Il Sator del castello di Locarno (Canton Ticino, CH)


A poco servì l’appoggio ai Rusca del governatore francese, che doveva comunque difendere i possedimenti incamerati dall’ex ducato milanese. Nel 1506-7 fu eretto un rivellino il quale, stando ad alcuni, sarebbe stato progettato da Leonardo da Vinci (a quel tempo alla corte francese). I documenti attestano che in quell’epoca il complesso era diviso in tre fortezze: la “rocha” (poi smantellata), il ricetto (che è l’attuale palazzo principale con corte) e il rivellino (baluardo difensivo tuttora esistente). Nell’ultimo periodo della presenza dei Rusca, il castello assunse un aspetto principesco che colpì più di uno storico dell’’epoca. Dal XVI secolo tuttavia, per una serie di vicissitudini, il castello iniziò una decadenza che portò alla scomparsa di diverse sue parti.
- Le trasformazioni del castello
Nel 1516, dopo quattro anni di guerra con i francesi per il controllo del nord-Italia, fu firmato il Trattato di Friburgo che segnò la definitiva annessione alla Confederazione elvetica della pieve di Locarno, che fu trasformata nell’omonimo baliaggio [1] (dipendenza diretta della Confederazione, che è assimilabile al concetto di “protettorato”). Nel 1531 il castello di Locarno capitolò e subì una parziale distruzione. Restò sostanzialmente in piedi una torre (ancora oggi visitabile) e la residenza signorile, che venne fissata come sede del balivo[2] dei Cantoni sovrani. In qualità di dipendenza, infatti, la comunità era governata da un balivo di lingua tedesca, ma per l'amministrazione locale veniva mantenuta un'autonomia gestita da un Magnifico Consiglio formato da 21 membri. La forma politica del baliaggio (che era oligarchica e antidemocratica) resse il potere fino al 1798 quando fu scalzata dal’invasione giacobina. Dopo l’istituzione del Cantone Ticino nel 1803, il Castello Visconteo diventò la sede distrettuale delle autorità cantonali e fu adibito a svariate funzioni: uffici governativi, prigione fino all’inizio del XX secolo e sede scolastica. Nei primi anni del XX secolo, l’architetto Luca Beltrami stava occupandosi del restauro del Castello Sforzesco di Milano; fu chiamato dall’allora sindaco di Locarno per capire come bisognasse muoversi per recuperare l’antico fortilizio cittadino che, nel 1921, venne acquistato dalla città e nei cinque anni successivi fu oggetto di restauro sotto la direzione di Edoardo Berta.
Alcuni scorci del castello di Locarno (foto M. Uberti, giugno 2025)
La visita può senz’altro iniziare da Piazza Castello. “Ammirando il Castello Visconteo da Piazza Castello, esso si presenta come un notevole edificio in pietra a cui si accede da una porta dopo aver risalito per gradi il prospiciente prato, dove ancora si vedono antiche murature. Sulla sinistra, a ovest, la murata merlata, la torre rotonda e le murature verso nord denotano la caratteristica fortificata dell’imponente struttura. La torre e le due ali del palazzo sono coperte da un tetto in piode. Sulla destra, verso est, il Castello è delimitato dal palazzo denominato Casorella, così da formare una bella corte interna con loggiato coperto”[3]. Di fronte alla piazza sono stati lasciati a vista e protetti gli scavi recenti che hanno portato al’individuazione del porto lacustre fortificato visconteo. Il lago arrivava infatti a ridosso del maniero.
Della struttura quattrocentesca sopravvive la parte nobile del castello, mentre i corpi più esterni sono il frutto di una ricostruzione eseguita negli anni 1924-1929. Da oltre novant’anni il maniero è sede del Museo Civico e Archeologico di Locarno che conserva – tra gli altri - preziosi vetri di epoca romana, un Lapidarium, un’esposizione di costumi e ceramiche del Settecento. Dalla torre superstite si spazia sulla città e nelle stanze rinascimentali che furono dei signori, si apprezzano notevoli residui di affreschi alle pareti con parecchi stemmi araldici (che ne testimoniano l’antica gloria). Durante il percorso di visita si possono trovare moltissimi graffiti, specialmente nelle zone adibite a prigioni, ma ve ne sono anche altrove e nella sala del Patto di Locarno. Sebbene l’intera visita mi abbia molto interessato, sono stati in particolar modo i graffiti che hanno attirato la mia attenzione, perché me ne sto occupando anche nel Castello Visconteo di Pagazzano, dove presto servizio guida. I graffiti sono solitamente taciuti nei vari manuali o guide, tutt’al più menzionati fuggevolmente e raramente vengono catalogati o mappati [4]. Però, cercando informazioni sui graffiti del castello di Locarno, abbiamo appreso che di questo importantissimo corpus è stato compreso il valore già da Edoardo Berta e dalla Commissione Federale, che ne hanno conservato la gran parte nel restauro compiuto tra il 1922 ed il 1926.
