Subiaco:la Valle Santa

                               Il Monastero di San Benedetto e di Santa Scolastica

                                                               (di Marisa Uberti)

                                  

 

I nostri “due passi” si avventurano oggi in un percorso fatto di storia, spiritualità, leggenda, arte e mistero. Non sappiamo quale di queste componenti possa prevalere sull’altra, tanto sembrano fondersi insieme per dare origine a quella che il Petrarca definì “la soglia del Paradiso”. Ci troviamo a Subiaco, in provincia di Roma, nella Valle del fiume Aniene, ma non ci fermiamo nel pittoresco e vivace borgo in pianura perché dobbiamo salire sul Monte Taleo. Qui sorge un monastero agganciato direttamente alla roccia (626 m di altitudine), sorto sulla primitiva grotta che (secondo la tradizione) accolse per tre anni San Benedetto, considerato il fondatore dell'Ordine benedettino, il patriarca del monachesimo occidentale. Ma il primo cenobio si stabilì poco più in basso, in quello che oggi è il Monastero di Santa Scolastica (510 m di altitudine), disposto longitudinalmente e parallelamente alla valle, dove, per secoli eremiti e monaci, vissero in contemplazione e preghiera, tanto da far meritare al luogo il nome di Valle santa.

 

  • Breve storia di S. Benedetto, patrono d’Europa

 

Egli nacque a Norcia, in Umbria, nel 480 d.C. e morì a Montecassino il 21 marzo 547 d.C. (altri datano 550). Mandato dalla sua benestante famiglia a Roma per istruirsi, ne vide la dissolutezza e ne restò disgustato tanto da maturare l’idea di fuggire, di cercare pace a contatto con la natura. Sembra che abbia trovato il luogo ideale in una grotta che si trovava nei pressi del piccolo nucleo primigenio di Subiaco, dove Nerone (37-68 d.C.)  aveva fatto erigere una villa. Di essa sono ancora sono visibili i resti, lungo il corso dell’Aniene, nella parte bassa della montagna, dove l'imperatore aveva creato, di fatto, l’antica Via Sublacense (tutt’ora percorribile in auto). Gli archeologi hanno potuto però  stabilire che, ancora prima di Nerone, i Romani conoscevano l’area perché tre dei nove acquedotti che portavano l’acqua a Roma provenivano dalla zona sublacense[1]. Inoltre, resti di mura poligonali testimoniano di una presenza antecedente, probabilmente vi si trovava un oppidum degli Equi.  La grotta dove Benedetto si stabilì (visitabile e chiamata “Sacro Speco”) non era però isolata del tutto, tanto che un monastero doveva già esistere, retto da un abate di nome Adeodato. Di quale monastero si trattava e da chi era gestito?

Il giovane norcino rimase nella spelonca per tre anni, vestendo di pelli di capra e in ascesi totale. Solo un monaco, di nome Romano, gli calava del cibo dalla rupe per non farlo morire di fame. La tradizione racconta che un giorno, preso dallo sconforto, Benedetto si gettò nudo in mezzo ai rovi e alle ortiche ma ne riemerse incolume (ancora si può vedere il punto in cui sarebbe avvenuta la caduta). 

 

                         

                                                          Il Roveto

 

Le sue virtù vennero riconosciute da alcuni pastori del luogo, che pare ascoltassero la sua parola basata sulla carità e sull’amore cristiano; ancora oggi esiste una seconda grotta dove, secondo la tradizione, il santo predicava proprio a quei pastori (la visiteremo in questo percorso).

Gli venne offerto di diventare superiore nel monastero di Vicovaro (vicino a Tivoli) ma i monaci presero a detestarlo per le sue regole ferree, così provarono ad avvelenarlo con un calice di vino ma Benedetto, benedicendolo con il segno di croce, lo mandò in frantumi, rendendo vano il tentativo di eliminarlo. 

 

                           

L'episodio rappresentato nella seconda Campata della Chiesa Superiore (Monastero di S. Benedetto)

 

Molto amareggiato per l’accaduto, il giovane tornò a Subiaco, dove si radunò attorno a lui una moltitudine di persone, anche genti appartenenti alla stirpe dei Goti, dando così vita ad una nuova esperienza basata sull’uguaglianza, sulla fratellanza e sulla Regola dell’ora et labora (preghiera e lavoro), che si rifaceva alla tradizione dei monaci orientali e che sarebbe stato il tronco su cui sarebbero fioriti successivamente tutti gli altri ordini monastici d’occidente.

Si ritiene che il primo monastero fondato dal santo sia quello oggi noto come Santa Scolastica, situato un poco più a valle di quello intitolato a San Benedetto. Il proto-cenobio di S. Scolastica è considerato il più antico monastero benedettino d’Italia e del mondo. Solo questo potrebbe essere interessante per recarsi a vederlo, anzi a vederli entrambi, ma c’è molto di più, assai di più!

Benedetto fondò, dopo quello di Subiaco, dodici monasteri più piccoli, mettendovi dodici monaci in ciascuno, a capo dei quali stava un abate. Il numero 12 si rifà certamente a quello degli Apostoli, riuniti sotto la guida di Gesù. Il “sistema” funzionava ma un ennesimo tentativo di avvelenamento ai suoi danni, unito all’invidia di una parte del clero locale, indussero Benedetto a trasferirsi a Cassino, con pochi fedelissimi; attorno al 529 vi fondò quella che sarebbe divenuta una delle più celebri abbazie europee: Montecassino[2]. Fu qui che, il 21 marzo del 547  Benedetto morì, in coincidenza dell’Equinozio di Primavera. Nei due secoli seguenti sorsero più di mille monasteri ispirati alla sua Regola. Fu proclamato patrono d’Europa[3] da papa Paolo VI il 24 ottobre 1964.

