L'Ipogeo di Santa Maria in Stelle (il "pantheon" veronese)

(Marisa Uberti)
 
Il cancello di ferro rimasto chiuso per decenni si è aperto dopo molti anni di restauro il 9 giugno 2018. Un'apertura che aspettavamo con trepidazione, avendo sentito parlare di questo luogo ammantato di mistero da diverse persone amiche residenti nel veronese. Ma ad ogni telefonata al parroco per potere scendere nel sottosuolo e visitare quello che è noto come "pantheon" di Santa Maria in Stelle, si riceveva la stessa risposta: "I lavori non sono ancora finiti, ci vuole ancora un po' di pazienza". Dieci anni. Tanti sono stati quelli trascorsi, e i lavori non sono ancora del tutto terminati, ma ne è valsa la pena aspettare. Dall'estate 2018 i visitatori possono quindi prenotarsi (sul sito ufficiale) per effettuare una visita esclusivamente guidata, in numero non superiore a venti persone al giorno, per non alterare il microclima interno all'ipogeo e gli antichissimi affreschi presenti. Siete impazienti di scoprirne di più, vero? Risponderemo anche noi con le parole del parroco: "Un po' di pazienza" e vi spiegheremo tutto o, perlomeno, ciò che gli studiosi sono giunti a capire di questi complessi ambienti, in cui l'acqua è protagonista. La nostra visita si è svolta alla fine di novembre 2018.
 

 

  • Dove si trova?
L'ipogeo è ubicato nella frazione veronese di Santa Maria in Stelle, che conta poco più di duemila abitanti ed è situata a settentrione della città scaligera, nella parte orientale della Val Pantena (Quinto di Val Pantena). Arrivando nel borgo (122 m s.l.m.) si noteranno lungo la strada dei cartelli indicatori e si parcheggia nei pressi della chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta, che ha un' elegante facciata neo-romanica a fasce bianche e marroni. Davanti all'edificio vi è il sagrato che funge anche da piazza (Piazza S. Maria in Stelle) e, sulla destra, si nota un cancellino chiuso con un lucchetto, che immette in una scala di quindici gradini, in fondo alla quale si vede un secondo cancello (chiuso anch'esso con lucchetto). E' qui l'attuale ingresso all'Ipogeo, che tra poco ci ammalierà con il suo fascino misterioso. Un tempo l'ingresso si trovava al centro della piazza, che si presentava dunque molto diversa.
  • La chiesa di S. Maria Assunta
La Chiesa, che oggi ci si presenta in forme ampiamente rimaneggiate, non ha origini antiche come il "pantheon" ma ha un'età comunque ragguardevole, risalendo al X secolo e questa edificazione fu strettamente legata all'ipogeo delle Stelle, divenuto troppo angusto per accogliere i fedeli. Alla metà del 1400 venne riedificata e divenne parrocchiale (la consacrazione avvenne nel 1491). Alla metà del 1500 venne creato un passaggio comunicante, tramite una scala, con l'ipogeo (aula sud, come vedremo più avanti nel testo). Nel corso del XVI secolo furono eseguiti gli affreschi del prebisterio, che sono stati restaurati nel 2007. Il monumento venne sopraelevato tra il 1814 - 1830, epoca in cui venne riconfigurato in senso neo-classico e in quegli anni anche il campanile venne rialzato, corredato dell'attuale cella campanaria e della copertura a cuspide. Il rivestimento della facciata, in corsi tufacei,  risale al 1954. Il 26 aprile 1945 scoppiò infatti la polveriera di Avesa e la chiesa di S. Maria Assunta subì dei danni; fu riparata completamente nel 1954. I recenti lavori di restauro hanno permesso di individuare lacerti di affreschi tardo-medievali all'interno della chiesa. L'orientamento dell'unica navata è sull'asse E-O, con ingresso a ovest. 
 
  • Perchè Santa Maria in Stelle?

Il toponimo ha origini assai incerte: scartata l'ipotesi che lo faceva risalire al culto della Madonna Assunta in un luminoso cielo stellato, gli studiosi sono propensi a collegarlo alla presenza di stéli, cippi sepolcrali, colonne votive di una necropoli romana che doveva trovarsi qui. Il toponimo corretto sarebbe quindi "Santa Maria in Stele". Tuttavia, quando ci si troverà al centro dell'aula più importante dell'ipogeo, non si potrà fare a meno di alzare lo sguardo e vedere un cielo trapunto di stelle che un tempo doveva essere brillantemente smaltato e sotto quel cielo è conservato un affresco di Madonna con Bambino, recentemente datato al IX secolo. Il toponimo iniziò a circolare, tra l'altro, nel novembre 967 d.C., anno in cui si ha la prima prova documentale. Prima di allora, compare in una permuta (865 d.C.) come Vico Torriano. Sembra pertanto che Santa Maria in Stelle calzi meglio che non stéle, secondo noi!

