Il Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso”

                                                       dell’Università di Torino

 

                                                                    (M. Uberti)

 

Il professor Massimo Centini, antropologo, è un esperto di Cesare Lombroso (1835-1909)[1], avendo studiato il personaggio e la sua attività a lungo. Conosce anche molto bene il Museo dov’è conservato il materiale che il "ricercatore del crimine” aveva raccolto durante la sua professione. Averlo come special guide nella nostra visita (tra pochi amici) è stato quindi importante perché se è vero che il museo è ben organizzato (con descrizioni puntuali accanto ad ogni ambiente e ad ogni singolo reperto),  usufruire di un “accompagnatore” che dà dei suggerimenti e racconta degli aneddoti arricchisce ulteriormente la visita stessa. Grazie, quindi, a Massimo che amichevolmente ci ha onorato della propria esperienza. Anche perché aggirarsi in questo ambiente richiede pazienza, interesse, motivazione e non semplice curiosità. Il luogo non è macabro, ed è un museo unico al mondo; tuttavia l’inventario è inquietante: 684 crani e 27 resti scheletrici umani, 183 cervelli umani, 58 crani e 48 resti scheletrici animali, 502 corpi di reato utilizzati per compiere delitti più o meno cruenti, 42 ferri di contenzione, un centinaio di maschere mortuarie, 175 manufatti e 475 disegni di alienati, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute, folcloristici abiti di briganti, persino tre modelli di piante carnivore[2]. E' altresì un Museo che ha dato adito a feroci polemiche poco dopo la sua apertura al pubblico, nel 2009[3].

La storia della nascita del museo[4] è legata strettamente alla raccolta privata di Cesare Lombroso, che l’aveva allestita fin da ragazzo prima nella propria camera (le padrone di casa ne avevano anche timore, confessò in seguito), poi “in una specie di granaio che fungeva da laboratorio nella via Po” (il Laboratorio di Medicina Legale dell’Università di Torino (allora via Po, 18). Quando la collezione cominciò ad aumentare sensibilmente, grazie a donazioni pubbliche e private, venne trasferita in uno dei nuovi edifici universitari del Valentino, per passare poi nell’ex Istituto di Medicina Legale di Via Galilei. Nel 2009, dovendo aprirlo al pubblico, è stata definita la sede del Palazzo degli istituti Anatomici in via Pietro Giuria, 15.

Ma che collezione aveva raccolto il Lombroso? Avendo scelto studi di Medicina, si sentì portato verso lo studio sulla criminalità, fondando per la prima volta una scienza che fosse in grado di spiegare perché la criminalità stessa esiste. Intendeva, cioè, fornire una spiegazione scientifica agli atti criminali degli individui. Oggi l’unico merito che gli viene riconosciuto è la fondazione dell’ Antropologia Criminale, essendo venute meno le sue teorie nei campi correlati ma anche perchè esse comportarono una deviazione verso la commistione della "questione criminale" con problematiche di chiaro stampo razziale.

Per poter formulare un postulato, lo scienziato Lombroso aveva bisogno di dati, perché era convinto che  i comportamenti criminali fossero determinati da predisposizioni di natura fisiologica, i quali spesso si rivelavano anche esteriormente nella configurazione anatomica del cranio.

Le origini di questi studi gli derivavano dalla lettura dell’opera del medico e linguista Paolo Marzolo (1811-1868), Monumenti storici rivelati dall’analisi della parola. Fu lì che apprese  l’importanza dei segni e dei linguaggi per lo studio dell’uomo, nonché il gusto «di cercar fatti dappertutto, in tutte le branche della scienza».  

Nel 1859 (mentre prestava servizio militare nell’esercito piemontese come medico volontario) si potè procurare molti teschi e cervelli di deceduti, potendo così effettuare facilmente le misure craniche di cui necessitava. Lombroso stesso scrisse che: “Il primo nucleo della collezione fu formato dall’esercito, avendovi vissuto parecchi anni come medico militare, prima del ’59 e poi nel ’66, ebbi campo di misurare craniologicamente migliaia di soldati italiani e raccogliere molti crani e cervelli. Questa collezione venne mano a mano crescendo, con i modi anche meno legittimi, dallo spolio di vecchi sepolcreti abbandonati: sardi, valtellinesi, lucchesi, fatto da me, dai miei studenti e amici di Torino e di Pavia”.