 

  • Il complesso monastico di San Benedetto

 

La visita può iniziare o dal Monastero di S. Scolastica (come abbiamo fatto noi) o da quello di S. Benedetto. Partiamo dunque da quello che si raggiunge prima, dalla Strada Sublacense, che è anche cronologicamente il più antico, quello di S. Scolastica, ma che in origine era dedicato a San Silvestro (perchè?). Dal IX secolo prese il nome di “Monastero di San Benedetto e Santa Scolastica” e solo dal XIV secolo cominciò ad essere chiamato come oggi; è di proprietà dello Stato ed è in uso alla Congregazione Benedettina Sublacense, che segue sempre la Regola di S. Benedetto e attende alle funzioni religiose.

 

                                  

Atuale ingresso del Monastero di Santa Scolastica; sull'architrave del portale vi è il motto benedettino "Ora et labora"

 

  • S. Scolastica: visita guidata

 

L’ importanza del monastero di S. Scolastica si fonda su vari elementi: è anzitutto il più antico monastero benedettino del mondo, l’unico superstite dei 12 (o 13) monasteri voluti da San Benedetto nella valle sublacense, l'unico sopravvissuto ai terremoti e alle distruzioni saracene. Non ultimo, la presenza di un’antica tipografia, risalente al 1465, quando due chierici tedeschi (A. Pannartz e C. Sweynheym) la impiantarono, andando ad arricchire la Biblioteca, già esistente e che è tuttora in funzione[4], vantando un cospicuo patrimonio di incunaboli, pergamene, miniature bizantine, manoscritti, documenti e libri di grande valore. Benedetto, nella sua Regola, aveva imposto ai monaci la lettura di libri (sia privata che comunitaria); egli erano quindi persone colte, erudite, le cui conoscenze spaziavano in vari campi del Sapere, dalle Sacre Scritture ai Classici Latini e Greci, Trattati di Geometria, Astronomia, ecc. Verso la fine del 1100, sotto  l'abate Giovanni V, amante della cultura, il monastero si dotò di uno "Scriptorium", nel quale chiamò miniatori di grande fama da monasteri italiani e stranieri. Commissionò il "Sacramentarium Sublacense", che oggi si trova alla Biblioteca Vallicelliana di Roma e molti altri libri, dando origine ad una vera e propria biblioteca che, venendo incrementata continuamente nel tempo, dopo due secoli vantava 10.000 volumi! Con le vicende storiche succedutesi, i manoscritti andarono anche dispersi, finchè -con l'arrivo della macchina tipografica- poterono essere stampati. Durante le incursioni garibaldine i libri furono nascosti in un luogo sconosciuto. Nel 1873 furono confiscati dallo Stato e, come gli altri beni del monastero, furono messi all'asta; Santa Scolastica divenne monumento nazionale.

Dall’anno Mille, questo monastero divenne dunque un polo di riferimento spirituale, culturale e politico per tutto il territorio. A quel tempo esso era come un sistema feudale, dal quale dipendevano numerosi centri.

 

I monaci pregavano e lavoravano, coltivando anche piante officinali ed erboristiche, cosa che continua ancora oggi; a tali attività si è aggiunta l’apicoltura e un centro meteorologico.

Il complesso è già a prima vista molto vasto e austero; è composto da diversi edifici costruiti in tempi e stili diversi, rispettando gli schemi distributivi del cenobio benedettino. Le ricerche archeologiche hanno stabilito che si sono succedute almeno cinque chiese: il primitivo oratorio era dedicato a S. Silvestro (VI secolo) e pare resistette per tre secoli, quando venne ampliato nel IX secolo (tracce affioranti da sotto il campanile e presenti nella chiesa attuale); una terza chiesa, in stile romanico, venne costruita nel 980 da Benedetto VII, poi rinnovata in forme gotico-cistercensi nel XIV e nel XV secolo. Dal 1769 al 1776 si trasformò la chiesa gotica nella grande chiesa neoclassica attuale (opera di Giacomo Quarenghi). Fu mantenuto il bellissimo campanile romanico, realizzato sotto l’abate Umberto (1052-1053), insieme alla facciata e al sottotetto della chiesa gotica, con le simboliche decorazioni.

 

                                       

                         Il magnifico campanile romanico, visto dal chiostro dei Cosmati

 

Il complesso è dotato di tre chiostri, sui quali si articolano i locali legati alla vita monastica (refettorio, sala capitolare, dormitorio). Un primo chiostro è rinascimentale, uno gotico e uno cosmatesco. Nei sotterranei si trovano le “Grotte degli angeli”, utilizzate come siti di preghiera e decorate con un ciclo di affreschi risalenti al 1430 circa, ma modificato nell’Ottocento sotto l’abate Casaretto.

La visita è guidata; e questo a nostro avviso penalizza un po’ la libertà di fermarsi il tempo che ciascuno desidera per poter adeguatamente ammirare ciò che si incontra, sapendo già in partenza che non sono luoghi comuni ma carichi di storia, sacralità, segreti. Comunque dobbiamo adeguarci e incontriamo un baldo giovanotto, molto disponibile, che ci introduce un po’ nelle vicende cronologiche del cenobio, mentre entriamo nel primo ambiente visitabile: il chiostro rinascimentale, detto anche di Cirillo perché iniziato nel 1580 sotto l’abate Cirillo di Montefiascone (1577-1581), che apportò radicali modifiche alla vita monastica[5]. Nel tempo, alcune parti sono state chiuse per ricavarne alloggi. Il lato est costituiva la facciata e l’ingresso del monastero, prima del 1580 e qui si trovavano quindi la portineria e vari servizi, i magazzini, il forno e forse era proprio qui che si trovava la prima tipografia (1465). Affreschi di autore ignoto, risalenti al 1600, si trovano sui pilastri del lato sud e raffigurano i papi che, nel tempo, visitarono il cenobio: Gregorio IX, Alessandro IV, Urbano VI, Pio II. In epoca moderna, le fotografie testimoniano la visita degli ultimi papi: Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II.