  • Le origini dell'ipogeo: l'acquedotto romano (I secolo d.C.)
Per capire il presente, ciò che vediamo oggi, è necessario partire dal passato, e immaginare il luogo in cui ci troviamo completamente isolato, ai piedi della montagna. Un luogo ricco di acque e di sorgenti, che attirò l'interesse della gens Pomponia, insediatasi in località Vendri (dove successivamente, nel XVI secolo, i Giusti delle Stelle -o delle Stele- eressero la loro sontuosa dimora, oggi Villa Melloni).  Qualche parola dobbiamo spenderla volentieri per il toponimo Vendri: esso deriva dal latino Veneris (villaggio di Venere) e questo ci fa capire la situazione territoriale fortemente legata ai culti pagani. Infatti proprio nell'omonima località, nel I secolo d.C., esisteva un tempio dedicato alla dea Venere il quale, tra il IV e il V secolo, fu riconverito in senso cristiano riutilizzando materiale proveniente dal tempio stesso. Non si sa a chi fosse dedicata la chiesetta paleocristiana ma è certo che in epoca carolingia (844 d. C.)  esistesse la chiesetta di San Zeno in Vendri, che aveva annesso uno xenodochio. La chiesetta esiste ancora oggi (seppure leggermente spostata rispetto alle origini) e la si può vedere percorrendo la strada comunale che conduce a S. Maria in Stelle.

Esisteva quindi un villaggio a Vendri, in epoca romana, e proprio per l'approvvigionamento idrico della Villa dei Pomponii, si sfruttò la sorgente con la maggiore portata (100 l/m), una fonte sotterranea denominata poi "Pantheon", realizzando un vero e proprio sistema di canalizzazioni (acquedotto), coperte e scoperte. I ricercatori sono risaliti materialmente all'origine di quell'opera idrica, individuando una vasca semi-circolare scavata nella roccia, la Piscina limaria, una vasca di raccolta e decantazione delle acque sorgive sotterranee, larga 2 metri e 60 cm. Dalla vasca (dove l'acqua depositava i residui e gli scarti) l'acqua passava in un pozzo e in un cunicolo coperto con volta a botte (alto 1,70 m per un certo tratto, poi ridotto a 1,25 m, costringengo a stare chini per percorrerlo). L'acqua scorreva quindi all'interno di una canalina scoperta, dopodichè veniva convogliata in un secondo tratto coperto con volta a botte (h 1,60 m) e pavimentato con lastre di pietra, in cui vi era un pozzo avente la funzione di arieggiare e illuminare il condotto. Stando all'interno dell'ipogeo, l'orecchio attento sente scorrere tanta acqua ancora oggi ed è appunto quella proveniente dalla sorgente "Pantheon".

  • III secolo d.C.: il Ninfeo

Scendiamo intanto con la nostra guida. Verso la fine della scala esterna notiamo due blocchi epigrafici incassati lungo la muratura, a destra; le iscrizioni non sono certamente coeve e hanno contenuto differente. La prima è scritta in caratteri onciali e indica la data di nomina ed il nome di uno dei primi rettori della chiesa; l'altra ha caratteri capitali romani e fa riferimento a Domizia Clara, una schiava alla quale Quinto Ponzio Capitone donò la libertà. Su uno degli ultimi gradini si notano delle incisioni geometriche che andrebbero meglio indagate. L'accesso avviene tramite un fornice sormontato da un semiarco con uno stemma centrale; a destra si leggono alcune lettere, ANTEON (residuo di Pantheon), apposto nel XIX secolo. Non nascondiamo l'emozione: stiamo per varcare quasi due millenni di storia, per quanto gli ambienti siano la risultante di più interventi succedutisi nel corso dei secoli. E stiamo per vedere con i nostri sensi qualcosa che è rimasto celato a lungo e che è riemerso grazie a lunghi restauri. Dopo il secondo cancelletto, si scende un'altra rampa di scale, fino a trovarci a circa 4 m di profondità rispetto alla superficie.

L' ingresso da cui entriamo non è quello originale, che era al centro della piazza; fu infatti realizzato nel XIX secolo. Ma torniamo alla nostra storia e dall'oscurità dei secoli emerge una figura statuaria che ci accoglie nel primo ambiente in cui termina la scala: Publio Pomponio Corneliano, di cui i piedi (collocati nel vano successivo) sono l'unica porzione originale di epoca romana. Nel 1988, quando l'ipogeo era visitabile, un turista tedesco si aggrappò alla statua, infrangendola. I sandali che vediamo sui piedi sono stati ricondotti ad una tipologia usata in Germania al tempo dei Romani. A sinistra, celato da una porta metallica, vi è il cunicolo che condurrebbe ai lavatoi. Il personaggio che abbiamo appena citato fu determinante perchè cambiò destinazione e struttura all'ipogeo che, da condotta idrica diventò un Ninfeo, un luogo sacro dedicato alle Ninfe e alle Linfe (Nymphae e Lymphae), divinità acquatiche femminili, già ben attestate nel territorio. Egli ha lasciato i nomi della sua famiglia incisi sull'architrave che immette nel cunicolo:

P.POMPONIVS.CORNE

LIANVS.ET.IVLIA.MAGIA.CVM

IVLIANO.ET.MAGIANO.FILIIS.A.SOLO

FECERVNT

( Pomponio Corneliano, la moglie Giulia Magia e i suoi figli Giuliano e Magiano fecero costruire questo ipogeo). Un'importantissima testimonianza, seppure non sia certo che la collocazione primaria del blocco, impiegato come architrave, fosse proprio questa. Possiamo soltanto immaginare come fosse questo ambiente, a quei tempi, perchè non restano tracce! Sappiamo che Publio Cornelio lo fece ampliare e costruì un secondo tunnel rivestito, dotandolo di nicchie, forse per collocarvi dei simulacri delle divinità?