 

                                                      

 

Nel 1862 fu chiamato a tenere un corso sulle malattie mentali all’ateneo di Pavia, dove si era laureato nel 1858, con una tesi sul “Cretinismo endemico”. Durante gli anni universitari fece esperienze a Pavia, a Vienna e a Padova, restando influenzato dall’attività di Bartolomeo Panizza (1785-1867), che insegnava tecniche di anatomia microscopica per lo studio del cervello.

Nel 1862 partecipò alla campagna contro il brigantaggio in Calabria, dove seppe ampliare il suo campione di osservazione e sviluppare l’interesse etnografico. Fu la scoperta dell’ antropologia della sofferenza. Nel 1866 lasciò l’esercito e l’anno seguente fu nominato professore straordinario di clinica delle malattie mentali a Pavia: si occupava di diagnostica, tecnica manicomiale, dando inizio allo studio sistematico della pellagra.

Con La circolazione della vita, del 1869 (traduzione di Der Kreislauf des Lebens del 1852) di Jakob Moleschott (1822-1893), contribuì a diffondere il materialismo in Italia.

Nel 1871 iniziò il suo periodo pesarese, dove venne incaricato della direzione dell’ospedale psichiatrico della città marchigiana. Fu qui che gli venne l’idea di creare dei “manicomi criminali” destinati agli alienati che delinquevano e agli alienati pericolosi. L'anno dopo rientrò a Pavia e iniziò gli studi che lo portarono all' elaborazione della "teoria dell'uomo delinquente". Pochi anni dopo, nel 1876, si stabilì a Torino, dove proseguì il resto della sua carriera, come professore di igiene pubblica e medicina legale all'università di Torino (1876), di psichiatria (1896) e infine di antropologia criminale (1905). Nel 1882 venne radiato dalla Società italiana di Antropologia ed Etnologia (il termine radiato è scritto a matita accanto al suo nome nell'elenco dei membri pubblicato nel 1882, p. 124, nel volume XII dell'Archivio conservato nella Biblioteca dell'Archivio di Antropologia di Firenze (Francesco G. Fedele- Alberto Gualdi "Alle origini dell'antropologia italiana: Giustiniano Nicolucci e il suo tempo",ì Guida Editori, 1988, nota 10).

Sofferente di “Angina pectoris”, morì il 19 ottobre del 1909 per un attacco più forte degli altri. Stava lavorando al libro "Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici".

La sua produzione bibliografica fu sterminata; tra i saggi prodotti ricordiamo La medicina legale dell'alienazione (1873); L'uomo criminale (1875); L'uomo delinquente (1876); L'antisemitismo e le scienze moderne (1894); Il crimine, causa e rimedi (1899), che è considerato la sintesi dei lavori precedenti.

 

                   

 

  • Visitiamo il Museo

 

Seguiamo il nostro percorso museale, che ci porterà ad avere un quadro sufficientemente chiaro del personaggio e delle sue teorie, rimandando poi l’interessato all’approfondimento, perché esaurire in poche righe l’opera di Lombroso è impossibile. L’allestimento ci ha permesso anche di riflettere sugli errori della scienza.

Il Museo è composto da nove sale.

 

1.La prima (“Motori, farmaci, telefono, lampadine”)  in quadra il contesto culturale in cui visse Lombroso; tra fine XIX e inizio XX secolo scienza e tecnologia cambiarono i modi di vita occidentale. Lombroso è da tutti riconosciuto come seguace del positivismo. C’è da riflettere sul cosiddetto progresso e sui suoi limiti…

 

2. Nella seconda sala (“Misurare, misurare”), sono esposti alcuni degli strumenti scientifici (estesiologici, antropometri, faradireometri, ergografi) che Lombroso utilizzava per le sue rilevazioni morfologiche e funzionali. Misurazioni e statistiche furono alla base della sua attività rivolta allo studio della follia, della delinquenza, della genialità: fenomeni che potevano e dovevano essere quantificati e spiegati con il metodo sperimentale.