 

                                            

                                                            Il Chiostro rinascimentale

 

Un grandioso arco gotico, che conserva elementi simbolici ben conservati, è un elemento architettonico di grande rilievo, che introduce al Chiostro Gotico, costruito tra la fine del 1200 e gli inizi del 1300, dunque ben più antico del precedente e chiamato così per la presenza di archi a sesto acuto, caratteristici dell’arte gotica. E’ un chiostro strano, a sei lati irregolari, con un giardino e il pozzo (anch’esso esagonale) posto al centro. Le colonne marmoree che lo adornano provengono dalla Villa di Nerone, situata (come abbiamo già accennato) più in basso (453 m. di altitudine). Si ritiene che in uno dei locali della suddetta Domus, S. Benedetto abbia fondato uno dei 12 monasteri sublacensi, quello di San Clemente, poi distrutto da un terremoto (le colonnine potrebbero provenire proprio da quel cenobio). Sul lato nord sono collocati reperti appartenuti alle strutture più antiche del monastero di S. Scolastica.

 

                                           

                                                                      Il Chiostro gotico

 

 

Una porta a vetri introduce nell’antico ingresso della chiesa, la cui facciata è mirabilmente affrescata. In una lapide, murata su un pilastro posto dirimpetto al portale della chiesa, sono visibili due cervi che si abbeverano ad un recipiente poggiato su una pianta. Sulla schiena dell'animale di sinistra sta, curiosamente, un'epigrafe, che allude alla consacrazione della chiesa di S. Scolastica (4 Dicembre 980). Non chiaro è, invece, il significato dell'iscrizione posta nella parte superiore della lapide.

 

                                       

                                                             La lapide con iscrizioni

 

 

In un affresco deteriorato soprattutto nella parte superiore riconosciamo San Cristoforo, segno che la chiesa era di pellegrinaggio. Questo può sembrare singolare, per un luogo ascetico, ma non va dimenticato che tra il XIV e il XV secolo affluirono a S. Scolastica diverse nazionalità di monaci, soprattutto tedeschi[6]. Al loro seguito vi erano semplici pellegrini, viandanti e artisti, tra cui i due monaci (Conrad Sweynheim e Arnold Pannartzche) impiantarono la prima macchina a stampa, che era stata inventata da Gutenberg nel 1455. Fu così che nel 1465 S. Scolastica fu sede della prima tipografia sul suolo italiano.

  • Ma perchè giunsero proprio a Subiaco, quei due giovani e intraprendenti monaci tedeschi? Chi li aveva chiamati? Curiosamente, i primi testi che vennero stampati non riguardarono l'ambito teologico; sappiamo infatti che già nel 1464 venne data alle stampe la prima opera a caratteri mobili (andata perduta) della storia italiana: il Donatus Pro Puerulis, la grammatica latina di Elio Donato, alla quale seguirono, in rapida successione, il De Divinis Institutionibus di Lattanzio, il De Civitate Dei di Sant’Agostino e il De Oratore di Cicerone.   Sweynheim e Pannartz, dopo aver probabilmente insegnato ai monaci benedettini di S. Scolastica a destreggiarsi con l'attività tipografica, si trasferirono a Roma nel 1467. 
  • Un po' come abbiamo visto ad Avranches, in Normandia, dove ha sede lo Scriptorial o Museo dei Manoscritti dell'abbazia di Mont-Saint-Michel, anche a Subiaco è sorto qualcosa del genere, il MACS  (Museo delle Attività Cartarie e della Stampa), che ha lo scopo di valorizzare due eccellenze storiche di Subiaco: il primo libro stampato in Italia e un’industria cartaria durata oltre 4 secoli. In un percorso interattivo ci si muoverà tra la storia della carta alla rivoluzione digitale, passando naturalmente per la preziosa opera degli amanuensi e dei miniatori medievali di Subiaco, fino alla nascita dell'arte tipografica.

     

Proseguiamo però la nostra visita al monastero e, attraverso un ulteriore passaggio, preceduti sempre dalla nostra guida, arriviamo nel Chiostro dei Cosmati, alla soglia del Paradiso! Spettacolare, interessantissimo, soave: questa è l’impressione immediata che si prova, entrando qui. Impareggiabili sono le vedute che si possono avere del maestoso ed elegante campanile. La forma del chiostro è rettangolare irregolare, con un pozzo al centro (anch’esso riutilizza marmi provenienti dalla domus neroniana). Sulla superficie della colonnina libera accanto al pozzo stesso abbiamo visto un Fiore della Vita.

 

                                          

 

 

Le gallerie porticate del chiostro sono scandite da elegantissime colonnine bianche (marmo di Carrara), sia lisce che tortili, solitarie o binate. Molti sono i dettagli che si potrebbero cogliere, se si fosse da soli, tuttavia riusciamo ad individuarne alcuni. Sul lato sud, c’è un’iscrizione sull’archivolto che recita "Magister Jacobus Romanus fecit hoc opus", ossia Jacopo il Vecchio, che si attribuisce la paternità dell'opera. Sappiamo che egli lo iniziò intorno al 1210 ma fu terminato verso il 1240 da suo figlio Cosma, che diede nome e fama all’arte dei marmorari romani (i Cosmati). La parte superiore venne realizzata più tardi, sotto l’abate Cirillo, e il lato nord venne murato nel XVIII secolo per insorte esigenze. I Cosmati, normalmente, rivestivano di mosaico i loro lavori, ma non qui, come mai?

 

                                            

                                                                Il Chiostro dei Cosmati

 

Si ritiene che quest’opera sia stata prefabbricata a Roma e poi trasportata qui e ricomposta; lo direbbero i numeri progressivi (da I a XVII) presenti sugli archi e sui pilastri vi sono segni uguali a quelli delle lastre situate accanto alle basi delle colonnine. Tra le curiosità: si noti la figura di San Matteo, dipinta nel XIV secolo, pare che il suo occhio segua lo spettatore ovunque si posizioni.

