Tuscia esoterica I

                    Le Dimore Filosofali della Tuscia del XVI secolo

                                                    (nota preliminare)

                                                     Paolo Galiano©

 

Questo articolo costituisce una “nota preliminare” ad un lavoro più ampio sulle “Dimore filosofali della Tuscia viterbese”, nel quale saranno esaminate in particolare alcune delle più importanti ville e dei giardini, espressioni dell’ermetismo filosofico cinquecentesco: il Sacro Bosco di Bomarzo, il Palazzo e il giardino di Caprarola, e infine il Palazzo e il giardino di Bagnaia. Su questo giardino è già stato pubblicato dalle edizioni Simmetria un primo saggio a cura di Claudio Lanzi: “Ermetismo e dottrina pitagorica nel parchi rinascimentali: Villa Lante di Bagnaia” (ed. Simmetria, Roma 2012).

 

  • Parte I :Raimondo De Sangro e l’“Allume di Roma”

 

Il Principe Raimondo De Sangro[1], sia ne Il Lume eterno[2] che nelle Lettere a Giraldi[3], facendo riferimento al Lazio parla delle “tante lucerne [trovate ancora accese nelle tombe] che si dice essere state scavate nel territorio di Viterbo” (Lettere pag. 18), ed afferma che “la maggior parte di questi Antichi sepolcri, nei quali si sono osservate queste luci, sono stati trovati nelle terre dello Stato Pontificio, che sono fertilissime di Sali alluminosi[4] e che per questo prendono il nome di Allume di Roma” (Il Lume eterno pagg. 41-42). Si è visto in questo ritrovamento di “lumi” nel Lazio un’allusione spregiativa al fatto che gli uomini della Chiesa sono persone prive di lume (allume = a-lumen[5]); ma perché proprio il “territorio di Viterbo”? La mia ipotesi che l’affermazione fosse in rapporto alla presenza in questa regione di centri esoterici (le “Accademie etrusche” di Firenze e di Cortona) che cercavano di perseguire l’illuminazione trascendente per mezzo di vie spirituali derivanti dalla sapienza etrusca è fuorviante perché essi si trovano al di fuori dello “Stato Pontificio” a cui fa riferimento Raimondo; la seconda ipotesi, che si trattasse di un’allusione al cardinale Egidio di Viterbo (1469-1532), mi sembra ad una più attenta valutazione di per sé sola insufficiente.

Certo, Egidio fu amico dei più grandi ermetisti del suo tempo, Pico della Mirandola, incontrato a Venezia, Marsilio Ficino, cui si deve la traduzione e la diffusione delle opere del Corpus Hermeticum e la creazione dell’Accademia Platonica di Firenze, che conobbe nel 1496 a Firenze, e Iacopo Sannazzaro e il Pontano, alla cui Accademia fu affiliato, con i quali ebbe rapporti di amicizia nel suo soggiorno napoletano tra il 1498 e il 1501; tradusse in latino i principali scritti esoterici cabalistici e realizzò un’integrazione tra Qabbalah ebraica e spiritualità cristiana, ed infine ebbe parte di rilievo nello preparazione della Controriforma che sarà poi sancita nel Concilio di Trento voluto proprio da papa Paolo III (1468-1549) della famiglia Farnese, la casata che più di tutte le altre a lei contemporanee sviluppò il simbolismo ermetico nei suoi possedimenti della Tuscia viterbese. Non meno importante è che proprio Paolo III, il quale aveva avuto come precettore l’umanista Pomponio Leto, prima di divenire cardinale abbia soggiornato per due anni (tra il 1486 e il 1489) a Firenze presso la corte di Lorenzo de’ Medici, e come Egidio in tale occasione entrò in rapporti di amicizia con Pico della Mirandola ed ebbe come maestro Marsilio Ficino.