- L'inedito Sator/Arepo
Oltre a una bellissima TC incisa marcatamento sul parapetto della loggetta rinascimentale, ho trovato un inedito Sator/Arepo. Sulla parete alle mie spalle, ovvero la parete sulla quale vi è l’ingresso alla loggia salendo le scale, ho documentato un inaspettato Quadrato Magico del Sator: per il nostro censimento è inedito. L’esemplare è situato in verticale e fu realizzato a carboncino, a mano libera.
Il Sator disegnato in verticale sulla parete di ingresso della loggetta rinascimentale (foto M. Uberti, 21 giugno 2025)
E’ purtroppo mutilo di consistenti parti, potendosi distinguere soltanto tre parole sulle cinque classiche che formano il noto palindromo e che sono: Sator – Arepo – Tenet – Opera - Rotas (per maggiori approfondimenti sull’argomento rimandiamo alla nostra vasta sezione in cui troverete anche svariati articoli dedicati ai singoli esemplari di volta in volta visitati. Nel castello locarnese si riconosce che il palindromo è in una griglia 5x5 caselle (il classico quadrato magico), ma del quadrato resta veramente poca traccia. Della prima parola (SATOR) e dell’ultima (ROTAS), nulla rimane. La seconda parola, AREPO, non è integra, leggendosi la A, la R, la P e malamente la O, mentre la E è completamente perduta. L’unica parola integra è la terza, TENET (invariabile sia letta da sinistra a destra che viceversa, dall’alto in basso e viceversa) se si eccettua la prima T (abrasa). Della parola OPERA si leggono la O, la P, pochissimo la E, la R e la A. Inequivocabilmente siamo dinnanzi al quadrato magico per eccellenza. Da rilevare che le A e le T sono apicate. La tecnica usata è estemporanea, ovvero l’esemplare non è scolpito, non è inciso né dipinto ad arte, ma risulta tracciato malamente a mano ad altezza d’uomo. Non faceva parte dell’apparato pittorico e decorativo ma fu realizzato successivamente e artigianalmente su una parete che in origine ospitava affreschi e stemmi nobiliari legati alla famiglia dei Rusca.
La loggetta rinascimentale indicata dalla freccia; su una lastra del parapetto è incisa una bella TC e sono presenti altri graffiti. Molto interessanti i nomi e le date lasciate sulle colonne dai funzionari/balivi (foto M. Uberti del 21/06/2025)
La loggetta elegante fungeva da affaccio sulla corte e raccordava le sale presenti su questo piano con il piano superiore. In seguito alla trasformazione di questa ala rinascimentale in sede del balivo, si succedettero diverse figure nello svolgimento delle loro funzioni, che hanno coperto di intonaco i muri e vi hanno lasciato la memoria della loro presenza attraverso disegni, iscrizioni e simboli. E’ possibile che i tanti graffiti appartengano ad epoche differenti che coprono un lasso di tempo molto lungo. Una iscrizione – che sembra trovarsi sullo stesso strato di intonaco del Sator/Arepo – cita le date 1623-1624 accanto al nome proprio di un personaggio; vicino si legge un altro nome, Hans, scritto con la stessa bella grafia in caratteri maiuscoli. Numerose sono le croci vicine al palindromo, dipinte in rosso o in nero, altri segni malamente decifrabili e residui di lettere verosimilmente tracciate con il carboncino nero come il Sator/Arepo. Sotto di esso, verso destra, si osserva un Fiore della Vita inscritto in un cerchio. Tutti questi elementi sono temporalmente posteriori alla decorazione originale.
Fiore della Vita tracciato con colore vermiglio (foto M. Uberti)
- Il significato del palindromo nel contesto del castello di Locarno
Difficile esprimere un parere, chiaramente, perché la certezza appartiene ad altri e non a me. Tuttavia si possono formulare ipotesi sulla base dell’esperienza accumulata. La presenza del palindromo potrebbe rafforzare l’ipotesi di un intento magico-apotropaico[5]. Ciascuno dei Sator/Arepo che abbiamo documentato nella nostra esperienza è stato analizzato, contestualizzato e approcciato in modo appropriato, senza arrampicarci sugli specchi (le tesi oggi sfiorano anche l'assurdo). I documenti in cui esso è presente sono importantissimi perché da essi, grazie alla paleografia, possiamo ricavare l'epoca, l'ambito, l'utilizzo e perfino osare un'interpretazione, spesso più o meno esplicitata nel documento stesso. I documenti di epoche diverse fanno capire che tale palindromo fu usato lungo un lasso di tempo lunghissimo e in aree geograficamente distanti. Durante le nostre ricerche abbiamo appurato che gli esempi più antichi avevano come prima parola “Rotas” (prima della cristianizzazione) e ad un certo punto la troviamo come ultima. Può sembrare un dettaglio insignificante ma forse non lo è (v. nostro articolo del 2007). Esemplari come quello di Todi, sebbene su pietra, consentono di capire che fosse accompagnato da formule e invocazioni rivolte a Cristo Re e quelle formule cercavano di scongiurare calamità naturali, tenere lontano il male e propiziare la buona sorte. Riguardando al Sator con questo spirito, forse tutti riusciremmo a vedere ciò che molti ostinatamente continuano ancora a considerare un grande mistero insoluto.