 

                                          

 

3. E’ nella terza sala (il “Museo storico di Lombroso”) che ci troviamo di fronte allo scheletro del fondatore, che lo volle esposto come da volontà testamentaria. In coerenza con le sue idee lasciò infatti la propria salma alla scienza per l’esame autoptico e per la sistemazione dei resti (scheletro, volto, cervello, visceri[5]) nel museo antropologico da lui fondato nel 1892. Nella stessa sala, alzando lo sguardo, si notano grandi ritratti di criminali, ciascuno appellato con le proprie “caratteristiche fisiognomiche”, geografiche e criminali o stigmate anatomiche che potevano essere la lunghezza degli arti, la dimensione del cranio o il suo maggiore spessore, i denti canini, la mascella pronunciata, la forma del naso, la minore sensibilità al dolore, ecc. o stigmate sociali (esempio la presenza di tatuaggi). E' chiaro che questi parametri appaiano oggi del tutto arbitrari. Per Lombroso esistevano quattro grandi categorie di criminali: quelli nati, quelli alienati, quelli occasionali e quelli professionali. Nelle vetrine d’epoca si trovano centinaia di oggetti (corpi di reato, reperti umani, maschere mortuarie, manufatti che i carcerati eseguivano in carcere o nel manicomio). Gli arredi di legno furono realizzati da Eugenio Lenzi, che era un recluso nel manicomio di Lucca; di lui possiamo ammirare incredibili manufatti come l'enorme pipa-calumet, il mobile-secretaire, la pseudo-specchiera, che avevano affascinato Lombroso.

 

                                                 

 

 

4. La quarta sala (“La Rivelazione”) è dedicata al 1870 e ad una tappa cruciale del lavoro di Lombroso: l’atavismo. In poche parole, Lombroso si convinse che il criminale possedesse delle caratteristiche anatomiche che lo accomunavano all’uomo primitivo e per questo, agendo sotto una sorta d’impulso istintuale innato, delinquesse. Il postulato prese avvio dall’esame necroscopico del cervello di un brigante calabrese, Giuseppe Villella, morto per scorbuto e tifo. Aprendo la testa del Villella per eseguire l’esame autoptico, Lombroso  - in luogo della consueta sporgenza determinata dalla ‘cresta occipitale interna’- rilevò una concavità a fondo liscio (‘fossetta occipitale interna’) che gli suggerì l’esistenza di una struttura nervosa molto antica nella scala filogenetica (‘verme del cervelletto’) rintracciabile in pesci, uccelli, scimmie inferiori (lemuri) e, a una certa epoca dello sviluppo, negli embrioni umani. Alla vista di quella fossetta gli parve «illuminato il problema della natura del delinquente»[6]. Il delinquente, secondo Lombroso, era affetto da “blocco nello sviluppo embriogenetico”. Questa sua teoria (che si rivelò completamente errata) ebbe alcune ripercussioni sul Codice penale vigente allora e riflessi su altri apparati (polizia e carceri) dell’amministrazione dello Stato[7]. In sostanza, Lombroso giunse alla conclusione che "il delinquente nato non è responsabile perché non è libero, ma non è neppure curabile o rieducabile". Di fronte alla postazione in cui un filmato spiega bene la questione del Villella, è situata la ricostruzione della testa di un Uomo di Neandertal, che Lombroso fece realizzare  dallo scultore Norberto Montecucco nel 1908. La struttura esagerata e animalesca esprime le convinzioni di Lombroso sull’atavismo e le idee di molti antropologi dell’epoca sull’aspetto fisico di persone violente.

5. Questa sala (“Arte, genio, follia”) dedica spazio al rapporto tra arte e devianza, che fu uno dei campi di studio del Lombroso. In base a ciò che gli internati o i disturbati mentali producevano di spontanea iniziativa, egli ne studiava le caratteristiche. Vi sono esposti gli originali abiti di G. Versino (che fu degente nel manicomio di Collegno) e altri oggetti, realizzati da alienati mentali. Ci si può chiedere cosa spingesse Lombroso a raccogliere tanto materiale ed è la figlia Gina a rivelarlo: “Era un raccoglitore nato – mentre camminava, mentre parlava, mentre discorreva; in città, in campagna, nei tribunali, in carcere, in viaggio, stava sempre osservando qualcosa che nessuno vedeva, raccogliendo così o comperando un cumulo di curiosità, di cui lì per lì nessuno, e neanche egli stesso, qualche volta avrebbe saputo dire il valore[8].

