiosa francese Marie Thérèse de Mallman lo attribuisce all'elemento “caldeo-

iraniano” penetrato però solo nel buddismo indiano. Tuttavia c’è chi vuole vedere nella credenza del paradiso amidista anche un riferimento, sempre iraniano, a quello descritto nell’Avesta e presieduto da Ahura-Mazda per cui secondo padre Léon Wieger, missionario gesuita francese, “l‘amidismo è una setta mazdaica“. Evidentemente c’è una contraddizione nell’interpretazione di autorevoli ese-geti se si pensa che Paul Claudel non esitava a dichiarare invece:”L’Amida della Cina e del Giap-pone è quasi cristiano” ed è forse opportuno sottolineare quanto affermato da un profondo conosci-tore della tradizione tibetana, Jacques Bacot, nel suo “Milarépa“:”Niente è così ingannevole come questa trasposizione di termini da una religione all‘altra“!

 Purtroppo molti equivoci sulla comprensione delle dottrine orientali sono dovuti allo spirito di tanti filologi occidentali che nel loro tipo di indagine guardavano esclusivamente agli aspetti filolo-gici, appunto, anziché approfondire i genuini contenuti spirituali e spesso agli stessi storici occiden-tali delle religioni che volevano, per forza, trovare analogie con le loro assunzioni confessionali ac-quisite direttamente o indirettamente.

(Autore: C. Aiello, pubblicato in giugno 2013)