Queste considerazioni mi hanno indotto ad esaminare più approfonditamente l’argomento e ciò ha portato l’attenzione sul fatto che nella Tuscia viterbese del XVI secolo vissero i rami di alcune delle grandi famiglie nobili italiane, in particolare i Farnese e gli Orsini, che fecero di questa regione uno dei centri dell’Ermetismo italiano, con ville, giardini e chiese che sono degni di essere messi a confronto con le “dimore filosofali” studiate da Fulcanelli nei suoi lavori sui palazzi signorili e le cattedrali di Francia. Potrebbe essere questo il significato (o almeno uno dei significati) delle frasi del De Sangro: la Tuscia era stata, nei secoli a lui precedenti, il luogo in cui si era cercato di realizzare una Via alchemico-ermetica e di trasmetterne “visivamente” le tappe principali[6].

 

  • LE “DIMORE FILOSOFALI” DELLA TUSCIA VITERBESE

 

La Tuscia è soprattutto nota per il Bosco Sacro di Bomarzo (costruito da Pirro Ligorio su commissione di Pierfrancesco II Orsini chiamato Vicino, 1542-1585) e per i palazzi di Bagnaia (la villa, ora proprietà Lante, fu iniziata dal cardinal Ridolfi e completata dal cardinale Gianfrancesco Gambara, 1533-1587) e di Caprarola, edificato per il cardinale Alessandro Farnese il giovane, 1520-1589, nipote di Alessandro Farnese il vecchio poi papa Paolo III, da Jacopo Barozzi detto il Vignola (artefice anche del Palazzo dei Della Cornia a Castiglion del Lago, forse anch’esso una “dimora filosofale”) e da Tommaso Ghinucci (l’architetto idraulico che costruì le fontane e la catena d’acqua di Caprarola e forse fu anche l’artefice delle sapienti fontane di Villa d’Este a Tivoli, volute dal cardinale Ippolito d’Este); ma questi costituiscono solo gli aspetti più conosciuti dell’Ermetismo del ‘500 nel Lazio, poiché in realtà costruzioni analoghe, palazzi e ville con i loro giardini o “boschi”, in tale periodo sono molto più numerose e in buona parte sconosciute o ampiamente rimaneggiate o addirittura perdute; di certo parte di esse costituiva solo una tranquilla residenza di campagna senza alcuna pretesa di esoterismo, ma in altri casi vi sono indizi di una possibile significazione alchemico-ermetica del complesso o di parte di esso, per cui ritengo necessario presentare una visione generale delle costruzioni presenti nella regione[7] per poi esaminarne alcune più in particolare.

 

Tra le proprietà della famiglia Farnese in Tuscia vi sono la Rocca Farnese di Capodimonte e il Palazzo Farnese di Gradoli, costruiti da Antonio Sangallo il Giovane su commissione di Alessandro Farnese il vecchio, e i pochi ruderi del casino di caccia del nipote omonimo a Ronciglione, luoghi nei quali non si conoscono, almeno al momento, elementi di particolare interesse.

Il castello di Vignanello (ora proprietà Ruspoli), sorto su di un preesistente convento benedettino, era proprietà di Beatrice Farnese dei Duchi di Làtera, sorella di Galeazzo e zia di Giulia moglie di Vicino Orsini (da non confondere con Giulia “la bella”, sorella di papa Alessandro Farnese, moglie di Orso Orsini e amante di papa Borgia), e fu completato dalla figlia Ortensia con l’opera di Sangallo il Giovane; alla nipote Ottavia, figlia di Vicino Orsini, è dovuto l’impianto del giardino all’italiana con le sue fontane ed una grotta-ninfeo, ancora conservati nelle strutture originarie, in particolare il grande giardino diviso in dodici partizioni con siepi disegnanti diverse forme di labirinto.

         

      

                         Vignanello: i giardini di Palazzo Farnese (da Internet)

 

Un discorso a parte, che sarà fatto nei prossimi paragrafi, meritano Carbognano, piccolo paese vicino a Caprarola, dove Giulia “la bella” decorò il suo Palazzo con una serie di affreschi centrati sul tema dell’Unicorno, Bolsena, dove il cardinal Tiberio Crispo, figliastro di Alessandro Farnese il vecchio (in quanto figlio di primo letto della sua amante Silvia Rufini), costruì la sua Rocca durante il periodo in cui fu governatore della città, e Farnese, forse il luogo di origine della famiglia, dove Mario Farnese Duca di Làtera fece affrescare tre chiese con quadri e dipinti murali i cui soggetti richiedono una descrizione particolareggiata.