 

6. La sala “Menti criminali” espone gli oggetti creati dai detenuti per vari reati; troviamo sculture in creta cruda, dotate di un certo verismo poiché rappresentano delle scene che l’individuo aveva realmente vissuto (come il processo e la corte di giustizia). Molti gli orci d’acqua che furono utilizzati dai prigionieri del carcere di Torino per lasciarvi impresse scritte, disegni, pensieri, simboli… Lombroso raccolse manufatti, testi scritti, oggetti personali dei carcerati; ne fece incetta e ne diede conto in un compendio di forme espressive della sub-cultura carceraria dal titolo Palinsesti del carcere (1888). I manufatti contribuirono alla costituzione del suo Museo di criminologia.

 

                                         

 

7. La settima sala (“In cella a Filadelfia”) si accentra sul grande plastico del carcere americano di Philadelphia, preso a modello dalle prigioni ottocentesche anche in Europa. In quel periodo vi fu un ampio dibattito sui moderni sistemi di detenzione penale. Lombroso sviluppò una sua idea nei confronti del criminale (ritenuto a suo avviso irrecuperabile): anziché punirlo, la società doveva difendersene, e la penalistica italiana avrebbe dovuto confrontarsi con la rivoluzione filosofica indotta dalle nuove scienze medico-antropologiche.

 

8. "Il privato di Cesare Lombroso". E’ lui che parla ai visitatori (attraverso la voce narrante di un interprete), nel ricostruito ambiente originario del suo studio privato, che fu utilizzato anche dal genero, Mario Carrara, medico; venne donato dagli eredi (famiglia Carrara) all’Istituto di Medicina legale nel 1947. Nello studio sono contenuti differenti oggetti a testimonianza della vita privata e scientifica di Lombroso. Lo scienziato, in un discorso immaginario, traccia un bilancio della propria esperienza scientifica. L'abitazione di Cesare Lombroso era situata in via Legnano, 26 a Torino.

 

9. "Un secolo dopo". L’ultima parte della visita si snoda lungo un corridoio che riassume i suoi postulati, alla luce dello sviluppo scientifico e criminologico che diede impulso all’evoluzione dell’Antropologia criminale, che prima di Lombroso non esisteva.  Lo scienziato ritoccò, negli anni, la sua teoria introducendo la nozione psicopatologica di follia morale (1884), poi quella biologica di degenerazione, poi ancora quella neurologica di epilessia (1889), e al delinquente nato vennero ad aggiungersi altre figure: i rei d’occasione, quelli d’impeto, d’abitudine, o i rei per passione e, nel mondo femminile, la prostituzione, la delinquenza di genere per eccellenza.  Sulla scia dei tempi che cambiavano, Lombroso mostrò di volerli interpretare e creò così un nuovo tipo di devianza, ossia la degenerazione progressiva o devianza positiva (se non diventi folle, puoi diventare un genio). La Natura e la Società si contendevano il ruolo di causa. “Il vero uomo normale non è nemmeno colto, non è nemmeno erudito, non fa che lavorare e mangiare[9]. Troviamo, negli anni, un Lombroso che si contraddice, che cambia idea su alcune delle sue stesse teorie (specialmente nei confronti della situazione meridionale), un uomo che ammette i propri errori. “Tardi, purtroppo, quando il capo incanutiva e le forze scemavano, ho sentito anch’io quanto errava lo scienziato che dimentica il mondo che s’agita e ferve attorno a lui”[10].

 

  • Lo Spiritismo

 

Nell’ultimo periodo della propria vita, oltre ad interessarsi di filosofia, politica, e antropologia criminale, comparve nella vita di Lombroso una insolita passione, verso la quale aveva sempre nutrito avversione e scetticismo: lo spiritismo[11]. Il Museo torinese vi accenna, in una serie di pannelli, ma esiste una nutrita bibliografia (internazionale) in merito.