 

                                                   

 

Abbiamo poi notato un disegno, lasciato in rosso su uno dei blocchi dei pilastri che si alternano alle colonnine. La cosa curiosa è che si riesce a capire di cosa si tratti solo capovolgendo la foto: è la testa di un animale, con la lingua protrusa. Se si lascia la foto così come scattata, però, la figura è rovesciata e non si capisce; ciò fa ritenere che il disegno fosse già presente sul blocco quando quest’ultimo venne posizionato (capovolgendolo) nell’attuale posizione. Forse nessuno se ne accorse o forse si, magari si aveva fretta di finire e lo si impiegò ugualmente, chissà. O fu un dispetto? Sporcare un muro così candido lo sembrerebbe. Oppure qualcuno è tanto abile da disegnare…al contrario?

 

              

 

La visita della chiesa neo-classica conclude, di fatto, la visita guidata. L’interno mantiene le dimensioni della chiesa di epoca gotico-cistercense, di cui (nel transetto) si vedono i resti del rosone originario.

Niente accesso ai sotterranei...

 

  • Il monastero di San Benedetto

 

Sulla grotta eremitica primitiva, nota come Sacro Speco, e sull’altra grotta dove Benedetto predicava ai pastori (chiamata grotta di San Silvestro), sorse un vero e proprio complesso architettonico organizzato su più livelli e in diverse epoche, che oggi stupisce il visitatore che giunge quassù. La prima chiesa in muratura viene identificata con un santuario rupestre del IX secolo, voluta dall’abate Umberto.

Il cenobio si raggiunge con l’automobile fino ad un certo livello poi la sia lascia al parcheggio e si intraprende un’irta ma impagabile camminata lungo una scalinata che consente di ammirare paesaggi di intensa bellezza (percorso più suggestivo)[7]. E’ qualcosa di estatico, vedere le forme degli edifici che sembrano quasi impossibili, incastrati nella rupe, con i loro colori contrastanti nel verde e nell’azzurro del cielo. Un posto da monaci, appunto! Sempre i posti migliori, diciamo noi, dopo averne visti tanti, in cui la terra raggiunge altezze vertiginose e sembra sfidare il cielo, per compenetrarlo e stare più vicino a Dio. Tutti gli elementi si fondono in posti come questi: Aria, Acqua, Terra e Fuoco, poiché il sole brucia le pietre e le purifica ogni giorno, così come il monaco con la propria preghiera deve forgiare e distillare la propria anima, al servizio del lavoro manuale e della conoscenza divina.

 

 

Le altezze vertiginose, gli strapiombi, la pietra lavorata dall'uomo che si aggancia prodigiosamente alla roccia naturale, fanno del monastero un luogo di alta suggestione, sacro e misterioso

 

Le parti più antiche del complesso sono situate, chiaramente, più in basso, mentre la chiesa superiore è l’ultima realizzazione, ma tutti gli ambienti sono caratterizzati da dipinti murali, affreschi mirabili che narrano di storie sacre, ma anche di leggende e di significati non accessibili a tutti.  Ma siamo ancora sul limitare della soglia! Stiamo ammirando tutto ciò che è umanamente possibile, con tutti i sensi; riceviamo emozioni continue. E’ tutto così splendente, al mattino presto; l’alba è spuntata già da un pezzo ma da queste vette il sole ha fatto capolino da poco; per ora siamo gli unici visitatori e ci decidiamo finalmente ad attraversare la galleria data da una serie di arconi a sesto acuto, che affaccia su un panorama indimenticabile. E’ irresistibile: dobbiamo sedere su una delle panche di pietra e farci bagnare dai raggi del sole che filtrano dalle arcate, in un ritmico alternarsi di luce e di ombra. Ci troviamo nella parte occidentale del complesso; una torretta angolare e un ponte levatoio introducono in un corridoio. Tra poco scenderemo nelle profondità della roccia, ma prima si deve ammirare il corridoio coperto, che presenta volte a crociera e affreschi alle pareti, accedendo poi al Capitolo Vecchio (il nome lo dice, non è più utilizzato come tale), con affreschi del XVI secolo di scuola fiorentina e toscana del Perugino. Avanzando nella meraviglia, ormai completamente rapiti dal contesto, ci giungono gli echi di canti, segno che qualcuno sta officiando una Messa nella Chiesa superiore ma noi proseguiamo verso il basso. Ci torna in mente che, secondo alcune teorie lette prima di venire qui, l’Ordine di San Benedetto sarebbe stato fondato in parallelo con un Segreto Ordine omonimo, nato per proteggere in gran segreto sia l'Ordine Benedettino che i veri insegnamenti nascosti dell'Apocalisse di S.Giovanni, per contribuire così all'avvento del futuro Messia, Re e Salvatore, che porterà se Dio vuole alla sconfitta definitiva dell'Impero del Male[8].

Ma proseguiamo il nostro percorso che, contrariamente a S. Scolastica, è possibile fare liberamente. Ci ritroviamo così nel cosiddetto “Corridoio del Diavolo”. Ma come… in un cenobio, c’è un corridoio con questo nome, si dirà! Il fatto è che sulla parete rocciosa (qui le opere murarie si fondono con le pareti di roccia che il complesso, di fatto, ingloba) è dipinto un personaggio satanico, il diavolo, appunto. Se ne sta lì, sulla roccia, dipinto, seduto e nudo, con una lunga coda e un paio d’ali. Si tratta di Lucifero? L’angelo che osò ribellarsi a Dio e venne precipitato negli Inferi? Lucifero è però, in senso ermetico, il “portatore di luce” e adesso stiamo per addentrarci nella parte più nascosta e profonda del monastero: la grotta di S. Benedetto o Sacro Speco (Cappelletta di San Romano), ce ne servirà di luce...

 

                                                    

Il Diavolo dipinto nel Corridoio omonimo, prima di scendere nel Sacro Speco. Le frecce indicano altri due sospetti "volti" (uno ricavato dalla roccia e uno, forse, un tempo dipinto?)

 

Si può osservarla dall’alto, mentre si scende lungo la ripida scalinata, avendo una visione d’insieme e poi, giunti al cospetto, entrarvi con rispetto. Si può solo immaginare cosa fosse in origine, nella completa selvagginità rupestre, compagna per tre anni del giovane Benedetto. Oggi infatti la grotta è stata modificata per far posto ad arredi vari, altarini, portalumi, e per renderla accessibile ai fedeli e ai visitatori. In una porzione discosta e più elevata,  sta la statuetta di Benedetto (opera di Antonio Raggi del 1637) posata sulla viva roccia. Guardando in alto, si avverte la sensazione della forza della montagna che ci sovrasta o forse ci protegge.

 

                                                     

                                           Il Sacro Speco, visto dall'inquadratura dell'ingresso

 

La grotta, dopo che Benedetto si trasferì a Montecassino divenne, per 600 anni, luogo i preghiera solo dai monaci che vivevano  nel vicino monastero di S. Scolastica. Era preservata, di fatto, la sua sacralità poiché non vi andava infatti nessun altro, tanto meno i fedeli. Nel 1090 l’abate di S. Scolastica accordò al monaco Palombo il permesso di stabilirsi nelle immediate vicinanze della grotta stessa, perché egli era desideroso di fare vita ascetica (probabilmente non gli bastava la vita comunitaria imperniata sull’ Ora et labora). Si sa che solo dopo il 1193 al Sacro Speco si insediò una comunità di dodici monaci, con una propria amministrazione, guidata da un priore dipendente dall'abate di Santa Scolastica. L’ambiente che ingloba il Sacro Speco fu trasformato tra il 1244 e il 1276 dall’'abate Enrico (Chronicon). A questo periodo risale la creazione del vasto piano della Chiesa Inferiore, un ampio spazio rettangolare, diviso in tre vani, coperti da volte a crociera, uno rettangolare e due quadrati. Enrico alterò profondamente l'interno dello Speco con l'inserimento della pianta "ad quadratum", bernardina, che i Cistercensi, in quel tempo, andavano diffondendo in Europa e che si ritrova in abbazie vicine a Fossanova e a Casamari.  Nel Sacro Speco è visibile un paliotto d'altare di quell'epoca, mirabile opera cosmatesca che abbiamo trovato in diverse chiese laziali. Gli affreschi sulle pareti, di scuola senese del sec. XIV e marchigiana del XV secolo, illustrano scene della vita di Gesù e di San Benedetto: il miracolo del Goto, il Miracolo di S. Placido, il tentativo di avvelenamento del prete Fiorenzo. A questo spazio si può giungere anche tramite una scala che lo collega alla Chiesa Superiore. Il visitatore dovrà prendersi parecchio tempo per osservare i dipinti, leggerne la storia, i particolari, il significato ufficiale e cercare di trarre dentro di sé un’emozione spirituale[9].

 

                                          Mirabili affreschi nella Chiesa Inferiore

 

La potente Croce di San Benedetto

 

Prima di scendere per la “Scala Santa”, notiamo (a destra) la Croce di San Benedetto, carica di significati. Di forma ovoidale, è presente nella stessa foggia anche all'esterno, sul pilastro dell'arco che immette alla salita verso il monastero (se si sceglie questo percorso che, come abbiamo detto, suggeriamo). La Croce di S. Benedetto è riprodotta su medaglie e medagliette in vendita anche nel monastero; la croce effigiata appare però più stretta rispetto a quella murata sullo stipite della Scala Santa del monastero, con colori variopinti che ne caratterizzano i diversi elementi. La forma geometrica in cui è inscritta, inoltre, non è più ellittica ma circolare.

Ogni iniziale corrisponde ad una invocazione a Dio affinchè tenga lontano il maligno, il quale aveva messo diverse volte alla prova il patriarca dei benedettini. Si narra infatti che una volta il demonio gli si era presentato sotto le spoglie di un merlo, e che Benedetto lo scacciò con un segno di croce. Quando poi i monaci tentarono di avvelenare Benedetto con un calice di vino avvelenato, egli fece ancora lo stesso segno e la coppa si frantumò. Sarebbe scaturita da questi due episodi la nascita della medaglia a croce di San Benedetto, ma non si conosce l’epoca di questa tradizione. Si sa però che era in uso nel 1050, quando venne offerta a Brunone (figlio del conte Ugo di Eginsheim), il quale sarebbe guarito da una grave infermità. In seguito egli stesso si fece monaco benedettino e divenne papa con il nome di San Leone IX (morto nel 1054). Diffusione dell’uso della medaglia venne operata anche da S. Vincenzo de’ Paoli. Nel 1742 il papa allora in carica (Benedetto XIV) approvò la medaglia, concedendo delle Indulgenze a coloro che devotamente la portano. Molte persone, nel corso dei secoli,  avrebbero ricevuto grazie spirituali e corporali, specialmente per il suo potere contro gli esorcismi.

 

                             

                          La Croce di San Benedetto, riprodotta su una medaglia

 

Da un lato la medaglia reca una croce che, nei quattro angoli, ha altrettante iniziali:

C = Croce

S = del Santo

P = Padre

B = Benedetto

Sui due bracci della croce troviamo alcune lettere; sul braccio lungo si leggono:

C.S.S.M.L. = Crux Santa Sit Mihi Lux (La Croce Santa sia la mia luce)

Sul braccio corto si leggono:

N.D.S.M.D. = Non Draco Sit Mihi Dux (Non il demonio sia la mia guida)

Sul peduccio superiore c’è il monogramma cristico IHS, su quello inferiore PAX (esistono versioni differenti, comunque). In senso orario sono incise le seguenti lettere:

V.R.S. = Vade Retro Satana (Vai indietro, Satana)

N.S.M.V. = Nunquam Suade Mihi Vana (Non mi attiri alle vanità)

S.M.Q.L.= Sunt Mala Quae Libas (Sono cattive le cose che offri)

L.V.B. = Ipse Venena Bibas (Tu stesso beviti i tuoi veleni)

Sul retro della medaglia vi è la preghiera a S. Benedetto (che ha approvazione ecclesiastica).  