Il Palazzo Orsini di Bomarzo, iniziato da Baldassarre Peruzzi già prima della nascita di Vicino Orsini, artefice del Bosco Sacro, fu da questi completato con l’opera degli scultori e pittori Francesco e Simone Moschino e con la costruzione, tra l’altro, di una loggia affrescata forse da Taddeo Zuccari con il tema della lotta fra gli Dèi dell’Olimpo e i Giganti, tema consigliato, su richiesta dell’Orsini, da Annibal Caro e da costui minuziosamente descritto in una sua lettera; purtroppo della loggia e dei suoi dipinti non rimane traccia.

Gli Orsini edificarono in Tuscia altri castelli e palazzi con parchi annessi: a Pitigliano, il cui parco in località Poggio Strozzoni, così detta perché la tradizione vuole che qui Orso Orsini strangolasse la moglie che forse lo aveva tradito, era ornato con statue enormi, troni e altre costruzioni scolpite direttamente nelle emergenze di tufo, analogamente al Bosco di Bomarzo  e a Sorano, con un giardino posto sotto il bastione San Marco della fortezza Orsini, ornato anch’esso con figure mitologiche e statue simboliche, fontane e grotte ricavate nel tufo[8].

 

                 

Pitigliano, i resti del “sacro bosco” di Poggio Strozzoni: i due troni intagliati nel tufo (Pro Loco di Pitigliano)

 

                   

                   Pitigliano, i resti del “sacro bosco” di Poggio Strozzoni: il “padiglione”

 

Nel Palazzo di Sorano si trova una piccola stanza situata nella torre ottagonale, che si ritiene fosse la stanza privata di Niccolò IV Orsini, con affreschi cinquecenteschi di scene mitologiche e grottesche, in cui è dipinta la partitura musicale di un madrigale musicato a quattro voci, la canzone di Giovanni Boccaccio Io mi son giovinetta (Decamerone, IX giornata).

Un altro giardino decorato con statue mitologiche scolpite nella roccia si trova presso Viterbo: si tratta del recente ritrovamento di quella che per ora viene chiamata “Villa di Donna Cornelia Nini”[9], madre di Paolo, il primo marito di Olimpia Maidalchini, poi Pamphili in seconde nozze e cognata di papa Innocenzo X, la quale alla morte di Paolo nel 1611 ereditò le proprietà della famiglia di questi per estinzione della casata. Quando e da chi sia stato scolpito il complesso statuario, ottenuto lavorando grandi massi di tufo peperino intorno alla villa, al momento non è possibile dirlo.

 

            

Viterbo, Villa di “Donna Cornelia”: Ercole (acefalo) e Pan con la spada in pugno separati da un grande vaso (da tusciaweb.eu).

 

Certo, la presenza di figure come Pan ed Ercole, di scene forse correlate con il mito di Esione, di un Dio-fiume non identificabile riportano al frequente utilizzo delle divinità dei Gentili in queste dimore cinquecentesche ma non si può asserire, nel caso della Villa di Donna Cornelia, che si possa trattare di una voluta manifestazione di interesse per l’ermetismo, anche se Ercole e le sue dodici fatiche sono sempre state oggetto di un’interpretazione ermetica ed alchemica. 

 

                                  

               Viterbo, Villa di “Donna Cornelia”: Esione incatenata (da tusciainrete.it)

 

 

Che tali sculture risalgano al XVI secolo lo si può dedurre dal fatto che è proprio nel ‘500 che su di una precedente fortificazione del XII-XIII secolo si viene a costruire quella che doveva essere probabilmente una villa o un casino di caccia, ed è certo che sia Donna Cornelia che il figlio Giacomo furono particolarmente attivi “in quanto a progetti, commissioni e realizzazioni artistiche in stabili di proprietà o di enti ecclesiastici”, in particolare (e forse non a caso) a favore del Convento degli Agostiniani di Viterbo, l’Ordine nel quale all’inizio del secolo aveva vissuto Egidio da Viterbo (1469 – 1532), il cardinale amico degli ermetisti fiorentini e napoletani e primo traduttore dei testi più importanti della Qabbalah.

