San Felice Circeo (LT):

Dalla Maga Circe ai Templari (parte I)
 
(a cura di Marisa Uberti)
 
[Questo articolo fa parte dello Speciale "Riviera di Ulisse: una vacanza archeologica"] 22/10/2022
 
 
  • Il Monte Circeo: una terra leggendaria
 
San Felice Circeo è posta sul promontorio del Circeo, nell'omonimo Parco Nazionale. La zona è ricca di grotte che furono frequentate già in epoca preistorica. Celebre il rinvenimento di un cranio dell'Uomo di Neanderthal, con frattura alla tempia e posto al centro di un cerchio di pietre, all'interno della Grotta dell'Uomo (Grotta Grattari), oggi conservato al Museo Pigorini di Roma. Un tempo la grotta ricadeva nel giardino di un albergo.
 
Il Promontorio del Circeo visto dalla terrazza del Tempio di Giove Anxur a Terracina (foto autrice)
 
Fig. 1. Il promontorio del Circeo visto dalla Grotta di Tiberio a Sperlonga. In primo piano la Torre-Faro del borgo sperlongano (foto autrice)
 
 
Il mito narrato nell'Odissea di Omero [1] narra di un'isola chiamata Eea, dove viveva la maga-dea Circe, bellissima ma capace di fare terribili incantesimi. Circe (in greco antico Κίρκη, Kìrkē) è una figura della mitologia greca che compare per la prima volta nell'Odissea (X, 210 e sgg.). È figlia del Titano Elios (il Sole) e di Perseide, ed è sorella di Perse, Eete, Pasifae (vi sono altre identificazioni ma non è questa la sede per approfondimenti ulteriori).
Il promontorio del Circeo poteva sembrare effettivamente un'isola ai naviganti che arrivavano dal mare; il monte è un Anti-Appennino che si protende aguzzo e solitario oltre la pianura che separa i Monti Lepini dal Mar Tirreno. La sua mole isolata e protesa nell’acqua ha da sempre affascinato popolazioni e naviganti che fin da tempi remoti lo hanno legato a doppio filo con il mito.
Si dice che Il profilo del Monte Circeo ricordi il profilo di una donna, più precisamente della Maga Circe ovviamente, addormentata e sdraiata in riva al mare. Il "naso" della figura sarebbe la sporgenza più elevata chiamata "Picco di Circe" (546 m s.l.m.), dove residuano le vestigia di un tempio (o un Themenos) dedicato a Circe (o Venere) costruito in epoca romana (IV secolo a.C.) ma forse su resti più antichi.
 
 
Fig.4.  Il profilo del Promontorio del Circeo visto da Sabaudia: si noti la somiglianza impressionante con un profilo umano, associato tradizonalmente a quello della Maga -dea Circe, il cui "naso" costituisce il punto più elevato del monte, detto Picco di Circe, su cui fu eretto un tempio (crediti fotografici)
 