Superata l'architrave siamo costretti a procedere chinati, essendo il soffito del cunicolo alto appena 1,65 m e largo 1,02 m, ma il tragitto è breve e non privo di interessanti scoperte: la guida ci fa infatti notare alcuni graffiti, come una sorta di Chrismon con alfa e omega poste invertite (a sinistra c'è l'omega e a destra l'alfa). Chi li ha lasciati? Per capirlo dobbiamo proseguire nel racconto e nella visita.

  • IV secolo d.C.: il primo battistero della Val Pantena

I graffiti furono lasciati con ogni probabilità dai primi cristiani che frequentarono questo luogo perchè, dopo essere stato un ninfeo pagano, il vescovo di Verona, Zeno, lo convertì in luogo di culto cristiano. Inizialmente egli, nella sua azione evangelizzatrice del territorio, non fu accolto bene: legati com'erano al "pantheon" (ovvero agli dei), gli abitanti lo presero a sassate e lo cacciarono. Ma effettuando il provvidenziale sincretismo religioso secondo il quale al culto pagano delle acque purificatrici subentrò l'azione rigeneratrice del battesimo in Cristo, fonte di Vita, il vescovo riuscì a imporre la trasformazione dell'ipogeo. Furono cancellate le tracce pagane e l'acqua sorgiva fu impiegata per la vasca battesimale a immersione.  L'ambiente è di forma quadrata (identificato con la lettera G nella piantina sottostante) e si trova al centro di quattro diramazioni: il corridoio da cui siamo venuti (F sul disegno), la condotta idrica che prosegue oltre il cancello chiuso, l'aula a sinistra (H sul disegno) e quella a destra (I, non ancora visitabile perchè i restauri non sono terminati).


fonte fotografica

Rimaniamo stupiti davanti a questo ambiente. Purtroppo non ci è stato permesso scattare fotografie, eccetto proprio un paio, ma abbiamo preso molti appunti. Di fronte, come abbiamo gà detto, prosegue la canalizzazione idrica antica, inaccessibile al pubblico; seguendola si troverebbero i cunicoli che portano alla Piscina limaria e alla fonte originaria (il tragitto è lungo circa 85 m). A destra un pannello chiude la visione dell'aula I (sul disegno) perchè i lavori di restauro stanno proseguendo in quel locale. Nell'aula sinistra entreremo tra poco, quindi rimaniamo in questo ambiente quadrato e lo osserviamo bene: sopra di noi una copertura a botte è interrotta da un lucernario cilindrico, comunicante con la chiesa di S. Maria Assunta. Siamo entrati sotto la piazza e gradualmente siamo arrivati sotto la chiesa! Questo locale quadrato, che può essere definito vestibolo o atrio, rispetto alle due aule (settentrionale e meridionale) risale al III-IV secolo d.C. E' una delle parti pià antiche dell'ipogeo, di cui costituisce il centro: qui arrivava l'acqua direttamente da una canaletta e sono stati ritrovati i resti di una vasca di forma ellittica, indicante la probabile funzione di vasca battesimale ad immersione. Nel gennaio 1972, durante uno scavo dell'atrio o vestibolo, venne infatti rimessa in luce una vasca rivestita e pavimentata con lastre di pietra che, nel I secolo d.C., servì come seconda piscina limaria (o vasca di decantazione); nel IV secolo sarebbe stata riutilizzata come vasca battesimale ad immersione. L'ambiente è un quadrato (terra) e la cupola semisferica (cielo), quindi si ritrova il simbolismo dell'unione della materia con lo spirito. Alle pareti residuano, in alcuni punti, dei frammenti di pietra che fanno ipotizzare la presenza di panche originarie, addossate alle pareti, dove sostavano i catecumeni. La volta presenta affreschi con motivi di pelte sovrapposte ma è sulle pareti che si trovano scene religiose imputabili al Vecchio e al Nuovo Testamento. Sono scene assai sgnificative, specialmente se cerchiamo di immedesimarci nel fedele del IV secolo d.C. Il Cristianesimo stava muovendo i primi passi e il sacramento del Battesimo era una vera e propria iniziazione, come abbiamo bene descritto nel nostro lavoro dedicato ai Battisteri paleocristiani.