***Il palazzo di Bassano Romano fu edificato dagli Anguillara e completato a fine ‘500 dal Marchese Vincenzo Giustiniani (ora proprietà Odescalchi) ad opera dei Sangallo e affrescato da Antonio Tempesta, dal Domenichino e dagli Zuccari, oltre ad altri pittori minori; il giardino, rimaneggiato, è ormai in degrado per la scomparsa delle molte sculture che lo adornavano.

Il castello di Gallese fu commissionato da Nicola della Rovere (1485?-1530) a Sangallo il Vecchio, e in seguito venne acquistato dal cardinale Marco Altemps (ora proprietà dei Duchi Hardoin di Gallese). Il Della Rovere era imparentato con gli Orsini e i Farnese, avendo sposato Laura Orsini figlia di Orso Orsini e di Giulia Farnese. Nel parco si trova tutt’oggi una grotta naturale con un laghetto generato da una sorgente naturale, ma non vi sono particolari di rilievo da ricordare.

A Soriano del Cimino si trova la Villa Papacqua (ora proprietà Chigi Albani) del principe-vescovo di Trento Cristoforo Madruzzo (1512-1578), che vi ospitò più volte l’amico Vicino Orsini, nota per la Fontana di Papacqua, costruita dall'architetto Ottaviano Schiratti e dallo scultore Giovanni Bricciano da Fiesole, singolare perché, pur essendo il Madruzzo cardinale dell’Inquisizione, mette in contrapposizione la figura di Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia con figure gigantesche di Pan e di fauni, forse a significare l’opposizione tra la religione cristiana e quella gentile: probabilmente vi si deve vedere l’apporto immaginativo di Vicino Orsini, che fu spesso ospite del suo palazzo.

 

    

Soriano, la Fontana Papacqua: donna sdraiata simbolo delle acque, Pan gigantesco e pastore che suona il flauto (da Internet)

 

  • LA “RETE DEGLI INTELLETTUALI”

 

Una rete di matrimoni e di alleanze univa in questo secolo le due grandi famiglie della Tuscia, gli Orsini e i Farnese, estendendosi ad altre grandi famiglie nobiliari che ebbero parte di rilievo nella conservazione e nella diffusione dei principii dell’esoterismo fin quasi ai nostri giorni: ad esempio Alessandro il vecchio, papa Paolo III, era figlio di Pierluigi Farnese e di una Caetani di Sermoneta; sua sorella Giulia “la bella” era moglie di Vicino Orsini e la loro figlia sposò Niccolò Della Rovere; Pierluigi, figlio del cardinale Alessandro il vecchio e primo Duca di Castro e poi di Parma e Piacenza, sposò un’altra Orsini, Girolama degli Orsini di Pitigliano; il ramo collaterale dei Duchi di Làtera aveva a sua volta unito i Farnese con l’antico casato parmense dei Meli Lupi di Soragna attraverso il matrimonio di Fabio con Camilla, la cui madre, Isabella Pallavicino di Cortemaggiore, era grande mecenate (fu la protettrice di Torquato Tasso) e fondatrice dell’Accademia degli Illuminati a Farnese.

Questa rete di matrimoni fu alla base della nascita dei grandi complessi ermetici della Tuscia: la vicinanza delle famiglie degli Orsini, dei Farnese e dei Lupi-Pallavicino favorì lo scambio di idee e di manodopera per la creazione di giardini e di palazzi che “visualizzavano” l’Opera alchemica ed ermetica per mezzo di una seconda rete che potremmo definire “rete di intellettuali”: tra i principali esponenti di essa, solo per citare l’esempio più interessante, ricordiamo Annibal Caro.

La vita di  Annibal Caro (1507-1566), il traduttore dell’Eneide, merita di essere tratteggiata per l’apporto che egli diede alla edificazione sia di Villa Farnese a Caprarola sia, in parte, del Palazzo di Vicino Orsini a Bomarzo.