Prima dell'arrivo dei Romani, il territorio di Circeii era in mano a popolazioni italiche (Volsche) per le quali il Picco rappresentava una meta importantissima: da più parti, a valle, dovevano partire processioni in un lungo pellegrinaggio. Immaginiamo l'importanza che dovesse avere cultualmente (ma anche strategicamente) [2] e il panorama incomparabile che vi si godeva estasiava i sensi (e si gode ancora oggi da lassù) [3]. L'Odissea colloca, secondo gli storici, l'isola di Circe in Oriente ma la tradizione successiva identificò questa con il promontorio Circeo nel Lazio.
La sua dimora era in un palazzo circondato da un bosco, abitato da festose bestie selvatiche (Virgilio in Eneide VII, 19-20, ci dice che queste bestie altro non sono che uomini così ridotti dai sortilegi della dea-maga: quos hominum ex facie dea saeva potentibus herbis induerat Circe in voltus ac terga ferarum) che ella aveva incantato con filtri maligni (τοὺς αὐτὴ κατέθελξεν, ἐπεὶ κακὰ φάρμακ᾽ ἔδωκεν, X, 213).
Quando la nave di Ulisse - fuori rotta - giunge nei pressi del promontorio del Circeo (ritenuto un'isola), un manipolo dei suoi marinai, guidati dal fido Euriloco, va in avanscoperta sulla cima del monte: trovano un palazzo di marmo attorniato da manusete bestie, e odono il soave canto di chi vi abita: Circe, bellissima come solo una dea può essere!
Vengono accolti con gentilezza, sfamati e inebriati dal buon vino distruibito loro dalle ancelle della maga, ma in realtà in quella bevanda vi è un intruglio che li trasforma in porci. Solo Euriloco, rimasto ad osservare senza essere visto, torna indietro, alla nave, e avverte Ulisse. Costui non può certo lasciare i suoi uomini in balia della ammaliatrice e decide di salire fino al suo palazzo, munito di spada e arco ma lungo la salita incontra il dio Hermes, che gli fornisce un antidoto che lo renderà immune dagli intrugli di Circe. Infatti così accade: la maga si avvede di essere in presenza di Ulisse e diventa per lui quasi un'alleata, dispensatrice di consigli per riuscire a superare le prove che lo attendono e fare ritorno a Itaca. Ulisse chiede e ottiene che ai suoi marinai venga ridata forma umana e stabilisce con Circe un rapporto sentimentale per circa un anno, da cui nacque un figlio di nome Telegono. Questo sempre secondo la tradizione mitologica, s'intende. A questo punto si apre una storia parallela, secondo la quale Ulisse sarebbe stato addirittura sepolto sul Monte Circeo. Si tratta della Telegonia, antico poema epico andato perduto, scritto da Eugammone da Cirene intorno al VI secolo a.C., che faceva parte del Ciclo Troiano, di cui costituiva la parte conclusiva; raccontava in versi l'intera storia della Guerra di Troia, venendo subito dopo le vicende narrate nell' Odissea di Omero (la prima parte è l'Iliade).
 
Fig. 7. Statua di Circe con ai piedi i maialini, ritrovata nell'area della Villa e Grotta di Tiberio a Sperlonga e conservati nel Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga (foto autrice)
 
Il secondo libro della Telegonia ha per protagonista Telegono, figlio di Circe e di Ulisse, che quest'ultimo aveva lasciato in fasce. Nel libro perduto si narrano le vicende di Ulisse dopo essere tornato nella sua patria, Itaca, e aver sconfitto e seppellito i Proci: avrebbe continuato a viaggiare e avere avventure amorose, a combattere per poi ritornare a Itaca. Circe nel frattempo ha allevato il figlio avuto da Ulisse, Telegono (Τηλέγονος = Nato lontano da casa), nel palazzo situato sull'isola Eea (che si crede il Circeo); un giorno, dietro suggerimento della dea Atena, rivela al giovane l'identità del padre ed egli vuole andare a cercarlo per conoscerlo e affrontarlo. Circe dona al figlio una lancia forgiata dal dio Efesto (Vulcano), sulla cui punta è stato applicato un pungiglione velenoso di una razza. Chiunque sarebbe stato colpito con essa, non sarebbe sopravvissuto.
Telegono parte per mare ma viene colto da una tempesta e si ritrova a Itaca, senza che egli riconosca il luogo in cui è approdato, credendo di essere a Corcira (Corfù). Ignaro che sia la patria di suo padre, si dà alle razzie per sfamare l'equipaggio e ruba il bestiame di Ulisse che, accortosi di quanto sta accadendo, accorre in difesa della proprietà personale e dell'isola. Telegono, però, lo trafigge accidentalmente con la punta della lancia avvelenata (realizzando così la profezia fatta da Tiresia nell'Odissea secondo la quale la morte di Ulisse sarebbe venuta «fuori dal mare"). E' in quel momento che padre e figlio si riconoscono ma è troppo tardi: disperato per l'errore commesso, Telegono riporta il corpo di Ulisse a Eea (Circeo), facendosi accompagnare da Penelope e Telemaco (rispettivamente moglie e primo figlio di Ulisse). L'eroe omerico viene sepolto a Eea e Circe rende immortali i presenti, con le sue doti soprannaturali. Telegono sposa Penelope e Telemaco sposa Circe. Tutto questo segna la fine della storia di Troia ma l'inizio di una nuova stirpe: quella dei Romani. Il figlio di Telegono - in questa chiave - sarà il fondatore di Tuscolo e di Palestrina ed è evidente che si vuole dare una storia all'ìimmigrazione greca a Palestrina [4]. Tutto questo è leggenda, lo abbiamo detto, mitologia assai affascinante ma chissà se da qualche parte si nasconda qualcosa che possa confermare il mito!?
La testa di una statua femminile fu trovata nel 1928 da un pastore (Luigi Tassini) sulle pendici del Promontorio del Circeo, proprio sotto il Picco di Circe e per questo immediatamente indentificata come la testa di Circe (del corpo non è stato ritrovato ancora nulla: giace ancora probabilmente ai piedi del dirupo sotto strati di detriti e massi). Fu portata al Museo Nazionale Romano e vi stette fino al 2016, quando venne restituita al Comune di S. Felice Circeo per una mostra temporanea. La presenza di alcuni fori sulla testa fanno presumere che la figura potesse essere ornata con un diadema, simbolo che caratterizzava nell'€™iconografia antica la figlia del Sole. Inoltre, un' epigrafe ancora conservata, ricorda che nel 213 d.C., sotto Caracalla, ci fu un restauro dell'altare di Circe sul monte Circeo. Non dimentichiamo che nella Grotta di Tiberio a Sperlonga (qualche km a sud di San Felice Circeo) esisteva un insistente rimando alla saga omerica, e vi erano conservati quattro colossali gruppi statuari noti come l' Odissea di pietra. Tra gli innumerevoli reperti, fu scoperta la bellissima statua di Circe con tre maialini (fig. 7). Vedi il nostro recente reportage.
 