Il rituale si svolgeva la notte tra il Sabato Santo e la domenica di Pasqua, alla luce delle candele, dopo una lunga preparazione. I battezzandi erano esclusivamente adulti e la cerimonia prevedeva di scende nell'acqua da occidente, attraverso dei gradini, pronunciando le rinunce a Satana e al male. Una volta immersi nell'acqua salvifica, in questo antico battistero si vedeva -sulla parete che sovrasta il cunicolo della condotta idrica che porta alla Sorgente- Cristo tra due figure, di cui una barbuta (forse successive e forse due Apostoli?). Quale migliore messaggio dottrinale (e iniziatico), per il neofita cristiano? Dopo avere ricevuto il Battesimo, si usciva dall'acqua proprio a oriente, dove si trova questo affresco, pronunciando le formule di conferma ad essere cristiano, in base a quanto il sacerdote chiedeva e ribadiva. Chissà se, un tempo, la volta era affrescata con un cielo stellato e con la Croce monogrammatica, come nel Battistero di S. Giovanni a Napoli? In quel caso il potente simbolo cristologico si rifletteva nell'acqua alla luce delle candele e il fedele, immergendosi, vi poggiava simbolicamente in piedi.

Sulla parete nord, sopra l'apertura che conduce all'aula F, si distingue bene la figura biblica di Daniele nella fossa dei Leoni, con l'angelo; a destra di questa scena si distinguono dei cavalli (una quadriga, che ancora non è stata ascritta ad una rappresentazione biblica specifica). Sopra l'aula meridionale si trovano altre scene affrescate, verosimilmente riferibili a Giona, ma gli studi degli esperti sono tutt'ora in corso. Sopra l'arco del cunicolo da cui siamo venuti (occidente) si trova la scena della Traditio Legis, un tema iconografico tipico dell'arte paleocristiana: la consegna della nuova legge da parte di Cristo a Pietro o, più raramente, a Paolo (in questa scena vediamo entrambi). In Occidente l’iconografia ebbe importanza come rappresentazione del primato di Pietro, e quindi dell’investitura del papato da parte di Cristo (Treccani). Anche questa scena l'abbiamo vista nel Battistero di S. Giovanni in Fonte a Napoli (che citiamo perchè è il più antico che si conosca in Italia), dove Cristo consegna un rotolo a Pietro su cui è scritto "DOMINUS LEGEM DAT". L'insieme degli affreschi doveva costituire un elemento dottrinale molto importante per i primi cristiani che qui ricevevano la loro iniziazione ed è nostro dovere di posteri cercare di capire al meglio ciò che fortunatamente è arrivato fino a noi.

Dal V secolo d.C. al IX secolo: l'ipogeo come chiesa cristiana battesimale

Ora entriamo nella strepitosa aula nord, che ci tramortisce! Mai avevamo visto una cosa simile! Prima ancora delle scene, siamo rapiti dai colori e dalla prospettiva illusionistica creata dagli abilissimi e anonimi artisti paleocristiani. L'aula è di forma semicircolare e ha una piccola nicchia (enigmatica cappellina) sul lato est. Gli affreschi si presentano sull'intera superficie muraria, dal livello pavimentale fino alla cupola. Al centro di quest'ultima notiamo un bellissimo rosone, dal quale si può vedere la chiesa sovrastante. Questa comunicazione non esisteva, in origine, non esistendo appunto la chiesa di S. Maria Assunta. Attorno al lucernario vi è un cielo trapunto di stelle, che non sono più completamente visibili, e che forse conferirono al luogo il toponimo: S. Maria in Stelle. Ma dov'è Maria, dato che fino ad ora abbiamo visto soltanto Cristo e figure maschili? La Madonna in trono con Bambino è situata nella nicchia e risale al IX secolo. Potrebbe essere un'immagine che destò grande devozione popolare e i fedeli l'abbiamo appellata S. Maria in Stelle, visto che l'ambiente in cui si trova aveva come copertura proprio un cielo stellato. Gli studiosi, come detto, sembrano propensi ad orientarsi sulla presenza di un cimitero e dunque sulle "Stéle" e non sulle Stelle, però non è detta l'ultima parola...Ma andiamo per gradi: cosa ne fu del Battistero paleocristiano del IV secolo? Esso continuò ad essere utilizzato e le due aule laterali ad esso, poste a nord e a sud, impiegate in epoca longobarda e carolingia per scopi religiosi. Purtroppo poco o nulla si sa in merito a quel periodo, ma gli affreschi testimoniano una vivace continuità d'uso: nella camera meridionale stanno ultimando i restauri ed è emersa una "Mano benedicente di Dio Padre" inscritta in un cerchio e protetta da una architettura a cappella, che illustra anche lo schema dell'Universo, secondo le concezioni del tempo (fine VIII-inizio IX secolo d.C.). Sarebbe veramente importante poterla visitare, anche se è già trapelato che il risultato dei restauri non è stato ottimale come per l'aula settentrionale, a causa delle condizioni ben peggiori in cui ha versato. Attendiamo con curiosità, pertanto, il momento in cui sarà permesso accedere anche a quell'ambiente, oggi ancora chiuso.