Annibal Caro studiò al liceo di Fermo nel tempo in cui era vescovo Niccolò Gaddi, esponente di una famiglia di banchieri fiorentini, e forse grazie al cardinale entrò in contatto con i Gaddi dal 1525, prima come precettore di Lorenzo Lenzi, nipote del vescovo, e poi dal 1529 come segretario del futuro cardinale Giovanni Gaddi, fratello minore del vescovo, che seguì dapprima a Firenze e poi a Roma fino al 1542 (anno di morte del Gaddi). In questo periodo entrò a far parte dell’Accademia dei Vignaioli, poi detta dei Virtuosi, fondata da Claudio Tolomei nel 1530 sotto il patronato del cardinale Ippolito dei Medici[10]; nel 1539 fu con il Gaddi a Napoli dove conobbe Juan de Valdès[11], frequentando il suo cenacolo di studiosi ed umanisti e intrattenendo rapporti con quello di Giulia Gonzaga[12] nel castello di Fondi, di cui facevano parte, tra gli altri, Caterina Cybo, Vittoria Colonna[13], Francesco Berni e Sebastiano del Piombo; conobbe anche Bernardo Tasso padre di Torquato, il poeta Luigi Tansillo e Bernardino Telesio[14] e nel 1542 a Venezia incontrò Pietro Aretino e Sperone Speroni, autore del Dialogo delle lingue, sul problema della lingua da utilizzare fra lingue classiche e volgari. Dopo la morte del Gaddi fu segretario dal 1543 al 1547 di Pier Luigi Farnese, primo Duca di Parma e Piacenza, poi del cardinale Alessandro Farnese il giovane dal 1548 al 1563; cavaliere del Collegio dei Cavalieri Loretani dal 1551, per interessamento dei cardinali Ranuccio e Alessandro Farnese ebbe nel 1555 la nomina a Cavaliere di Grazia dell'Ordine di San Giovanni (ora di Malta) e gli fu affidata la Commenda dei SS. Giovanni e Vittore in Selva a Montefiascone.

Il suo ingresso nel mondo dell’ermetismo cinquecentesco avvenne per mezzo della partecipazione al cenacolo di umanisti, studiosi, letterati e artisti (tra cui Benvenuto Cellini), ma anche alchimisti come Allegretti e Varchi, che faceva capo a Giovanni Gaddi e si riuniva nel suo palazzo di Roma,  singolare analogia con un’altra cerchia di umanisti, quella dell’Accademia neoplatonica di Firenze, che era posta sotto la protezione di un altro discendente di una famiglia di banchieri, Cosimo I Medici. È da rilevare l’esistenza di rapporti tra queste cerchie di artisti e di studiosi, perché sia Varchi che Allegretti, amico per lungo tempo del Caro, erano al contempo partecipi del cenacolo di Gaddi e di quello di Cosimo I Medici e quindi, in un certo senso, potevano veicolare idee e studi dall’uno all’altro e viceversa.

Antonio Allegretti, autore del De la trasmutatione de’ metalli, dedicato a Cosimo I Medici, e del poema astrologico Delle cose del cielo[15], il cui lavoro secondo gli studiosi dipenderebbe dalla Chrysopoeia di Giovanni Augurello[16] (1456-1524), fu a Napoli forse insieme al Caro nel 1538, dove conobbe alcuni intellettuali napoletani con cui mantenne in seguito i contatti[17]; i rapporti tra Caro e Allegretti col tempo si deteriorarono, come lamenta il Caro in una sua lettera[18] del 1550 per poi cessare del tutto.

Benedetto Varchi, con cui il Caro aveva studiato a Firenze, era discepolo dell’aristotelico Ludovico Boccadiferro e autore delle Questioni sull’alchimia (1544), che Caro conobbe sicuramente[19]. Il Varchi è considerato però non un vero alchimista[20] ma solo un aristotelico che compose l’opera per la volontà del committente ma con una scarsa conoscenza dei testi alchemici (la sua opera fu scritta per Pedro di Toledo viceré di Napoli e padre di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I Medici).