  • L'Acropoli
Sul monte Circeo, in un contesto veramente magico, vi sono dei blocchi ciclopici ben squadrati e una Acropoli, che fa tuttora dibattere gli studiosi. Chi l'ha costruita e perchè? E' un'opera funzionale al rito religioso o di ingegneria militare? Ciò che si può concordare è che, a nostro avviso, possa racchiudere più funzioni e il progetto non riguardava soltanto il monte, dove si trovano testimonianze più cospicue di quella maestosa opera poligonale, bensì anche la città bassa (Urbs) e il già citato tempio sul Picco di Circe. Ulteriore curiosità e mistero si sprigiona dalla cosiddetta cisterna del rospo idolatrato (con soffitto a tholòs) che si trova a circa 20 metri dalle mura a sud-ovest dell'Acropoli. Fu citata da Giuseppe Lugli nella sua "Carta Arheologica d'Italia" nel 1923, quando redasse una sorta di "catasto archeologico" con l'obiettivo di mantenere viva l'eredità culturale dell'antico e aiutare i ricercatori storici. Ma quando altri la descrissero, sembravano parlare di due cose diverse e infatti ciò si spiega sapendo che le strutture ipogee sono due: questa e l'altra situata sul Picco di Circe. Le ipotesi sulla loro funzione sono diversema appare interessante quella un po' fuori dal coro, formulata da Mario Tocci, che tira in ballo l'archeastronomia [5].
Secondo gli archeologi a costruire le mura poligonali del Circeo furono i Romani. Le fonti storiografiche romane raccontano che fondarono una prima colonia al Circeo nel 509 a.C. (UrbS) ad opera di Arrunte, figlio di Tarquinio il Superbo, Re etrusco di Roma. Questa passò presto in mano volsca, grazie alla conquista da parte del mitico Coriolano, soldato romano passato dalla parte del nemico. Dopo un secolo di conquista volsca tornò in mano ai Romani. Proprio per scongiurare il pericolo volsco i Romani costruirono l’Arx intorno al 393 a.C.
L'Acropoli del Monte Circeo è costituita da blocchi in opera poligonale che abbiamo riscontrato altrove durante i nostri sopralluoghi nel Basso Lazio (Alatri, Ferentino, Veroli, Arpino, Anagni, Fondi, ecc.); molto affascinanti, questi blocchi ci parlano di un passato remoto non ancora del tutto privo di mistero. Tra l'altro, nel caso del Circeo sono stati causati danni irreparabili in epoche recenti, nel tentativo di un discutibile restauro (si legga qui la cronaca).
Per scorgere i blocchi e raggiungere l'Acropoli si può raggiungere con l'auto (o altro mezzo) dal centro storico di S. Felice Circeo, un'area di parcheggio sul Monte Circeo, imboccando Via delle Mura Poligonali e Via Acropoli. Si continua a salire fino a giungere all'ampio parcheggio, di fonte a un ristorante panoramico. Ai margini si trovano dei pannelli informativi e inizia il sentiero 754 del Parco Nazionale del Circeo. Il sentiero è facile e in pochi minuti di cammino si incontra, sulla sinistra, un altro sentiero che conduce alla croce (Belvedere delle Crocette). Se invece di girare per il belvedere si prosegue diritto, si costeggeranno le mura poligonali dell’acropoli di Circei, scendendo fino alla via del Sole (poco sopra al Faro di Capo Circeo).
 