Sarebbe stato l’incontro con Eusapia Palladino, la medium napoletana che era diventata celebre per i fenomeni fisici che mostrava durante le sue sedute, ad innescare il "cambio di rotta" delle posizioni di Lombroso verso la materia spiritica.

Fu il dr. Ercole Chiaja ad invitare Lombroso a partecipare ad una delle performance straordinarie della medium; Lombroso aveva sempre rifiutato ma nel febbraio 1891 decise di accettare quell’invito, trovandosi a Napoli con altri due psichiatri (prof. Alessi e Tamburini), per ispezionare il manicomio di Aversa. La medium arrivò all’Hotel Genova, dove i tre scienziati erano alloggiati, e diede sfoggio delle proprie capacità, che lasciarono i tre sbigottiti ma in particolare Lombroso, che da allora partecipò ad altre sedute (a Milano, Genova e all' Institut General de Psychologie di Parigi) e divenne un sostenitore autorevole di Eusapia.

 Cesare Lombroso, il 7 febbraio 1892, pubblicò un articolo intitolato I fatti spiritici e la loro spiegazione psichiatrica (su Rivista Moderna) che comincia così:

Pochi scienziati furono più di me increduli allo spiritismo. Per chi non lo sapesse, gli basti di consultare i miei - Pazzi ed Anomali - e i miei - Studi sull’Ipnotismo - ove giunsi quasi all’insulto contro gli spiritisti. Egli è che alcune osservazioni erano, e credo ancora sieno, prive d’ogni credibilità. Quella, per esempio, di far parlare ed agire i morti, sapendosi troppo bene che i morti, massimo dopo qualche anno, non sono che un ammasso di sostanza inorganica. E tanto sarebbe volere che le pietre pensassero e parlassero. Un’altra causa era che gli esperimenti si facevano all’oscuro; e nessun fisiologo può ammettere fenomeni che non possa veder bene, massime fenomeni così questionabili. Ma l’aver veduto respinti dagli scienziati, dei fatti come la trasmissione del pensiero, la trasposizione dei sensi, che veramente erano rari, ma che certamente erano veri, e che io aveva constatato de visu, mi ha spinto a dubitare che il mio scetticismo pei fenomeni spiritici fosse della stessa specie di quello degli altri dotti pei fenomeni ipnotici” (per leggere l’articolo integrale cliccare qui).

 

Nell’articolo Lombroso prende le difese dei fenomeni “soprannaturali” come la trasmissione del pensiero e quanti altri vanno sotto il generico appellativo di “magici”, ritenendo che fossero probabilmente presenti negli individui ancestrali e poi gradualmente persi col crescere della civiltà, colla scrittura, col linguaggio sempre più perfezionato […] fino a scomparire del tutto. Lo scienziato riteneva che  Eusapia Palladino  presentasse delle anomalie cerebrali gravissime, per le quali nasce probabilmente l’interruzione delle funzioni di alcuni centri cerebrali, mentre si esalta l’attività di altri centri, specialmente dei centri motori. Questa è la causa dei singolari fenomeni medianici […].

Ad integrazione di quanto detto, è utile leggere un lavoro di un contemporaneo di Lombroso, il dr. G.B. Ermacora “I fatti spiritici e le ipotesi affrettate” (Osservazioni sopra un articolo del prof. C. Lombroso)”, Padova-Fratelli Druker-Verona, Librai Editori, 1892[12]

Quando morì, Cesare Lombroso stava lavorando al libro "Ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici", che infatti uscì dopo la sua morte (UTET, 1909). E' un'opera alla quale lo scienziato aveva dedicato le proprie forze degli ultimi anni ed è oggi raro trovarlo in alcune librerie antiquarie [13] (è di costo elevato). All'interno conserva una lettera manoscritta di grande fascino con firma autografa, in calce, del Lombroso. La missiva era indirizzata ad un "Egregio Signore", rimasto misterioso, al quale spiegava che non poteva inviargli un articolo perchè non si trovava a Torino (quindi il destinatario poteva essere un editore, e certamente era un frequentatore delle sedute spiritiche, poichè Lombroso gli raccomanda di tenerne una per capire quale spirito sia la causa di certi fenomeni [...]. Il libro contiene un capitolo intero dedicato ad Eusapia Palladino, e la fonte principale sono gli esperimenti clinici che condusse nell'arco di un decennio con la medium; lo scienziato descrive anche la trasposizione dei sensi in isterici, ipnotici e della trasmissione del pensiero; traccia inoltre un breve excursus storico sui medium e maghi fra i selvaggi e i popoli antichi. Completano il tomo una serie di immagini fotografiche di fantasmi ed una biologia degli spiriti e dei trucchi incoscienti e telepatici. "Tali fenomeni sono dovuti ad una forza psichica di cui si ignorano ancora le leggi", scriveva.