Tra le altre testimonianze dell’impegno del Caro nella partecipazione alla costruzione del Palazzo di Caprarola si possono citare le lettere ad Onofrio Panvinio[21], con una minuziosa descrizione delle pitture da farsi per la “Stanza della Solitudine”, e qa Taddeo Zuccari[22], che lavorò a Caprarola tra il 1563 e il 1564, in cui indica dettagliatamente i soggetti, la loro disposizione e i colori da usare per le pitture nella “Camera da Letto” del cardinale; in ambedue i casi il Caro dimostra grande competenza nella conoscenza delle divinità dei Gentili e dei modi adatti per dipingerli, dai vestiti ai colori da adoperare.

La fiducia del Caro in Taddeo Zuccari è dimostrata dal fatto che lo raccomandò a Vicino Orsini per il suo Palazzo di Bomarzo: in risposta all’Orsini[23], che gli aveva chiesto l’argomento per una loggia che voleva far dipingere nel suo castello, il Caro consiglia Zuccari come pittore e descrive[24] come raffigurare i diversi temi della battaglia dei Giganti contro gli Dèi dell’Olimpo da lui proposta, ma avverte che scrive solamente di come raffigurare i personaggi, perché “se io mi volessi distendere a scrivere i misteri, i significati e le diverse oppinioni che vi sono, e i discorsi che si possano far su, sarìa fuor di quello che mi domanda e ci sarìa che fare assai”.

Taddeo Zuccari e la sua scuola pittorica sono anche presenti in una villa del Cinquecento dell’Umbria, nella cui edificazione sembra essere forte la significazione ermetica (ad esempio, la base della planimetria della villa è il rettangolo aureo): la cosiddetta “Villa del cardinale” a Monte Tezio presso Perugia[25], fatta edificare dal cardinale Fulvio Della Cornia ed affrescata dai fratelli Zuccari o almeno da pittori della loro scuola; nel secolo seguente il nuovo proprietario, il Conte Alessandro Oddi Baglioni, ne accentuò i caratteri ermetici sottolineando nel cosiddetto “Bagno del cardinale” il simbolismo dell’acqua a cui la villa era legata per la sua posizione. La famiglia dei Della Cornia confermò i suoi interessi per l’Ermetismo con un’altra opera, le sotterranee “Stanze del mondo invertito” (affrescate, come gran parte del Palazzo, dal Pomarancio) del Palazzo Ducale di Castiglion del Lago, costruito da Ascanio fratello di Fulvio con l’apporto di Cesare Caporali, membro dell’Accademia degli Insensati di Perugia e già segretario del cardinale Giulio d’Acquaviva.

 

 


[1] Rimando alla recente riedizione di GALIANO Raimondo De Sangro e gli Arcana Arcanorum, Roma 20142 per il significato della “Luce” e del “Lume eterno” nelle operazioni ermetiche del Principe.

[2] DE SANGRO Dissertation sur une lampe antique trouvée a Münich en l’annèe 1753, Napoli 1756 (trad. Il Lume eterno, a cura di Lacerenza, Foggia 1999).

[3] DE SANGRO Lettere del Signor D. Raimondo di Sangro… al signor Cavaliere Giovanni Giraldi (raccolte e pubblicate a cura di Crocco, Napoli 1969).

[4] L’allume è utilizzato nelle sperimentazioni per la fabbricazione dei “Fosfori” di cui parla De Sangro nelle sue opere: alchemicamente l’Allume è “il nome che i Filosofi hanno dato qualche volta al loro sale, che non è l’allume volgare, ma un sale principio dell’allume, degli altri Sali, dei minerali e dei metalli” (PERNETY Dizionario mito- ermetico, Paris 1758 - traduzione italiana Genova 1979). Il Sale è definito da Pernety come “la terra fogliata dei Savi, il primo essere di tutti i sali”, cioè la materia dell’Opera.

[5] Il Lume eterno cit. pag. 16.

[6] L’aggiunta delle date di nascita e di morte accanto ai personaggi, i loro rapporti di parentela ed i nomi degli architetti e dei pittori che lavorarono alle costruzioni si rendono necessari per comprendere meglio la relazioni esistenti tra i personaggi e le opere a cui si fa riferimento. 

[7] Traggo dall’opera della VAROLI PIAZZA Paesaggi e giardini della Tuscia Roma 2000 una lista degli edifici e dei giardini di maggior interesse presenti nella Tuscia viterbese, limitandomi al periodo che qui interessa, cioè il XVI secolo.

 

[8] VAROLI PIAZZA Paesaggi e giardini cit. pag. 157.

[9] Una comunicazione preliminare è stata fatta da BISCIONE L’insediamento in località Ponte dell’Elce: analisi del complesso architettonico medievale e rinascimentale, in “Studi vetrallesi” 15, 2006 pagg. 30-36, da cui sono tratte le notizie sulla Villa.

[10] Catholic Encyclopedia sub voce “Roman Academy”.

[11] Da non confondere con Pietro Valdo, il riformatore religioso che dette vita al movimento valdese.

[12] Delle lettere familiari del commendator Annibal Caro (a cura di A. F. Seghezzi), Padova 1742, 2 voll., Lettera 196 vol. I pag. 338.

[13] Lettere ai familiari Lettera 197 vol. I pag. 339.

[14] ROMAGNOLI Annibal Caro a Napoli, in www.centrostudicariani.it/.

[15] Il manoscritto è stato ritrovato nei fondi della famiglia Gaddi e pubblicato da NAVARRO Antonio Allegretti: Delle cose del cielo, edizione critica con appendice di poesie edite ed inedite, Universitat de Valencia 2006.

[16] Giovanni Aurelio Augurello visse a Roma dove conobbe Teodoro Gaza, autore di un saggio sul Fato, fu amico del Ficino e di Poliziano a Firenze ma visse la seconda parte della vita a Treviso, dove insegnò e fu canonico della Cattedrale. La Chrysopoeia, un poema latino in esametri in tre libri, fu pubblicato a Venezia nel 1515, anno in cui l'Augurello ricevette la dedica di un'edizione veneziana delle opere del Sannazzaro stampata da Alessandro Paganini. Soggetto della Chrysopoeia, che l'A. dedicò a papa Leone X Medici, è l'Alchimia, il che suggerisce, ma non prova, che l'autore ne avesse diretta esperienza: il primo libro discute se sia possibile produrre artificialmente l'oro, fino a qual punto vi si possa giungere forma il soggetto del secondo libro, mentre nel terzo vengono esaminati e discussi l'ambiente, le condizioni e l'attrezzatura necessari a tale attività.

[17] Vedi la biografia in Navarro.

[18]Lettere ai familiari Lettera 193 del 18 aprile 1550 vol. I pag. 333, che si conclude con una frase di oscuro significato: “Dell’altre cose che dite sotto velame, finché non mi scoprite quel che volete dire, non so che mi debba rispondere”.

[19] Lettere ai familiari Lettera 205 dcl 6 Giugno 1563 vol. I pag. 348 a Torquato Conti di Poli: “Ho soprasseduto finora a scrivere a V. S. cercando di trovar quel trattato del Varchi sopra l’alchimia che le promisi mandare. Scriverò sabato al Varchi medesimo e vedrò riaverlo da lui”.

[20] Per lo meno questa è l’opinione del MARRA, ottimo studioso dell’Ermetismo e dell’Alchimia, espressa nel suo sito www.massimomarra.net.

[21] Lettere ai familiari Lettera 243 del 15 maggio 1565 vol. II pag. 410.

[22] Lettere ai familiari Lettera 188 del 2 novembre 1562 vol. II pag. 303.

[23] Lettere ai familiari Lettera 230 del 20 ottobre 1564 vol. II pag. 387.

[24] Lettere ai familiari Lettera 232 del 12 dicembre 1564 vol. II pag. 390.

[25] Si veda NICOLETTI Il giardino ermetico del Cardinale Fulvio Della Corgna, in www.beniculturali-patrimoni.it.

 

 

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