Sicilia insolita e segreta

           Escursioni nella Valle dello Jato

 (sezione: Valle dello Jato 2; leggi anche i percorsi della Valle dello Jato 1)

                                     (Marisa Uberti)

Dopo aver inquadrato la Valle dello Jato dal punto di vista topografico e aver visitato il sorprendendente Parco Archeologico con le strutture e i siti archeologici che lo caratterizzano, andiamo ora alla scoperta di altre bellezze naturali e culturali di questa fertile Vallata.

 

  • L’ex-feudo Dammusi e il culto della Madonna della Provvidenza 

Il nostro punto di partenza è il Casale del Principe, un “piccolo mondo incantato”  sul serio, non solo come si trova scritto sul materiale pubblicitario. L’agriturismo si trova nel comune di Monreale, ai piedi del Monte della Signora, l’enigmatica montagna che ha il profilo di una donna e sicuramente considerata sacra fin dalla preistoria, e del Monte Dammusi.  Il Casale del Principe è l’ex-masseria Dammusi ed è situata nel folto della vegetazione; di fatto rientra nei territori che hanno sottoscritto il Patto Alto Belice-Corleonese che affonda le proprie radici al periodo arabo-normanno (1).

                

Fig. 1: un particolare della splendida visuale sul Monte Signora che si gode dal parco del Casale del Principe

 

Le Masserie appartenevano agli antichi feudi  locali (Jato, Traversa, Dammusi e Chiusa) e lasciano ancora trasparire le antiche vestigia di quando erano spazi costruiti attorno al Baglio, dove vivevano i lavoratori dei campi alle dipendenze dei Signorotti. La Masseria era una struttura del tutto autosufficiente,  non v’era bisogno di uscire all’esterno di essa.

Oggi la vecchia masseria fortificata Dammusi si chiama Casale del Principe perché divenne proprietà del Principe di Camporeale, circondata dalle mura di un monastero del XVII secolo, gestito dai Gesuiti.  Poco distante si trova il bellissimo Mulino del Principe, fatto costruire dal nobile medesimo forse su una struttura precedente (le arcate ogivali sembrano di epoca medievale). I Mulini, frequenti in zona e utilizzati fino al XX secolo, erano alimentati dalla grande presenza di acque della Valle Iatina e si erano affermati nella zona come primiera industria della molitura.

Il principe Giuseppe Beccadelli trasformò la masseria nella propria residenza estiva. Ancora oggi il discendente del nobile signore ha mantenuto un piano della Torre  (sopra la Cappella) per sue eventuali venute al Casale.  Gli attuali proprietari sono persone gioviali e professionalmente ineccepibili; soggiornare qui è una delizia (anche per l’ottima cucina!) ed è un ottimo punto di partenza per  attività culturali e ricreative (esistono 21 percorsi storico-naturalistici da poter effettuare). L’edificio che vediamo oggi è il risultato di diversi ampliamenti effettuati nel corso del tempo; la parte più antica è l’ala ad occidente che sorge sulla roccia e che grazie al signor Rosario ho potuto visitare. Da una normale porta, chi direbbe che si entra in un altro mondo? Le pareti sono viva roccia, dove i monaci avevano ricavato delle nicchie per la conservazione di qualcosa (lumi? Reliquie? Alimenti/vini?).  Nel cortile antistante –proprio di fronte- c’è invece l’ingresso alla Cappella, che conserva la riproduzione di un dipinto molto importante per tutta la gente della Valle: la Madonna della Provvidenza.

                       

                 Fig. 2: la Torre. Al pianterreno vi è l'ingresso alla Cappella

 

            

      Fig. 3; vetusto stemma gesuitico al di sopra del portalino d'ingresso alla Cappella

 

Come mostra la cartina, a poca distanza dal Casale del Principe (ex masseria Dammusi) si trova il Santuario della Madonna della Provvidenza, eretto in seguito all’apparizione mariana avvenuta il 21 luglio 1784. Ogni sera, in quel punto si accende una luce azzurra che si distingue nel folto della vegetazione. 

                      

                                                                Fig. 4

La storia racconta che un contadino di Borgetto, Onofrio Zorba, stava dormendo sull’aia, dopo la mietitura del grano, insieme ad altri compaesani e contadini di San Giuseppe Jato.  In sogno gli apparve la Madonna che gli indicò un punto preciso dove avrebbe trovato sepolta la sua immagine. L’uomo seguì le istruzioni della Vergine e trovò il quadro, tutt’oggi veneratissimo.  Ma il ritrovamento fece insorgere una disputa: chi doveva custodirlo? La scelta venne affidata a dei buoi che, messi a trainare un carro, furono lasciati liberi di prendere una strada:  si intendeva in tal modo affidare alla Madonna stessa la scelta migliore. I buoi si diressero verso la casa del principe Beccadelli a san Giuseppe Jato (dove venne eretta la chiesa della Madonna della Provvidenza, nel feudo Dammusi, poco distante dal Casale del Principe).  La Madonna della Provvidenza divenne Patrona del paese e in seguito- fino ai giorni nostri- il quadro venne custodito  nella chiesa Madrice. Ogni anno il 21 luglio  si svolge un pellegrinaggio in cui viene portata la sacra icona dalla Madrice alla chiesa della Provvidenza nell’ex-feudo Dammusi, per poi ricondurla nella sua collocazione abituale.  Come ringraziamento per i raccolti abbondanti, o per propiziare quelli futuri,  la Madonna della Provvidenza viene festeggiata solennemente anche nei giorni  a cavallo di ferragosto (13-14-15).

 

               

         Fig.5: il quadro della Madonna della Provvidenza (riproduzione)

Il quadro conservato nella Cappella del Casale del Principe (fedele riproduzione, è scritto, dell’originale) è costituito da una bruna tela che raffigura la Vergine con il Bambino: sono entrambi incoronati e addobbati con particolari dorati. La Madonna tiene nella mano sinistra il globo crucifero mentre Gesù tiene con la manina destra uno scettro terminante con il triangolo trinitario contenente l’occhio onniveggente di Dio, mentre nella mano sinistra regge una grande croce.  Sei stelle contornano il capo di Maria ed altre cinque sono disseminate lungo la Sua figura (undici stelle e non dodici come da tradizione?).

 

  • Preistoria nella Valle dello Jato: Pietralunga Nuova

 

Abbiamo già avuto modo di dire che l’insediamento umano nella Valle e sulle montagne circostanti risale ad epoche remote, almeno all’Età del Rame.  La nostra infaticabile guida Alberto Scuderi (direttore del Gruppo Archeologico Valle dello Jato) ci ha portato oggi in un sito archeologico interessantissimo, quello denominato Pietralunga Nuova. Si tratta di un’area di grandi dimensioni, circa tre ettari, frequentata durante l’Età del Bronzo ma rioccupata in epoca tardo-romana e medievale.  I terreni circostanti hanno buon potenzialità agricola e nei pressi è stata ritrovata una sorgente a 160 m.

Andiamo a visitare l’area archeologica che si trova a ridosso del caseggiato “Masseria Pietralunga Nuova”. E’ un luogo che sembra perso nel tempo: il terreno argillo-sabbioso ha consentito lo sviluppo di colture erbacee che, crescendo in modo selvaggio, rendono ancor più particolare il paesaggio caratterizzato da rocce emergenti costituite da arenaria di Monte Arcivocalotto mista a marna di San Cipirello; sotto la marna sono state scoperte falde acquifere molto profonde.

La colorazione delle rocce crea uno splendido contrasto con l’azzurro del cielo. A nord il sito è caratterizzato da un costone roccioso e un pendio che proteggeva l’insediamento dai venti gelidi. Le alte pareti a strapiombo nascondono anfratti e grotte mentre lungo le pareti si vedono dei buchi di palo allineati, che dovevano servire per l’innesto di travature da ricavare, così, un riparo sotto roccia. Coperto da un notevole interramento, è un canale verosimilmente scavato nella roccia.

          

                                     Fig. 6: ingresso in grotta

 

Documentiamo una trincea artificiale,  l’ingresso ad una grotta e il suo interno, che fu probabilmente una tomba. In questo sito archeologico  lo Scuderi ha ritrovato diversi anni fa un frammento di ascia levigata in diorite verde con taglio centrale (lunghezza 5,4 cm, altezza 5,5 cm, spessore 2,8 cm); sono stati ritrovati anche  frammenti di parete carenata acroma e il metacarpo di una pecora visibilmente levigato (2).

 

  • Enigmatiche camere tombali sul Monte Raitano

 

Alberto Scuderi ci conduce, in questa escursione, in un altro luogo altamente suggestivo paesaggisticamente: il Monte Raitano che, dal punto di vista strettamente geologico, non si discosta molto da quello della Valle. Di fatto è formato da una successione di liste d’arenaria ocracea, convergenza Sud- Sud/Est, facente parte delle successioni del Flysh Numidico (come l’Arcivocalotto). L’altitudine massima del Raitano è di 471 m (s.l.m.).  L’altura venne interessata da uno studio condotto nel 1995 per incarico del Comune di San Cipirello, in cui ricade amministrativamente, in cui si volevano censire gli “ingrottati e i manufatti a imbuto rovesciato denominati genericamente granai di epoca medievale”. Ma quanto ci mostra Alberto non può definirsi certo una serie di granai… Egli ha tra l’altro documentato molto bene l’intero areale, scoprendo diverse emergenze archeologiche, cavità, camere tombali (e c’è da ritenere che altre siano ancora nascoste). A titolo esemplificativo citiamo le seguenti (3), che abbiamo potuto visitare:

-una serie di fori, per l’esattezza cinque, con direzione Est-Ovest, i primi due allineati (nonostante il naturale dislivello del terreno) e gli altri tre leggermente sfasati rispetto ai precedenti ma allineati tra loro. Sono tutti localizzati sulla sommità della lista arenacea di 400 m progradante fino a quota 360 lungo un percorso di 50 m, quasi in prossimità del taglio della parete. L’interno dei fori è scavato nella roccia e presenta grandi cavità pressoché uniformi a campana.  Abbiamo potuto entrare nelle prime due cavità, che sono anche le più grandi e, soprattutto, presentano la particolarità di essere comunicanti, ma non solo: mostrano rilevanti fenomeni astronomici (attualmente sono adibite a ricovero del bestiame errante per la valle!).  L’ingresso (stomion) alla prima camera che abbiamo esplorato è posto a Sud ed avviene dopo aver percorso uno stretto sentiero ripido, ostruito da massi crollati, la cui lista è quasi a picco sul sottostante terrazzamento.  L’interno è straordinario:  la pianta è pseudo-circolare, con un diametro di 7,90 m mentre lo svolgimento in altezza è a tholos (sono così definite le tombe a camera scavate nella roccia di cui in Sicilia si conoscono altri rari esemplari e vengono fatti  risalire alla media-tarda Età del Bronzo, di impronta micenea). L’altezza è di 5, 30 m all’imbocco del foro-luce sulla volta; il foro non è al centro della camera ma appare spostato di circa 36 cm in direzione Nord- Nord/Ovest. Il pavimento è ricoperto da uno spesso strato di materiale organico secco, misto a diversi ciottoli. Nella direzione Est è collocato un breve corridoio (h massima 1,35 m, profondità 2,50 m, larghezza 1, 30 m) che conduce in una seconda camera a tholos.

 

                    

                     Fig. 7: il foro sulla volta della prima camera

 

                   

       Fig. 8: il corriodio che mette in comunicazione le due camere

 

Due bassi gradini introducono quindi nel secondo vano che ha pianta circolare (ovoidale), avente un diametro N-S di 7,48 m, mentre verso E-O è di 7,91 m. L’altezza è di 4, 50 m, più bassa della precedente, con una conformazione più rotondeggiante. Anche qui il foro sulla volta non è al centro della camera ma più spostato verso Sud di 36 cm, risultando sfalsato di 5° Est-Sud/est, sull’asse del primo foro, il cui filo passa sulla parete destra del piccolo corridoio. La distanza tra le due camere è di 10 metri.

             

      Fig. 9: la seconda camera: il foro e la macchia solare sul pavimento

 

In prossimità della base della parete S-O si nota una piccola nicchia. Ci sarebbe molto da dire su queste due camere tuttavia –dovendo essere sintetici- il fenomeno più interessante che pare accomunarle è quello archeoastronomico. Quando siamo entrati, sul pavimento del corridoio e sul fondo della seconda camera erano apprezzabili due “macchie di luce”, date dal fascio del raggio solare che posatamente filtra all’interno. Alberto Scuderi ci ha spiegato che da osservazioni dirette ai due fori-luce ha mostrato la proiezione di un semicerchio luminoso sul pavimento con andamento orario.  In prossimità del Solstizio estivo egli ha potuto osservare l’allineamento fra il fascio di luce penetrante dai fori-luce dei due vani passante per il centro del corridoio di collegamento, segnato da una tacca di arenaria sul pavimento della seconda camera, che potrebbe indicare la posizione di un originario lettuccio funebre. Tutto ciò lascerebbe supporre che chi ha progettato queste tombe a camera doppia avesse ben calcolato il moto apparente del Sole, forse per dedurne una sorta di calendario legato alle stagioni, quindi ai riti collegati alla Terra, il mondo ctonio e forse ai cicli di rinascita. All’esterno sono presenti delle buche di palo intorno ai fori –luce che farebbero ritenere la presenza in antico di verosimili abitazioni a capanna o altri manufatti (santuari?) e che in momenti opportuni venissero rimossi.  E’ verosimile che queste particolari tombe a tholoi del Raitano avessero superiormente l’elemento architettonico “scodellino”, un elemento di “riconoscimento”della cultura di appartenenza che aveva conoscenze in campo astronomico e le utilizzava per rituali di cui poco sappiamo. Anzi, sappiamo poco o nulla della stessa cultura e solo nuovi studi potranno migliorare lo stato attuale delle conoscenze, studi che devono essere accompagnati da una adeguata indagine archeologica che possa tutelare questo patrimonio archeologico. Queste due incredibili camere sono indicate quali depositi di granaglie e sono state riutilizzate in epoca storica.

 

            

Fig. 10: la nicchia scavata nella parete della prima camera, entrando a destra

 

-Alla stessa quota altimetrica ma in posizione a strapiombo sulla parete che guarda a Sud- Sud/Est,  inaccessibili se non da un arditissimo sentiero, si trovano altre due aperture che presentano due ingressi rettangolari. Il primo (per chi guarda la parete, a sinistra) non ha alcun decoro architettonico ed è stato interessato da una disgregazione dell’arenaria molto profonda; l’interno del vano ha base pseudo circolare con il lato dell’apertura schiacciato, pareti curve e tetto ribassato, breve dromos (=corridoio) trapezoidale, fori interni ed esterni. Il secondo ingresso (a destra per chi guarda la parete) presenta uno stipite con modanatura bombata per l’alloggio dello sportello di chiusura. L’interno ha base quadrangolare, con il lato dell’apertura schiacciato, pareti semicurve, tetto ribassato con caratteristiche calotte. I due vani non sono comunicanti.

            

    Fig. 11: localizzazione delle due aperture, indicate dalle frecce, sulla parete rocciosa

                    

                             Fig. 12: particolare dell'ingresso a destra

 

 

-Sette grotticelle che presentano un accenno di scodellino nella parte superiore della volta. Esse si trovano nella parte sommitale di una seconda lista arenaria a Nord, ormai completamente ricolme di sedimenti e profondamente erose. Nella lista erosa, sulla loro volta, sono presenti alcuni fori a profondo scodellino cilindrico. L’epoca di queste “tombe a grotticella” tholoidi è databile al Bronzo Antico.

 

         

                 Fig. 13: le sette "tombe a grotticella" sul Monte Raitano

 

  • Pensiamo che tutto quanto abbiamo visitato grazie ad Alberto Scuderi e ad alcuni indimenticabili  componenti del Gruppo Archeologico Valle dello Jato sia un percorso interessante, entusiasamente ed innovativo per questa regione, che generalmente è visitata per le sue località costiere, per i suoi templi greci più famosi, per l’arte barocca che le monarchie hanno impresso a molte città. Gl itinerari che la Valle dello Jato offre sono tantissimi e coprono migliaia di anni di storia, di archeologia, di saperi perduti che vanno salvaguardati, studiati e compresi al fine di poterli gestire e rendere fruibili ad un pubblico appassionato. Il paesaggio pressocchè incontaminato della Valle saprà incantare chiunque, per il suo aspetto variegato, rigoglioso, sorprendente (e a venti minuti dal mare!). Riuscirà a soddisfare la sete di conoscenza e di avventura di ogni visitatore che ami effettuare due passi davvero insoliti e carichi di meraviglia. Una volta arrivati, fra echi di antiche battaglie e scenari di misteriosa bellezza, capirete il perché del vostro viaggio.

 

Links utili:

 

 

  • Per contattare Alberto Scuderi 349-1154753 email

 

Note:

1) Per comprendere come mai un territorio non proprio vicinissimo a Monreale rientri in detto comune è necessario risalire al XII secolo quando il re Guglielmo II d’Altavilla (detto il Buono) fondò l’abbazia di S. Maria Nuova a Monreale, elevandola in Arcivescovado e dotandola di enormi privilegi e ingentissime proprietà terriere. Nel 1182 Guglielmo II emanò un Atto solenne, chiamato “Rollo” redatto nelle tre lingue ufficiali dell’epoca (greco,  latino e arabo) , con il quale precisò i confini dell’area concessa.  La parte principale dei possedimenti  è costituita dai terreni di Jato, Corleone, Calatrasi, Batallaro (una superficie di oltre 1000 Kmq). Il Rollo è stato utilizzato come riferimento ufficiale catastale fino al 1846. Le conseguenze di queste donazioni si riflettono nella notevole estensione del territorio attuale del Comune di Monreale ottenuto da quello dell’Arcivescovado in seguito all’abolizione dei privilegi feudali (1812). (Fonte: pannello in loco).

2)  Scuderi, A., Tusa. S., Vintaloro, A., “La preistoria e la protostoria nel Corleonese e nello Jato” (Archeoclub di Corleone, 1997), pp. 101-113

3)  Scuderi, A. “Località Raitano. Segnalazione di camere tombali doppie, pseudo-tholos, Sicilia occidentale” (“La Valle dello Jato tra archeologia e storia”, Scuderi, A., Mercadante, F., Lo Cascio, P., Edizioni del Mirto, 2011, pp.99-110). 

 

 

  • Invitiamo a visionare anche il video che riassume le varie escursioni effettuate nella Valle dello Jato.

 

 

 

 

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