 

                                           

 

  • La Scala Santa e la Chiesa Inferiore

 

Vicino alla Croce di S. Benedetto murata nello stipite destro si legge: “Qui termina la Scala Santa” e, dal lato opposto, è scritto "Qui principia la Scala Santa" (rispettivamente per chi sale e per chi scende). L'originaria Scala Santa era molto più lunga e doveva terminare in uno spazio all’aperto, rasente la roccia. La tradizione ci dice che fu realizzata sotto l’abate Giovanni V (1060-1121) per sostituire lo stretto sentiero, lungo il pendio del monte Taleo, che San Benedetto percorreva per passare dallo Speco alla "Grotta dei Pastori" ed incontrarvi le persone desiderose di ascoltare le sue parole. La parte che rimane, oggi interamente al coperto, mantiene il nome di Scala Santa e collega la Cappella della Madonna alla chiesa inferiore e Grotta del Santo. L’andamento della Scala è a pseudo-chiocciola con andamento obliquo per adeguarsi alla presenza della roccia alla quale il monastero si aggancia. L’architettura asimmetrica viene notata marginalmente dal visitatore, catturato più dalle meravigliose scene che sono dipinte lungo tutte le pareti: leggende, fatti vetero e neo- testamentari (p.e. Strage degli Innocenti, Battesimo di Cristo), vi è anche una sorta di “danza macabra”, figure di santi nei sottarchi e sui pilastri (Giovanni Battista, Onofrio, Scolastica, Anatolia, Stefano e Lorenzo, che furono sostanzialmente asceti). Queste opere sono attribuite al Maestro del Sacro Speco (e aiuti) del tardo XIV secolo, che decorò anche la prima campata della Chiesa Superiore;

 

                                          

                                                                 La Scala Santa

 

Nell’impossibilità di descriverle tutte, ci soffermiamo sul seguente affresco L’Eremita San Macario che mostra a tre giovani cavalieri le diverse fasi di decomposizione del corpo umano. Tre corpi sono deposti in altrettante bare affiancate e si trovano in tre differenti fasi di disfacimento. In realtà il corpo è sempre lo stesso, ma in tre fasi di disfacimento). Dietro alle spalle di San Macario che spiega la situazione, si nota una foresta verdeggiante e un edificio con una torre, probabilmente il monastero stesso, che potrebbe alludere che, attraverso la vita ascetica, si può aspirare alla vita eterna, a rimanere spiritualmente vivi (in tal caso il monastero turrito è l’athanor dei cristiani!). Questa raffigurazione è considerata coerente con la funzione di raccordo della Scala Santa con il cimitero dei monaci, posto all’aperto, all’inizio del suo percorso.

 

 

                                            Affreschi simbolici lungo la Scala Santa

                                                                             

 

La Scala conduce alla Cappella della Madonna, interamente affrescata; quindi, attraverso un’altra scalinata (ma più moderna), arriviamo alla Grotta dei Pastori e ad una piccola terrazza dove si trovava l’Ossario dei Monaci e il roveto, trasformato da san Benedetto in roseto, dove la tradizione vuole che il santo si rotolasse per scacciare le tentazioni. La Grotta dei Pastori è il luogo dove il patriarca predicava a quelle umili genti la “vera fede”.

 

                                      

                                                          La Grotta dei Pastori

 

E’ un interessantissimo ambiente racchiuso dalle pareti rocciose, che presentano lacerti di affreschi, in particolare una bellissima Madonna con Bambino, in stile bizantino (VII sec.), e due santi, identificati da due residue scritte: S.LV (San Luca?) e più a destra S. SIL. (San Silvestro), che per gli studiosi testimoniano gli scambi culturali che esistevano tra i monaci benedettini e quelli orientali. Purtroppo non si può accedere all’interno del grottino, ma lo si può ammirare dalla balaustra di separazione (ringhiera della scala).

Dalle porte a vetri su cui la scala termina, sbirciando abbiamo visto che le pareti esterne della Grotta presentano ancora dei vividi colori e affreschi, nella parte bassa, che ci danno solo l’idea di quanto dovesse essere splendido questo luogo e come rappresentasse un  vero e proprio Cammino di Ascesa, per il neofita. Sul pavimento del terrazzo si nota una lastra tombale che chiude l'oosario dei monaci; è infatti in corrispondenza di quest’area che doveva trovarsi il cimitero benedettino.

 

                                     

Affreschi sulla parete esterna della roccia che lambisce la Grotta dei Pastori. Si riconosce bene una Pietà

 

 

La Sindrome di Stendhal

 

Risalendo per lo stesso tragitto che abbiamo percorso per giungere fin qui, approfittiamo per osservare ancora gli apparati decorativi, l’architettura edilizia che si è dovuta incastrare e armonizzarsi, in qualche maniera, con la presenza naturale della roccia, grande valore naturalistico e sacro. Ogni cosa ci mostra particolari non visti il momento prima, è sempre così…Le Storie della Madonna, così semplici eppure così simboliche, la Sua Maestà, la Dormitio… Poi inquadriamo la profondità della Scala Santa, stavolta vista dal basso, perché dobbiamo salirla; la prospettiva diversa  cambia anche la percezione degli spazi, ci fa sentire piccoli dinnanzi a tale profusione di conoscenza, che è ovunque: nel dosaggio dei colori e della luce, nella scelta delle figure, nei cartigli parlanti, e tanta è celata dietro simboli, chiavi di volta, oculi, nicchie, anfratti… Gira quasi la testa per tanta magnificenza, e siamo ancora da soli, strano ma vero; la massa ancora non ha invaso il monastero. Solo altri due visitatori, sommessi, rispettosi, si aggirano adesso nella Chiesa inferiore.

 

                                          

 

Quasi ci coglie la Sindrome di Stendhal! Cristo, sanguinante, con le stimmate aperte ai piedi, alle mani e al costato, è di fronte a noi. Nella sua bocca vi è una spada che, a metà, diventa un ramo fiorito di candidi gigli. E’ vestito di un drappo bianco che gli lascia scoperte e visibili le ferite della crocifissione e la sua carne martoriata. Siede su un semiarco che può anche ricordare il corpo del serpente atavico (interpretabile come morte), che ha vinto. E’ risorto, è vivo, ha gli occhi aperti e il nimbo; dai palmi delle Sue mani, dalle stimmate, dipartono due nastri che sembrano sorreggere un cartiglio con un’iscrizione latina, che –ricadendo verso il basso – sconfina nella scena affrescata inferiormente e che  è da leggersi contestualmente (Giudizio Universale). Il nastro di sinistra (per come lo guardiamo) sembra però proseguire con la corda che è collegata ad un angelo che abbraccia la Colonna, simbolo della sua materia martoriata, dove il Figlio di Dio è stato percosso prima di essere crocifisso. Gli angeli recano i simboli della Passione, mentre Maria (all’estrema sinistra) e forse Giovanni (all’estrema destra) assistono riverenti al prodigioso fenomeno di Cristo risorto. In piccolo, monaci e suore pregano verso di Lui.

Non è tanto la qualità del dipinto che, a dire il vero, non è eccelsa, quanto il suo verismo, che coinvolge a tal punto l’osservatore da farlo sentire profondamente partecipe di un mistero impenetrabile.

 

                                               

 

Se si staccano gli occhi dai dipinti, non possono andare molto lontano, imprigionati da una profusione di arte e bellezza: racemi d’oro, gemme purpuree, fasce perlate gialle e brune, come i simbolici pavoni; gli animali si alternano ad anfore pompeiane, cigni e anatre a calici bruni, entro ventagli perlati… E pensare che tutto abbia un senso, che non sia stato messo lì casualmente, pone seri problemi di interpretazione dell’insieme. Una decorazione complessa, con una regia dotta e sapiente.

 

La più antica raffigurazione di San Francesco d’Assisi

 

All’ingresso della Cappella di San Gregorio, vediamo il pontefice in abiti papali (tiara, pallio e piviale), straordinario: da un momento all’altro potrebbe uscire dalla parete e con lui volerebbe via la colomba che ha vicino al capo. Ma ai suoi piedi c’è Giobbe, seminudo e coperto di piaghe, accostamento assai raro. Questa piccola cappella absidata è davvero eccezionale, a partire dai simbolici Serafini sulla volta, intercalati ai tondi contenenti i quattro evangelisti (Tetramorfo). Gli affreschi della cappella, molto antica, risalgono al XIII secolo; i motivi spaziano da una tematica teofanica a temi del tutto autonomi celebrativi dei personaggi illustrati. Sul lato occidentale della parete d’ingresso si trova quella che è considerata l’unica raffigurazione autentica di San Francesco o, meglio, la più antica, realizzata quando ancora non aveva ricevuto le stimmate (attestate dal 1224). Nel dipinto, Francesco è privo di nimbo e di stimmate, porta un saio stretto in vita da un cordone giallo, la mano destra al costato e la sinistra che regge un cartiglio; è indicato come “Fr. Francisvs”, mentre non si conosce l’identità del personaggio inginocchiato ai suoi piedi.

La cappella di San Gregorio è preceduta dal Corridoio di Santa Chelidonia, per via di un dipinto che la raffigura, attribuito a Magister Conxolus. La santa è ritratta in una grotta con i corvi che le portano il vitto, perchè anche lei era un'asceta.

 

                                                  

Dettaglio della "vera immagine" di S. Francesco d'Assisi, quando non aveva ancora le stimmate, dunque prima del 1224 (è dunque il ritratto più antico del santo)

 

La Chiesa Superiore

 

Eravamo entrati nel monastero sentendo dei canti, ricordate? Ora tutto tace, la Messa è finita e le porte della Chiesa Superiore sono state aperte dal monaco in servizio. Dalla Chiesa inferiore possiamo dunque accedere, tramite una gradinata che parte dall’atrio, direttamente in quest’altra meraviglia. Che è impossibile descrivere nel dettaglio, com’ è avvenuto per tutto quanto visto fino ad ora: troppa la ricchezza dell’apparato pittorico, pavimentale, storico, teologico, simbolico, artistico…. La Chiesa Superiore è l’ultimo edificio di culto realizzato nel monastero benedettino e sorge sopra gli ambienti già visti. In origine doveva presentarsi più corta e avere una facciata a capanna, oggi scomparsa. Magnifico è il pulpito marmoreo bianco che, con la disposizione attuale, rimane alle spalle dei fedeli; il manufatto è ricco di simboli.

 

                                           

Il pulptio (prima Campata) è arricchito da due registri di formelle, contenenti ciascuna un simbolo diverso

 

L’interno si compone di due campate e un transetto, ma si ritiene che il progetto originario dovesse contemplare tre Campate ma la terza non venne mai realizzata, per motivi sconosciuti. La prima Campata fu affrescata da artisti senesi per volere dell’abate Bartolomeo da Siena (1363-1369).  Non c’è un pezzettino di parete che non sia affrescata, è incredibile! La narrazione è consequenziale e imperniata su Storie del Nuovo Testamento, in particolare dal Tradimento di Giuda fino alla Pentecoste, affrontando tutta la materia della Passione di Gesù. Strepitosa è la Crocifissione, dipinta sulla parete di fronte all’ingresso principale, attribuita al Maestro del Sacro Speco (che abbiamo infatti già incontrato nella Chiesa Inferiore). A questo livello c’era una volta un muro, che fu poi abbattuto per creare la seconda campata. Tanti, troppi i dettagli che sono presenti in questo grande affresco (che comunque si trovano nelle guide e, soprattutto, se ve li farete spiegare dal monaco presente).

 

                          Vedute degli spettacolari interni della Chiesa Superiore

 

 

La seconda Campata – cioè quella più vicina all’altare, è più antica della precedente e questo lo si vede dalla volta, molto più bassa e priva di costoloni. L’apparato pittorico si deve ad artisti della Scuola Umbro-Marchigiana, che vi operarono sin dai primi anni del 1400. E’ la Campata in cui il protagonista è San Benedetto, che troviamo in abiti pontificali, insieme a santi e a membri della famiglia Anicia. Nella parete a sinistra sono tre affreschi: "San Benedetto tentato dal diavolo", "San Benedetto che rotola fra le spine" e "San Benedetto che prega nella grotta". Nella lunetta, vicino all'ingresso, si vede, a destra, "Il miracolo del veleno" e a sinistra "La guarigione del monaco indemoniato” (che mostrano una diversa mano esecutrice, rispetto ai precedenti). Nelle vele della volta sono dipinti "San Mauro", "San Gregorio Magno", "San Romano", "San Martino" e, al centro, "L'Agnello".

Ritroviamo, qui, momenti della vita di San Benedetto: nell'arco tra l'altare e le altre due cappelle di destra è dipinto l' Ultimo colloquio di San Benedetto e Santa Scolastica, narrato nel libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). In esso si racconta che i due santi (tra di loro gemelli) si incontravano solo una volta all’anno. In un giorno di Quaresima (forse) del 542, si ritrovarono fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio lunghissimo, impostato su tante cose del cielo e anche della terra. Venuta l’ora di separarsi, Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, che Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro. Tre giorni dopo, infatti,  secondo i Dialoghi, Benedetto apprende della morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba (e comprende il motivo per cui la gemella voleva trattenerlo più a lungo, piichè sentiva che non lo avrebbe più rivisto). I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547. Questi fatti sono illustrati da diversi affreschi.

 

Particolare dei volti di S. Benedetto e S. Scolastica nell'affresco del loro Ultimo Colloquio (seconda Campata)

 

Il Transetto mostra la parete di fondo scavata nella roccia. In epoca imprecisata fu eretto un muro che impediva, di fatto, l’accesso alle campate; nel 1853 si realizzarono dei gradini di collegamento (tutt’oggi presenti). L’apparato pittorico si deve alla Scuola Umbro-Marchigiana (primi anni del XV secolo). Diversi i temi iconografici presenti, tra cui un San Cristoforo molto bello.

Uscendo dall’ingresso principale, stavolta (ricordiamo che siamo entrati attraversato il passaggio di collegamento con la Chiesa Inferiore), ci ritroviamo nel corridoio ad archi, che da un lato porta alla sacrestia e dall’altro verso l’uscita. Qui si può avere un affaccio sul “roveto” in cui sarebbe caduto Benedetto, come già detto prima.  Un ulteriore ambiente esterno che è possibile visitare è il cosiddetto Cortile dei Corvi (vi si allevavano questi volatili, fino a non molto tempo fa, a ricordo del corvo che (secondo i Dialoghi di papa Gregorio), avrebbe portato via il pezzo di pane avvelenato dalla bocca di Benedetto. La sua statua campeggia sullo sfondo, mentre è in atto di sollevare la testa per guardare le cime aggettanti del monte Morra, al quale vorrebbe dire le parole che si trovano scritte in basso: "FERMA, O RUPE, NON MINACCIARE I FIGLI MIEI".

 

I nostri due passi tra la bellezza e il mistero della “Valle Santa” volgono al termine, serbando per sempre il ricordo di un’esperienza unica. Ma il Cammino sulla Via Benedicti non si ferma qui: per chi volesse è stato infatti istituito un "Cammino delle Abbazie da Subiaco a Montecassino, sulle orme di San Benedetto". Per saperne di più: www.viabenedicti.it

 

 


[1] I tre acquedotti erano: Acqua Marcia, Claudia, Anio Novus

[2] L’edificio sorse su un precedente tempio pagano dedicato ad Apollo

[3] E’ patrono anche di Monaci, Speleologi, Architetti, Ingegneri; il suo nome significa “che augura il bene”, i suoi emblemi sono il Bastone pastorale, la Coppa, il Corvo imperiale

[4] La Biblioteca è oggi situata sul lato nord del Chiostro Gotico, mentre il Refettorio si trova nel lato ovest del Chiostro Cosmatesco, un tempo sormontato dal Dormitorio.

[5] Prima di lui, infatti, nel monastero potevano accedere anche i laici poiché, dal  XIII secolo, vi si stipulavano gli atti pubblici

[6] Nel 1468, su 12 monaci, due soli erano italiani e gli altri dieci erano tedeschi

[7] E’ possibile arrivare al monastero anche a piedi, dagli Altopiani di Arcinazzo (841 m s.l.m.), si scende alla località di Comunacque (552 m), alla confluenza dei fiumi Aniene e Simbrivio, nei cui pressi si possono ammirare le cascate di Trevi. Si costeggia un lungo tratto del corso dell’alto corso del fiume Aniene, fino alle porte di Subiaco, nel territorio del Parco Regionale dei Monti Simbruini. Abbandonando la strada principale si imbocca un sentiero in salita che conduce al Sacro Speco (e quindi la monastero di S. Benedetto). Da qui si scende a quello di Santa Scolastica e ancora più giù, nei pressi dei ruderi della Villa di Nerone. Naturalmente si può fare il percorso in senso inverso.


(Autrice: Marisa Uberti)

Argomento: Subiaco:la Valle Santa

Croce di San Benedetto

Chiara 27/11/2020 | 27.11.2020

Meraviglioso...la forza ,l’amore la fede e la speranza

LETTURA E MEDITAZIONE

ROSETTA LATINA | 30.03.2016

BELLISSIMO ED INTERESSANTISSIMO, BRAVI! GRAZIE.

COMPLIMENTI!

ROBERTA | 03.02.2016

VERAMENTE BELLISSIMA LETTURA.GRAZIE

Bellissimo

Giulia | 02.03.2015

Grazie, sempre superiore la qualità

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