Oggi molti sono i detrattori di Eusapia Palladino, che pare usasse abili trucchi per i quali venne poi smascherata[14], pur tuttavia permangono dei misteri su alcuni fenomeni. A distanza di un secolo si ritiene (ma molti lo ritenevano già allora) che Lombroso venne ingannato dalla medium (ma non sarebbe stato l’unico, poiché le credevano molte altre persone di spicco come ad esempio i Curie). La figlia di Lombroso avanzò l’ipotesi che negli ultimi anni il padre soffrisse di arteriosclerosi e avrebbe potuto più facilmente essere preda di abbagli. Ma nel 1891 Lombroso aveva soltanto 56 anni...


 


[1] Il vero nome era Marco Ezechia Cesare Lombroso e la sua famiglia era di origine ebraica. Su Wikipedia un ampio lavoro su vita, attività e opere

[3] L’attività di Lombroso è stata tacciata come razzista nei confronti delle popolazioni del sud Italia, perché egli ebbe a descriverle “geneticamente portate alla delinquenza”. Un apposito gruppo sul social network fb ha organizzato manifestazioni per far chiudere il Museo, nel 2010. Secondo gli organizzatori “Lombroso costruì le sue teorie «sulla base di misurazioni di centinaia di resti e di crani prelevati al seguito delle truppe piemontesi che invasero il Regno delle Due Sicilie e massacrarono migliaia di meridionali che si erano ribellati a quell’invasione cancellandoli dalla storia come briganti». È una questione di «colonialismo sabaudo», insomma, più che di scienza e di metodo scientifico. Dal canto suo, il direttore del Museo Lombroso Silvano Montaldo sottolinea come il Museo stesso non nasconda, anzi denunci, gli aspetti «non condivisibili e perniciosi delle sue teorie, e anzi ne mostri proprio gli errori». L’intento è di storicizzare la figura di figura di Lombroso, non sicuramente di esaltarla”. Fonte

[4] Fu Carlo Emanuele III di Savoia a volere creare, nel 1739, il Museo dell’Università di Torino, dal quale prese il via la storia delle collezioni scientifiche dell’Ateneo. Con il tempo le collezioni, differenziandosi e arricchendosi, andarono a costituire musei indipendenti che sono al centro di progetti di valorizzazione in collaborazione tra Università di Torino, Regione Piemonte, Comune di Torino e Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca.

[5] Che, però, non sono esposti ma sicuramente giacciono in qualche posto nel Museo stesso

[7] “ Cosa resta dell’opera scientifica di Cesare Lombroso”, in Tesi di Laurea di Massimo Feltrin “Cesare Lombroso, il padre della criminologia italiana”, relatore A. Zullo, Scuola di Alta Specializzazione in Materia di Criminologia Applicata, Regione Piemonte, Settore Polizia Locale e Politiche sulla Sicurezza, Anno 2012-2013(link pdf scaricabile)

[8] Gina Lombroso "Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere narrata dalla figlia", Bologna, Zanichelli, 1921

[9] L'uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all'estetica, Fratelli Bocca, 1894

[10] Il momento attuale, Casa editrice moderna, 1903

[11] Nel suo libro “Studi sull’’ipnotismo”, Fratelli Bocca, 1887 , Lombroso mostrò anche derisione

[12] In formato digitalizzato scaricabile qui

    [13]  MareMagnum 

[14] Polidoro, Massimo “Il garibaldino che smascherò la medium” (articolo del 16 maggio 2011), link

 

  • Un grazie speciale a Massimo, Laura, Riccardo e Sabina

Argomento: Il Museo Lombroso

C Lombroso

giulia | 11.10.2014

bell'articolo, molto esaustivo grazie

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