L'aula in cui è possibile entrare è quella a nord, realizzata probabilmente in contemporanea al battistero (insieme a quella sud) e ritenuta luogo di raduno dei battezzandi: sarebbe qui che veniva impartita l'iniziazione necessaria per potere accedere al rito del Battesimo. L'aula fu affrescata tra V e VI secolo d.C. con scene del Vecchio e del Nuovo Testamento. Ci guardiamo attorno, affascinati: sopra l'ingresso troviamo Cristo attorniato dai Discepoli (Collegio Sacerdotale), disposti simmetricamente: Egli è al centro, seduto su un trono la cui pedana è adorna di gemme preziose, indossa una veste colore rosso porpora e ha un'aureola di colore azzurro (dettaglio alquanto insolito). Gli Apostoli ne hanno una bianca e tengono un rotolo nelle mani. Nella parte terminale delle vesti di quattro di essi si vede chiaramente una "I" ricamata (è l'iniziale della parola greca Ichthis, "PESCE"), le cui lettere formano l'acrostico "Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore". È un'opera forse più tarda rispetto agli altri affreschi ma sicuramente è di una ammirevole raffinatezza. Lateralmente alla raffigurazione si vedono due ciste conteneti dei rotoli, allusione ai Testi Sacri del Vecchio e del Nuovo Testamento. Abbassiamo lo sguardo e notiamo che, ai lati dell'ingresso, sono dipinte due figure maachili (lampadofori), una per lato: erano comuni negli ingressi delle ville romane, ma qui siamo in un luogo di culto. Hanno capigliatura e abbigliamento romani; emergono da una sorta di tendaggio e reggono una lampada o torcia, simbolo di luce. Sono estremamente suggestivi.

Sul pavimento musivo dell'aula si trovano motivi di pelte, in parte frammentati. Guardiamo ora gli affreschi delle pareti: appena sopra il pavimento vi è un finto zoccolo, delimitante le scene dipinte. Si leggono cinque pannelli o riquadri delimitati da lesene di colore rosso e giallo: da dove iniziare a leggerli? La guida ci dice che non sono in un ordine preciso ma raccontano episodi biblici. In effetti sono facilmente riconoscibili, osservandoli attentamente. A sinistra dell'ingresso incontriamo un personaggio aureolato a cavallo di un asino e la mano benedicente; abitanti festosi lo accolgono alla porta di una città e stendono un manto per terra. Con ogni probabilità è l'Ingresso di Gesù a Gerusalemme (episodio narrato da tutti e quattro gli Evangelisti nel Nuovo Testamento, sebbene con piccole differenze, v. Matteo 21, Marco 11, Luca 19, Giovanni 12).

Nel riquadro successivo vi è una scena tratta dal Libro di Daniele (V. T.): un personaggio è seduto su un trono, ha un abito regale e regge uno scettro. Alle sue spalle appare uno strano personaggio avvolto in un mantello dal quale spunta un bastone  con punte aguzze. Su una colonna posta davanti al re, si staglia una piccola statua dorata. Sulla destra sono dipinti tre giovani con una corta tunica e il berretto frigio. Osserviamo il loro atteggiamento: gli occhi guardano il re ma le loro mani sono alzate verso il lato opposto. L'espisodio è riferibile al capitolo 3 del Libro di Daniele, in cui il re Nabucodonor ordina di adorare una statua d'oro fatta erigere appositamente e davanti alla quale tutti dovevano prostrarsi, come segno di adorazione agli dei. Tre ebrei, Sadrach, Mesach e Abdenego, si rifiutarono di eseguire l'ordine, restando fedeli al loro Dio; vennero denunciati al sovrano che, invitandoli ad adorare la statua per l'ennesima volta, ricevette un ulteriore rifiuto. Infuriato, Nabucodonosor ordinò di buttarli nella fornace ardente. E' il tema del terzo riquadro:  tre giovani, con le braccia alzate e probabilmente oranti, si trovano dentro una fornace, nelle cui aperture si vede la  legna che la alimenta. Dietro di loro c'è una figura vestita di bianco con un bastone in mano. I tre ebrei -secondo il Testo veterotestamentario -non morirono, anzi il re li vide camminare tra le fiamme, con l'angelo del Signore che li aveva salvati. Da quel momento ordinò che venissero tratti fuori dalla fornace e venissero lasciati liberi di professare la loro fede, ritenendo il loro Dio superiore a tutti gli altri. Affidò loro incarichi di maggiore responsabilità a Babilonia.

Il quarto riquadro mostra con crudezza la Strage degli Innocenti da parte del re Erode il Grande (raccontata nel Vangelo di Matteo 2,1-16). Due soldati fanno roteare sopra il capo i corpicini degli infanti, senza alcun rispetto, mentre un paio di bimbi giacciono per terra, insanguinati ed esanimi. Al tutto assiste Erode, ritratto sulla destra, intento ad incitare la mattanza.