 

Fig. 14. Pannello situato nel parcheggio del Belvedere delle Crocette in cui è illustrato il percorso più semplice per raggiungere l'Acropoli e le sue emergenze archeologiche (foto autrice)

Fig. 15. Il Belvedere con la croce (foto autrice)

Le Mura Ciclopiche dell’Acropoli racchiudono un’area di circa due ettari, disposta lungo il ciglio del Monte. La loro altezza sul lato esterno varia a seconda della posizione, restando conservate fino a un massimo di 6 metri presso il lato nord-ovest. Le mura vennero fondate sulla roccia viva, spianata per consentire la messa in opera del primo filare di pietre. La struttura è caratterizzata da grandi massi squadrati, ben tagliati e levigati all'esterno, per non offrire punti di appoggio ad eventuali aggressori. I blocchi sono sovrapposti ad arte all’esterno, a secco, mentre il lato interno fu realizzato con pietrame di piccole e medie dimensioni, messo in opera così come era uscito dalla cava.

Il perimetro dell’Acropoli è stato completamente messo in luce: esso ha la forma di un quadrilatero non regolare, con il lato Nord di 244 m, il lato Sud di 194 m, il lato Est di 85 m e il lato Ovest di 155 m (per un totale di 678 m perimetrali); su questo lato settentrionale è ancora distinguibile una Porta. Inizialmente le porte d’accesso erano due: la Porta Antica a nord-ovest, di cui sono visibili pochissimi resti a causa del crollo dell’architrave, e una (probabile) porta di emergenza all’estremità del lato nord. La peculiarità di questi ingressi è tutta nel sistema di chiusura che puntava a risolvere alcune difficoltà legate alla struttura in opera poligonale.

 

Parte II
 

[1] https://it.wikisource.org/wiki/Odissea_(Romagnoli)/Canto_X

[2] "Da una parte si vedono le Isole Pontine (la più grande è l’Isola di Ponza con accanto Palmarola e Zannone e Ventotene un po’ più in là); da un’altra si vede il Golfo di Gaeta e quando il cielo è particolarmente terso anche quello di Napoli con Ischia e il Vesuvio; sul lato opposto c’è la spiaggia di Sabaudia (la spiaggia di Torre Paola) con le dune che separano il mare dai laghi costieri (il lago di Paola, di Caprolace, Monaci e di Fogliano). Lo sguardo spazia sul lato interno sui Monti Lepini e sulla Pianura Pontina con il fazzoletto verde intenso del bosco di pianura del Parco Nazionale del Circeo, il più grande d’Italia" fonte: https://blog.zingarate.com/parconazionaledelcirceo/trekking-picco-di-circe/

[3] Storia, leggenda li trovate qui

[4] Nel I sec a.C. con la supremazia della Gens Julia (la famiglia di Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto) che già si diceva discendente da Venere, un altro mito finì per sostituire quello di Circe ed Ulisse ed in esso Venere era la protagonista incontrastata. Il nuovo mito racconta la storia di Enea, eroe troiano figlio di Venere, che in fuga da Troia vinta dagli Achei, parte per l’Italia e fonda sulla costa laziale una sua colonia. I figli di Enea fonderanno un giorno l’Urbe attraverso Romolo e Remo. Virgilio mise il nuovo mito della fondazione di Roma nero su bianco scrivendo l’Eneide (link)

[5] https://www.circei.it/pagina-23.html

 

Per approfondire: