La città etrusca di Marzabotto

                                                                       (Marisa Uberti)

 

                                        

 

Oggi i nostri "due passi" li facciamo nei pressi della città di Marzabotto (BO), in un'epoca molto antica, quando- su un terrazzo di formazione fluviale situato a meridione dell’odierna cittadina, Pian di Misano -sorse una città etrusca del tutto autonoma: Kainua. La posizione geografica lungo una valle appenninica favorì la nascita e lo sviluppo della città, verso la fine del VI secolo/inizio del V a.C. (Marzabotto II), forse sotto il controllo del centro etrusco padano di Felsina (attuale Bologna). In forme meno organizzate, la città esisteva già anche prima (Marzabotto I), ma non si conosce molto di essa. 

 

              

Racchiuso tra le montagne sta il pianoro di Pian di Misano, che ospitò Kainua in epoca estrusca. Sotto, scorre il fiume Reno

 

Il visitatore curioso e attento resterà meravigliato da questo complesso integro, che comprende un impianto urbano rigorosamente ortogonale, due necropoli, l’acropoli (zona sopralevata destinata al culto) e due importanti altre aree sacre: il Santuario Fontile e il Tempio di Tinia, divinità corrispondente (nel mondo etrusco) allo Zeus greco. Affascinante e misterioso è il rito di fondazione della città, in cui si mescolano le segrete conoscenze degli àuguri etruschi, mettendo a dura prova la nostra capacità di decodificarle. Questa città sopravvisse per circa due secoli, poi le testimonianze archeologiche mostrano una presenza celtica (Galli Boi), seppure marginale. Ai romani, successivi conquistatori del territorio, l’area parve non interessare, tanto che non si trovano più tracce di frequentazione e si codifica l'abbandono del sito, riutilizzato in maniera discontinua e sporadica da impianti rurali. Tutto venne piano piano ricoperto e dimenticato. E’ per tale motivo che oggi possiamo apprezzare in maniera ancora praticamente integrale la città etrusca di Marzabotto, che si chiamava-lo abbiamo già detto- Kainua (traducibile con Città nuova), come attesta un'iscrizione scoperta sotto due ciotole rituali in bucchero, la quale sembra aver posto fine al dilemma del suo nome originario, per anni ritenuto Misa (dal toponimo del pianoro, Misano). Doveva avere, in origine, un’estensione di oltre 20 ettari, di cui oggi ne restano 17 poiché il pianoro (posto su un tamburo di roccia) si è sgretolato nel corso dei secoli (anche per la vicinanza del fiume Reno). La città aveva fiorenti commerci con le altre città dell’Etruria padana e settentrionale (Toscana e Lazio),  e con la Grecia. A tal proposito va citato l’importantissimo ruolo del porto di Spina, nel ravennate.

 

             

 L'autrice nei pressi del Santuario Fontile, dedicato ad una divinità legata al culto delle acque

 

  • La scoperta

 

La storia della riscoperta di Kainua è molto articolata. La città etrusca, abbandonata dopo appena un paio di secoli dalla sua fondazione, riuscì a conservarsi, sotto strati di terra (quanto meno nel disegno originale dell’impianto urbano). Il pianoro sul quale sorgeva venne usato per scopi boschivi e agricoli. Nel XVI secolo alcuni abitanti della zona, che probabilmente rinvenivano sporadicamente dei reperti, ne riferirono al frate Leandro Alberti, storico e filosofo fiorentino, che si recò sul posto per verificare. La prima notizia della città etrusca venne pubblicata nella sua opera Descrittione di tutta Italia, nella quale si contiene il sito di essa, l'origine et le Signorie delle Città et delle Castella, Bologna, 1550. Ma i tempi non erano maturi per approfondire la questione e così si arrivò al XVIII secolo, quando un altro frate, l’abate e storico umbro Serafino Calindri (1733-1811), ne parlò nel suo Dizionario Corografico Georgico Orittologico Storico dell'Italia, facendo riferimento a scavi attivi in quel tempo, senza valore scientifico perché i reperti venivano venduti. Nel corso del 1600 era sorto un sontuoso palazzo (Villa Bardazzi) in posizione elevata sul pianoro (altura di Misanello, poi rivelatasi l’acropoli cittadina) che nel 1831 venne acquistato, con i terreni agricoli di pertinenza, dalla nobile famiglia Aria. Fu il conte Giuseppe Aria ad ordinare lavori di riqualificazione della residenza e dell’area circostante; volendo realizzare anche un laghetto, si dovette procedere a scavare e fu in quell’occasione che emersero le prime vestigia della necropoli settentrionale: tombe a cassa, statuette bronzee e parti di corredi funebri, che venivano però radunati non tenendo conto del loro contesto, disperdendo in tal modo fondamentali informazioni. Successivamente, nel 1856, vennero alla luce le rovine dei templi dell’acropoli. Ciò che veniva trovato, entrava nelle collezioni della famiglia Aria, alla quale si deve anche l’esplorazione della città in piano. In particolare fu Pompeo Aria, figlio di Giuseppe, che dal 1862 chiamò illustri archeologi ad eseguire gli scavi, i cui reperti venivano sistemati e ordinati in vetrine all’interno della Villa, le cui sale si trasformarono di fatto in un museo. Le collezioni furono poi cedute allo Stato Italiano, che ne divenne proprietario (insieme a tutta l’area archeologica) dal 1933; nello stesso anno la sede museale si trasferì dove si trova ancora oggi. Il 17 novembre del 1944 molti reperti che non fecero in tempo ad essere trasferiti a Bologna, vennero distrutti. La ceramica attica, ricomposta dai restauri ma lasciando le ferite visibili, vuole essere memoria e riscatto non solo per il museo ma per la città di Marzabotto intera. La visita comincia proprio dall’interessante Museo Archeologico (Museo Nazionale Etrusco “Pompeo Aria”), allestito in un edificio ai margini nordorientali dell’area che è provvista, tra l’altro, di un comodo parcheggio per i visitatori. Nel museo sono state collocate le vestigia emerse durante gli scavi, migliaia di reperti di uso domestico, rituale, sacro, funerario…

 

                                      

Monumento commemorativo a Giuseppe Aria, nei pressi del Parco della sua antica villa, dove scoprì la necropoli etusca settentrionale

 

  • I riti di fondazione di Kainua

Alla base della città vi era un rito di fondazione che prevedeva la proiezione sulla terra del Templum celeste  (divisione dei cieli secondo le concezioni etrusche). Esso era uno spazio sacro di forma circolare che i sacerdoti (àuguri) avevano suddiviso in quattro principali quadranti, attraversati da due rette perpendicolari che correvano una sull’asse Nord- Sud (Axis Mundi) e l’altra in direzione Est-Ovest.  Sulla terra, queste rette divenivano strade, rispettivamente chiamate dai Romani Cardus e Decumanus. A ciascuna porzione di cielo era attribuita la residenza di divinità benevole od ostili. Andando verso oriente dalla linea del decumano, si delimitava la pars familiaris (favorevole, sede delle divinità benevole), mentre verso ovest la pars hostilis (sfavorevole, sede delle divinità ostili o dell’oltretomba). A Sud era localizzata la pars antica, al suo opposto la Pars pòstica (a Nord). Ciascuna delle quattro porzioni principali del Templum celeste erano ulteriormente suddivise in quattro parti, ottenendo 16 settori, abitati da una specifica divinità. Tutto questo si doveva rispecchiare in terra (Templum àugurale), dove assumeva una disposizione rigidamente geometrica non basata sul cerchio ma su spazi quadrati.

 

                  

 

 

Lo schema geometrico del cielo (templum celeste) sulla cui base viene creato dall’augure il modello terrestre (templum augurale). Nel corso di un rituale compiuto in prossimità dell’area dove sorgerà la futura città di Marzabotto, nel terreno vergine vengono inseriti nove cippi (B), proiezione del cielo sulla terra, espressione geometrica di A. Sopra i cippi correranno gli assi stradali della nuova città (cardo e decumano, C) orientati a loro volta rispetto al cielo, (da Gottarelli, 2003b). Lo possiamo ancora oggi osservare visitando il complesso etrusco di Marzabotto, organizzato in riquadri perfettamente ortogonali (reticolato):  una strada molto larga (15 m di larghezza), chiamata “A” e disposta in direzione N-S, fungeva da asse della città (cardo); una seconda strada (di larghezza uguale) chiamata “B”  la intersecava perpendicolarmente con direzione E-O (decumano). Le altre due strade parallele alla “B” erano anch’esse larghe 15 m, mentre vie minori (di disimpegno e di circa 5 m di larghezza) erano parallele al cardo e disposte a distanze non del tutto regolari. 

 

 

                 

 

Queste strade servivano a ripartire le regioni in isolati rettangolari, di estensione variabile, occupati da case e impianti produttivi. Il cardo e il decumano si incrociavano  in un punto che era il centro della città stessa, ancora oggi individuabile grazie ad una grata, sul fondo della quale si trova la pietra sacra o decussis, una sorta di omphalos, su cui era impressa una croce (ora molto poco visibile), allineata secondo i punti cardinali ed evocante i riti di fondazione (pietra nascosta sotto le fondamenta dagli stessi etruschi).

 

               

                              L'omphalos o centro sacro e urbano dell'antica città etrusca

 

Nel 1985 Marco Unguedoli e Paolo Baldi (Università di Bologna) misurarono con il teodolite l’asse del cardo della città, per verificare l’orientamento del reticolato urbanistico: trovarono un azimut di 357°29’, valore molto vicino a 360° (deviazione di 2°31’), che conferma la quasi perfetta orientazione N-S. Come l’avevano ottenuta, gli etruschi, tenendo conto che Kainua si situa, oggi come allor, sul fondo di una valle circondata da montagne? Basandosi su tecniche che i romani adottarono in epoche successive, traendole probabilmente proprio dagli àuguri etruschi, si può ritenere che l’agrimensore o gromatico (colui che usava la groma, strumento impiegato per allineare le centuriazioni) si posizionasse in un punto stabilito dall’àugure, che lo aveva individuato dopo attenta osservazione del Templum celeste. Secondo Giuliano Romano era possibile che gli etruschi si servissero della tecnica del cerchio indiano. Studi più recenti condotti da Antonio Gottarelli ci informano che il rituale di fondazione di Kainua era basato sul sorgere del sole al Solstizio estivo, fenomeno presieduto dall’àugure, mediatore assoluto tra cielo e terra. Egli doveva garantire l’esatta ripartizione in terra di spazi favorevoli o sfavorevoli alle attività umane, al culto, al passaggio nell’aldilà e perfino la vita nell’oltretomba. Attraverso le sue conoscenze doveva armonizzare cosmo, forze della natura ed esseri umani. Solo se operava una corretta divisione dello spazio e del tempo, delle divinità e del contesto ambientale, si poteva stabilire un’alleanza tra cielo e terra. Gottarelli ha approfondito in maniera sistematica il possibile significato di questo rituale che, basandosi sulla replica in terra del Templum celeste, contemplava tre aspetti: celeste, terrestre, infero. E’ molto complicato se non azzardato stabilire come si passasse dalla forma circolare celeste a quella quadrata o rettangolare terrestre ed esula da questo articolo. Ciò che pare innovativo sottolineare è che lungo la diagonale solstiziale vennero disposti tre punti di stazione utilizzati per il tracciamento della forma urbana; dal  decussis, cioè, non passerebbero solo gli assi ortogonali corrispondenti ai punti cardinali ma anche la diagonale che unisce il cippo che indica l’alba del solstizio d’inverno (ASI) con un punto dell’acropoli, in prossimità del cosiddetto podio “D”, indicante il tramonto del sole al solstizio estivo (v. Gottarelli, 2003, 107, fig.8).

 

                          

                  Bellissimo reperto conservato al Museo Nazionale Etrusco “Pompeo Aria"

 

  • Per le vie di Kainua

Tanta cura nella scelta del luogo e della sua organizzazione, da parte dei suoi antichi costruttori etruschi, consente di visitare questa città con maggiore consapevolezza di trovarsi in un luogo davvero particolare e che custodisce ancora diversi misteri. Sotto la parte settentrionale della casa 6, ad esempio, sono emerse strutture più antiche, pertinenti ad un edificio orientato N-S, formato da tre ambienti comunicanti e che venne distrutto poco prima della costruzione di Kainua. A quale cultura apparteneva e a cosa serviva quell’edificio?  Probabilmente alla fase insediativa denominata “Marzabotto I”. Nel Museo vi è poi un bellissimo reperto che è più antico almeno di cento anni della città, segno che forse vi era un insediamento ancora da identificare nello specifico. In pianta, la città risulta divisa in 8 quartieri (regioni) e quattro strade principali, due necropoli (Est e Nord), con altrettante porte, un’acropoli con i templi cultuali e una zona suburbana. Di fronte al Museo, le prime rovine che si incontrano sono quelle del grande tempio di Tinia o Tinis equivalente allo Zeus dei greci, la somma divinità etrusca legata all'ars fulguratoria.

 

             

In primo piano, il Tempio di Tinia: si vedono ancora molto bene le basi circolari delle colonne e i perimetri dei tre edifici

 

E’ curioso trovarlo in questa zona urbana e non sull’altura di Misanello, insieme agli altri edifici cultuali ma si trova nella posizione che gli àuguri determinarono in base al suo posto nel Templum celeste (a nord/nord-ovest). In realtà (anche se oggi facciamo fatica ad avere una visione organica dell’insieme), questo tempio è sulla strada per l’acropoli e ne doveva guardare i santuari. Tinia è, nel pantheon etrusco, una divinità ostile, infatti presiede i fulmini, che gli umani devono temere e probabilmente erano da temere anche le divinità poste a dimorare sull’altura, che era necessario non contrariare e ingraziarsi. Ma dei loro nomi non si sa nulla, almeno fino allo stato attuale delle ricerche. Del tempio di Tinia restano solo i profili perimetrali ma un tempo aveva un podio e 22 colonne, ripartite su ogni lato (periptero), secondo uno stile greco, sebbene reinterpretato. Doveva apparire splendido, coperto da un tetto con antefisse simboliche e dipinte. L’unità di misura usata fu il piede attico e trova i suoi paralleli più vicini nelle principali città dell’Etruria meridionale, dimostrando il pieno inserimento di Marzabotto nei più vitali circuiti di collegamento che attraversavano l’intera Etruria.

Pochi passi e siamo davanti alle fondamenta delle abitazioni private, divise in isolati e in regioni (o regio). Vediamone un esempio: l’isolato 1 della regione IV. Ccomprendeva almeno 7 abitazioni contigue, separate da canalette di scarico perpendicolari alla strada A. Le condotte convogliavano le acque al fiume Reno, che oggi scorre sotto il pianoro. Le case erano unifamiliari, più larghe che alte; avevano un ingresso che dava sulla strada principale (cardo), un lungo corridoio sul quale si aprivano le stanze, un cortile interno cruciforme a cielo aperto, dotato di un pozzo (ciascuna abitazione ne aveva uno). Si ritiene che la porzione abitativa affacciata sulla strada fosse adibita a bottega artigianale, mentre una grande sala situata sul fondo della proprietà doveva fungere da luogo di rappresentanza. La copertura dei tetti era molto pesante (tegole e coppi), cosa che stride con la leggerezza delle pareti (di mattoni d’argilla e pali di legno). Al centro delle strade transitavano i carri mentre i pedoni stavano su marciapiedi laterali, forse coperti; qui poteva anche essere esposta la merce artigianale. A Kainua vi erano diverse officine per la lavorazione del ferro, come dimostrano le scorie rinvenute ed era presente anche una grande fornace.

 

                           

 

             

             

            

            

 

La città aveva due necropoli, esterne alle porte urbane, ma quella nord è chiusa al pubblico perché ritenuta pericolosa: sorge infatti al limitare del laghetto della villa che gli Aria avevano fatto realizzare nel XIX secolo ed è accessibile solo in occasioni speciali. E’ invece completamente aperta al pubblico la necropoli orientale, assai suggestiva, preceduta dai resti di una Porta monumentale. Le sepolture ritrovate, senza alcun ordine, nei due cimiteri sono circa 295. Nella necropoli est si trovavano 125 tombe, ad incinerazione (le maggiori) e ad inumazione; oggi ne vediamo 50, di cui 49 del tipo a cassone e una “a fossa”.

 

                 

                                   L'unica tomba "a fossa" della Necropoli orientale

 

In ogni caso si trovavano originariamente tutte interrate e solamente un segnacolo ne indicava la presenza. Oggi invece le troviamo in superficie; alcune mantengono il caratteristico segnacolo a forma di uovo, simbolo di rinascita. In alcuni casi erano affiancati da cippi di marmo a forma di cipolla (nel museo se ne possono ammirare di veramente simbolici). Il sepolcreto è diviso in due dal sentiero che, scendendo dalla Porta orientale, collegava la città dei morti a quella dei vivi. E’ un luogo speciale, assolutamente da visitare. 

 

             

Sopra, l'autrice tra i seplocri della Necropoli orientale; sotto, tra i ruderi della Porta Orientale

            

       

       

       

          

                    Secoli di storia e di storie vissute, e poi sepolte, nell'etrusca Kainua

 

Un ponte in legno che scavalca la trafficata Strada Porrettana, consente ai visitatori di spostarsi sull’altura di Misanello, senza uscire dall’area archeologica. Al tempo degli Etruschi l’acropoli si raggiungeva dal decumano (strada B). E’ un ambiente naturalistico di grande bellezza, arricchito da una sorgente, attorno alla quale è stata poi costruita una fontana monumentale, di discutibile utilità, visto che è sprovvista di rubinetto! Nei pressi, un obelisco ricorda che nel 1871 alla presenza del principe Umberto del Piemonte, vennero aperte ed esplorate 6 tombe galliche, la cui posizione è attualmente evidenziata da altrettanti e anonimi cippi (i corredi si trovano al Museo). L’acropoli è il luogo delle divinità, posta a nord-ovest; gli dei cui erano dedicati i templi non sono noti. 

 

                 

                                     Canalizzazioni della sorgente etrusca

     

Le antiche opere accanto ad una "sorgente etrusca" monumentale, di epoca recente (a destra). Al lavabo manca il rubinetto...

 

                        

                  Obelisco con dedica al principe Umberto di Piemonte

 

Gli scavi hanno recuperato poco di quelli che dovevano essere importanti santuari. Quello più grande (tempio “C”, 18,20 x 18, 70 m) era di tipo tuscanico, preceduto da un portico con 4 colonne disposte su due file, era dotato di tre celle affiancate, di cui quella centrale di maggiori dimensioni, ed aveva ambienti di servizio. Di un secondo tempio è certa la presenza, data da tratti di muro perimetrale, mentre incerta è l’esistenza di un terzo tempio. Molto più interessanti sono gli altari che sorgevano accanto ai templi e che erano destinati alle offerte per le divinità. 

 

       

      

                           L'autrice sulla piattaforma dell'altare del Tempio "C"

 

Dietro al tempio “C” si trova un piccolo podio (4,10 m di lato), pertinente ad un altare, sulla cui sommità era situato un pozzo (v. foto sotto), che si ritiene dedicato alle divinità degli inferi perché vi sono state ritrovate molte ossa (è definito mundus, cioè un’apertura nel terreno utilizzata per cruenti sacrifici di tipo rituale, svolti al fine di unire il mondo dei vivi con quello dei morti). Altre interpretazioni ritengono però che furono i Celti, una volta giunti in quest’area, a non considerare più il valore originario del pozzo e ad usarlo come sepoltura.

 

         

         

                      In questo pozzo sono stati rinvenuti resti ossei umani

 

Il podio monumentale “D” si può bene riconoscere nella sua forma quadrata (9 m x 9); su di esso vi erano basi di pietra che accoglievano statuette e doni votivi. Sulla parte più alta dell’acropoli doveva esservi un altare, forse quello più importante e oggi perduto (la sua esistenza presuppone però la presenza di un terzo tempio), che secondo Gottarelli poteva servire come una sorta di osservatorio astronomico rituale, dove l’àugure poteva scrutare il cielo, la città e il territorio circostante visibile. Kainua è piena di sorprese, infatti un altro importante tempio, il Santuario Fontile per i culti dedicati alle acque, si trova nei pressi del parcheggio, quasi in disparte (è in un’area suburbana situata all’estremità nord del pianoro), eppure si tratta del più antico tempio monumentale della città etrusca (VI sec. a.C.), alimentato da una sorgente ancora in attività. Gli scavi (1968-’69) hanno restituito statuette votive ed ex-voto di arti (soprattutto in bronzo), segno che fu frequentato da fedeli che chiedevano e forse ottenevano guarigioni. Il Santuario era dedicato a Turan, che in qualche modo era una dea assimilabile ad Afrodite. Situato quasi all’opposto dell’Acropoli, era forse il luogo dove gli dei guardavano benevolmente agli abitanti di questa città, ma forse non abbastanza, visto che in breve scomparvero, misteriosamente.

 

                           

                                             Ruderi del Santuario Fontile

 

(Autrice: Marisa Uberti)

Argomento: Città etrusca di Marzabotto

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