Nel quinto e ultimo riquadro vediamo due animali: un bue e un asino, inconfondibili. Le loro dimensioni sono notevoli e hanno tratto in inganno gli studiosi perchè -se si trattasse degli animali del presepe, cioè presenti in una scena di Natività - occuperebbero praticamente tutto lo spazio! Inoltre non si vedevano le figure salienti come la Vergine, il Bambino e Giuseppe. In una prima interpretazione si è ricorsi dunque ai versi del Profeta Isaia (1.3, V.T.): "Il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende». Questi animali sarebbero dunque un monito, un rimprovero verso i fedeli che, al contrario di quei due animali, non riconoscerebbero il loro Dio. Tuttavia, con gli ultimi restauri, è emerso il volto di un fanciullo, sulla destra, che viene associato alla figura di Gesù Bambino (di cui non si vede il corpo). Si tratterebbe dunque di una Natività. Questa ipotesi può lasciare perplessi: mancano Maria e Giuseppe, manca qualsiasi altro elemento caratteristico della Natività e sarebbe anche una rappresentazione molto precoce di essa. A tal proposito va ricordato che la rappresentazione della Natività è un tema presente nell'arte paleocristiana, anzi fu uno dei principali a partire dal IV secolo: sul sarcofago di Adelfia (Siracusa 330 d.C.) troviamo la scena scolpita mirabilmente, mentre in ambito pittorico ne troviamo già nelle catacombe di Roma. Sul fatto, poi, che manchino altri elementi bisogna considerare che bue e asino sono sempre presenti anche quando la Madonna o qualsiasi altra figura umana è assente (es. sul sarcofago di Stilicone, IV secolo d.C., conservato in S. Ambrogio a Milano). Eppure asino e bue non sono mai citati nei Vangeli! Quindi come si spiega la loro presenza? Sappiamo che gli artisti attinsero spesso alle fonti letterarie non ufficiali (o canoniche) e questo è uno di quei casi: bue e asino sono citati nel Vangelo apocrifo dello Pseudo-Matteo (14:1), che li interpreta come il compimento di una profezia dell’Antico Testamento. Ed ecco allora che torna il versetto di Isaia e quanto abbiamo ricordato poc'anzi. <"un bue e un asino lo adorarono“. Allora si adempì ciò che fu detto dal profeta Isaia 1:3. I primi teologi cristiani trovarono quindi un significato allegorico della presenza del bue e dell’asino nella Natività. Infatti, essi furono considerati da Agostino, Ambrogio e altri patriarchi come rappresentanti del popolo ebraico (il bue), oppressi dalla Legge, e dei popoli pagani (l’asino), che portano il peccato dell’idolatria. Cristo sarebbe quindi giunto a liberare entrambi dai loro fardelli>> (v. fonte). In quest'aula i due animali davanti al piccolo Gesù dovevano essere un monito e un rimprovero da un lato, per coloro che ancora erano attaccati ai culti precedenti, e ricordare a ciascun battezzando l'unico vero Dio da riconoscere. Sul simbolismo dell'Asino abbiamo discusso in altra sezione di questo sito.

Dobbiamo pensare che l'epoca di stesura di questo ciclo pittorico è attesta ai primi secoli dell'era cristiana, in cui doveva ancora essere definita chiaramente una netta separazione tra culto pagano e culto cristiano, il quale per impiantarsi a dovere doveva necessariamente operare un sincretismo religioso tra i culti locali dediti alla Natura, quelli gnostici ed ebraici del Dio del Vecchio Testamento e l'azione redentrice/salvifica di Gesù Cristo, sulla cui natura umana e divina si discusse in diversi Concili, dove si confrontarono aspramente posizioni opposte e da cui emersero insanabili scismi.

Terminato il ciclo dei cinque riquadri appena visti, la parete si addentra in una profonda nicchia semicircolare, simile più ad una cappellina o absidiola. Rimaniamo sorpresi e meravigliati: sulla parete di fondo è dipinto -su fondo chiaro- un sole rosso da cui dipartono innumerevoli triangolini con la punta rivolta verso l'alto, circoscritti da una corona circolare. Il Sole fu sempre associato alle divinità (Antico Egitto, Grecia, Roma, ecc.) e nell'interpretazione cristiana Gesù Cristo fu identificato come il sole che sorge (invitto dopo la lotta contro le tenebre) e sale nel cielo. Le chiese cristiane furono orientate con l'abside verso oriente, verso il sole nascente, in contrapposizione all'ingresso, posto a occidente: in tal modo il fedele -dalle tenebre- entrava nel tempio e camminando lungo la navata si abbeverava alla luce di Cristo; il sacerdote pregava e compiva i rituali rivolto a est. Non sappiamo che funzione avesse la nicchia in quest'aula; oltre al Sole rosso (che è sovrastato da una piccola nicchia, forse in origine destinata a contenere una statuetta?), sulla parete sinistra è affrescata una figura femminile agghindata alla moda orientale: chi rappresenta?  Al di sopra della figura fu aperta un'ulteriore nicchia. Sulla parete destra vi è un'altra figura femminile, con vesti orientali...Da qui sembra emergere un'influenza con culture geograficamente distanti. La volta della cappellina ha una copertura a ombrello, che venne rimaneggiata in epoca rinascimentale. Al di sopra si trova l'affresco bizantineggiante della Vergine in Trono con Bambino e due angeli ai lati; come abbiamo accennato risale al IX secolo, probabilmente, e fu donato come ex-voto da una certa Petronia. L'opera è molto importante perchè segna l'inizio del culto mariano a S. Maria in Stelle.