Quello che ci appare più utilmente accostabile all’esemplare locarnese (non fosse altro per la vicinanza geografica) è il Sator/Arepo ritrovato poco più d un decennio fa in un foglietto di preghiere unito agli Statuti e Ordini di Viggiona del 1581 (conservato nell’Archivio Borromeo Isolabella, Comuni, Viggiona). Oggi Viggiona è un comune di 395 abitanti nella provincia del Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte, unito al comune di Trarego nel 1928[6]. Pur non essendone direttamente toccato, è prossimo alle sponde del Lago Maggiore. Di questo Sator/Arepo ce ne diede segnalazione lo studioso Fabio Copiatti, mandandoci un articolo di Fabrizio Pagani e Carlo Alessandro Pisoni, che con le debite autorizzazioni abbiamo pubblicato nel nostro sito [7] alcuni anni fa. Gli statuti fine-cinquecenteschi del villaggio imponevano ai capifuoco di fornire alla comunità un membro per famiglia al fine di cacciare il lupo (e pure l’orso, nonché similes alias bestias ferinas), quando avvistato o nel caso esso avesse arrecato danni agli armenti; se poi si fosse gridato “al lupo” senza motivo, e dunque ingenerando scompiglio e terrore nel paese, l’incauto sarebbe stato multato pesantemente. Ma quando non bastava la normativa, si ricorreva alle forze celesti, alla protezione divina e così, insieme alle preghiere e alle invocazioni, sul foglietto di Viggiona troviamo anche il quadrato magico del Sator, scritto in caratteri sia latini che greci (mescolati), come si vede nell’immagine.
“A quell’epoca” – sostengono Pagani e Pisoni – “era cosa comune portarsi appresso un ulteriore presidio contro la minaccia: un foglietto consistente in una preghiera (non sappiamo quanto riconosciuta e tollerata dalle istituzioni ecclesiastiche), che a tutto si attaccava, pur di risultar efficace. Di qui l’ennesimo impiego del quadrato magico del “Sator”, che, conosciuto da centinaia di anni, trovava applicazione anche a favore di «ciascheduna persona che dubita de’ lupi o vero che fusse morduto da cane rabioso». Ma c’è di più: l’anonimo autore di quel foglietto consigliava di scrivere, su una crosta di pane, le lettere presenti nel quadrato magico in questione, per mantenere e aumentarne l’efficacia («sopra una crosta di pano scriva le litere quali sono nel ditto quadro»). Pagani e Pisoni pensano che ciò servisse per aumentare l’aura di mistero e sacralità dei gesti oltre che delle parole. “Il tutto condito con un po’ di misteriosi e difficili termini, cavati in direttissima dal greco, dal latino, e perfino dall’ebraico: «+ Christus Vincit + Christus Regnat + Christus ab omni malo me defendat + O Theos a furore tuo me liberet + O Adonay + O Thethagramaton». La “ricetta” fornita dall’anonimo compilatore si poteva estendere anche ad altri mali come l’epilessia, che era temutissima perché considerata punizione divina per presunti terribili peccati.
Soltanto una ricerca approfondita e incrociata ad altri dati potrà forse un giorno dare maggiori risposte sul Sator/Arepo tracciato sul muro della loggetta del castello di Locarno.
[3] “Contesto Visconteo di Locarno. Analisi e proposte”, AA.VV. Locarno, 2016 (digitalizzato: https://www.locarno.ch/files/documenti/Progettio_CastelloVisconteo.pdf
[4] Abbiamo letto che vengono effettuate visite speciali (al costo di 350 franchi svizzeri a testa) in un tour intitolato “Notte delle streghe al Castello Visconteo di Locarno: tra storie e segreti” dove, durante il percorso, vengono “rivelate le tracce, i disegni, le scritte, lasciati sui muri, ovvero alcune delle importanti testimonianze che raccontano storie di antichi abitanti, dalle nobili famiglie ai misteriosi visitatori o prigionieri” (consultare la pagina ufficiale https://castellolocarno.ch/sito/wp-content/uploads/Notte_streghe_Castello_Visconteo_Locarno.pdf)
[5] Apotropaico: agg. [der. del gr. ἀποτρόπαιος «che allontana», der. di ἀποτρέπω «allontanare»] – Che serve ad allontanare o ad annullare un’influenza maligna (fonte: Enciclopedia Treccani)
[6] Si sviluppa in parte sulla sinistra idrografica della valle formata dal rio di Cannero e in parte in Val Cannobina e culmina con il monte Spalavera e Vadà (1.814 m)
[7] https://www.duepassinelmistero2.com/studi-e-ricerche/simbolismo/satorisolabella/