Ma veniamo ora a quello che ci ha colpito immediatamente entrando e che colpisce ogni visitatore: lo stupefacente "catino" che occupa gran parte della parte superiore dell'aula. E' costituito da quattro strati di elementi cilindrici di diverso colore: dal basso verso l'alto abbiamo il rosso, l'azzurro, il giallo e il verde. I colori erano naturali, terre o minerali (ossidi di ferro), macinati e mescolati opportunamente con leganti e stesi sulla malta. L'azzurro in natura non esiste ed è solo parzialmente di origine naturale e poi doveva essere approntato dall'uomo artificialmente (pigmento inorganico sintetico): in quest'aula è stato riscontrato, infatti, l'utilizzo del blu egizio. Sono colori ancora vivi, ma in origine dovevano esserlo ancora di più. Una meraviglia! Con il tempo si erano ricoperti di sali carbonatici e calcite, che sono stati rimossi dai restauratori e grazie al loro lavoro possiamo goderne. Il significato di questi elementi non ci è molto chiaro, a dire il vero: vengono identificati come riproduzione di tubi vuoti che i Romani impiegavano nelle costruzioni per alleggerirle; generalmente erano di argilla. Ogni "tubo" si presenta decorato, a sua volta, ma perchè riprodurre dei tubi in un'aula sacra?

Completano l'apparato pittorico di questa straordinaria aula dei motivi a greca; la cupola è separata dalla parte sottostante da una fascia a meandro composta da una greca tridimensionale di colore rosso.
  • Dal IX secolo ai giorni nostri: costruzione della chiesa di S. Maria Assunta e concomitante utilizzo dell'ipogeo
L'ipogeo venne quindi utilizzato come chiesa battesimale fino al IX secolo quando, a Grezzana, venne edificata una pieve che andò ad assoggettare molte delle chiese vicine, tra cui S. Maria in Stelle e la chiesetta di S. Zeno a Vendri. Di conseguenza, non si potè più celebrare il rito del battesimo nell'ipogeo perchè quel sacramento veniva impartito nella chiesa plebana di Grezzana. Nello stesso periodo fu costruita, superiormente all'ipogeo stesso, la chiesa di S. Maria, come Santa Madre di Dio, che divenne la parrocchiale di S. Maria in Stelle. Sembra di capire che a quel tempo non vi fosse un collegamento diretto con l'ipogeo, che verosimilmente continuava comunque ad essere frequentato per scopi religiosi (si è ritenuto vi fossero sepolture ma non è stato trovato nulla al riguardo).
Nel 1183 la chiesa di S. Maria fu distrutta da un terremoto e, nell'attesa della sua ricostruzione, le funzioni liturgiche si svolsero nell'ipogeo, consacrato per l'occasione da papa Urbano III la prima domenica di giugno 1187. Nel 1213 la nuova chiesa, che prese intitolazione a S. Maria Assunta, risulta già eretta, ma un avverso destino la colpì: venne ripetutamente danneggiata da terremoti nel 1397, 1402, 1410. Di prassi, l'ipogeo accolse ogni volta i fedeli per le funzioni, che si svolgevano nell'aula settentrionale (fino al 1491). Fu in quelle occasioni che, come elemento d'altare, venne impiegata un'ara romana capolvolta (in sprezzo dell'antica dedicazione pagana). Su di essa era già stata incisa, in caratteri gotici, la consacrazione dell'ipogeo del 1187 e le indulgenze concesse. Sopra l'ara venne collocato il bassorilievo con il Transito della Vergine, attualmente collocato nel presbiterio della chiesa parrocchiale (funge da mensa d'altare). Il manufatto è attribuito al XIII secolo.
L'11 dicembre 1491 fu consacrata la nuova (e attuale) chiesa di S. Maria Assunta ma il "pantheon" ipogeo fu sempre frequentato, anzi nel 1585 venne collegato con l'interno della chiesa tramite un secondo ingresso (il primo si trovava in mezzo alla piazza). Durante le Indulgenze, i fedeli potevano così effettuare un percorso processionale in senso rotatorio che consentiva loro di scendere nel sotterraneo e risalire fuori. Il collegamento tra ipogeo e chiesa si trova nell'aula meridionale, che attualmente è ancora inaccessibile. Nel 1769 il parroco don Francesco Ziliotti chiese al vescovo Giustiniani di poter celebrare la S. Messa nello scurolo e il prelato, in visita pastorale a S. Maria in Stelle, glielo concesse. Si hanno disegni molto accurati di come fosse nel 1811 l'ipogeo, eseguiti da mano anonima (forse Gaetano Avesani). Dovettero, in seguito, essere intervenuti dei fenomeni di allagamento o franosi se nel 1816 il "pantheon" risultava invaso dal pietrame, con la vena d'acqua bloccata. L'architetto Giacomo Gemma diresse i lavori di pulitura e di ripristino della sorgente, la cui acqua potè arrivare fino ai lavatoi. Fu in quell'occasione che si eseguirono altri lavori, come la copertura con volta a botte dell'atrio d'ingresso dalla piazza e la pavimentazione del condotto romano del III secolo (e un parte di quello del I secolo) con lastre di pietra.
Il parroco del momento, don Stevanelli, incaricò l'arch. Gemma di redigere una pianta precisa dell'ipogeo, che fu consegnata regolarmente nel luglio di quell'anno (1816). Purtroppo, dopo appena due anni dalla sua ripulitura, l'ipogeo si intasò di nuovo, a causa di un violentissimo temporale, verificatosi l'11 maggio 1818. Caddero dei muri e dalla collina furono trasportati fango e pietrisco, entrarono nel "pantheon" e lo occlusero fino alla sorgente. Si vide allora la solidarietà di molti che, volontariamente, si attivarono per tredici giornate a liberare il sotterraneo e ripristinare l'uscita dell'acqua. Poco tempo dopo, ancora per una pioggia eccezionale, l'ipogeo si riempì di pietrisco. Non si poteva più continuare così! I volontari lo liberarono ancora una volta, era il 17 Giugno 1823, ma don Stevanelli decise di spostare l'ingresso dal centro della piazza al lato destro, dove si trova tutt'ora.
L'ipogeo cominciava ad attirare l'attenzione degli studiosi e nel 1848 uscì la prima monografia ad opera del podestà di Verona, Giovanni Orti-Manara. Il titolo è "Di un antico monumento dei tempi romani che trovasi nella terra delle Stelle presso Verona" e contiene anche due tavole planimetriche di F. Penuti (il saggio si può scaricare da Google Books). Una seconda monografia uscì nel 1968, per opera di Wladimiro Dorigo, intitolata "L'ipogeo di Santa Maria in Stelle in Valpantena (Verona)", considerata tutt'oggi un punto di riferimento per gli studiosi, in attesa di nuove revisioni in base alle nuove scoperte.
Nel 1963 l'Istituto Centrale del Restauro di Roma effettuò un restauro degli affreschi dell'aula Nord del "pantheon" e, tra il 1970-'71, furono consolidati i mosaici di entrambe le aule (N e S). Nel luglio 2005 arrivò un provvidenziale finanziamento statale di 420.000 euro per il restauro conservativo del pantheon di S. Maria in Stelle, che ha consentito di intraprendere necessari lavori per poter restituire al pubblico questo gioiello che merita di essere conosciuto e approfondito.

  • I graffiti e le iscrizioni nell'ipogeo
Seppure la visita guidata sia soddisfacente, essa si svolge in parte all'aperto, con spiegazioni della storia e dell'evoluzione architettonica della chiesa e del pantheon, e in parte all'interno dell'ipogeo, dove però non si può sostare a lungo. La durata totale della visita (tra esterni ed interni) è di 45-50'. Il microclima va salvaguardato e si può scendere in numero non superiore a 5 persone per volta e per un massimo di 20 al giorno e sempre su prenotazione. Questa "rigidità" non consente, di fatto, lo studio accurato degli ambienti, come amiamo fare noi, tuttavia ci ripromettiamo di tornare presto in loco. Intanto ci stiamo informando meglio e abbiamo scoperto che esistono numerose iscrizioni e graffiti all'interno delle celle: nel vestibolo, nell'aula nord e in quella sud. In particolare è segnalata un' iscrizione, in pessimo stato di conservazione, vicina all'affresco della Madonna con Bambino del IX secolo (nell'aula Nord); si sviluppa per un' altezza di172 cm, è impaginata su 2 colonne prive di rigatura, disposta su 12 righe incomplete, con lettere scure su fondo bianco in campo aperto. Ma numerosi sarebbero anche i nomi di diaconi, sub-diaconi, presbiteri, iscrizioni dedicatorie presenti nell'aula Sud. La datazione di questo "Corpus" epigrafico non è uniforme, comprendendo un periodo piuttosto vasto, dal IV-V secolo d.C. a tutto l'alto medioevo fino al IX secolo. La concentrazione di scritte nell'aula sud è attorno all'affresco della Manus Dei, e testimoniano quanto valore sacrale avesse quel simbolo, che era richiamo di pellegrini, così come lo era certamente l'affresco mariano. Emerge dunque un ulteriore dato importante, che S. Maria in Stelle fosse un luogo di intenso pellegrinaggio. Lo testimoniano tre elementi principali:
  • i graffiti
  • la presenza di uno xenodochio in località Vendri
  • l'apertura di un secondo ingresso (direttamente comunicante con la chiesa) per facilitare le processioni nell'ipogeo

Cercheremo di seguire le evoluzioni di questo interessante luogo di culto, in cui si intrecciano paganesimo e cristianesimo, storia e devozione, natura e arte, materia e spirito.

 

Riferimenti:
  • L'ipogeo di Santa Maria in Stelle (!, Cronologia. Nuova lettura cronologica dell'edificio, di Luigi Antolini, diostribuito in loco). Il sito ufficiale è https://www.ipogeostelle.it
  • https://www.youtube.com/watch?v=PAi45aFqiaw
  • Di un antico monumento dei tempi romani che trovasi nella terra delle Stelle presso Verona, Giovanni Orti-Manara
  • Il Corpus dei graffiti in Santa Maria in Stelle (De Rubesi Flavia, Academia.edu)