Baia, Bacoli, Miseno e i laghi flegrei

                                             (le meraviglie si susseguono...)
                                                   Speciale Campi Flegrei
                                                  (di duepassinelmistero)
                              
 

In questo viaggio abbiamo potuto avere un’idea dell’importanza storica, geologica e culturale dei Campi Flegrei, e cerchiamo di trasmetterla  soprattutto a coloro che non avessero avuto il piacere di visitarli. Siamo partiti dal territorio più a nord, l’antica Liternum (nel comune di Giugliano in Campania) e dal Lago Patria; scendendo verso sud abbiamo fatto tappa a Cuma, con la sua splendida Acropoli e l’Antro della Sibilla cui è legata la leggendaria vicenda del virgiliano Enea. Abbiamo visitato il Lago Averno, considerato anticamente la Bocca degli Inferi, e scendendo sulla costa, ci siamo diretti a levante per conoscere meglio  Pozzuoli romana , con il grandioso Tempio di Serapide (il Macellum, in realtà) e l’Anfiteatro Flavio, il terzo più grande al mondo costruito dai Romani. Ci siamo soffermati nella chiesa di San Gennaro alla Solfatara, dove abbiamo imparato qualcosa di nuovo, poco noto a chi non è della zona, che ci ha riportato alle origini del culto di San Gennaro, con la sua decapitazione.

Ora è giunto il momento di esplorare la parte occidentale del Golfo di Pozzuoli, dove si trovano le antichissime città di Baia, Bacoli e Miseno[1], perle di straordinaria bellezza non soltanto paesaggistica, ma storic0-archeologica e rivestono grande interesse geologico. Sembra incredibile che in un lembo di terra circondato dal mare si possa concentrare tanta meraviglia ma così è! Insieme ai laghi che arricchiscono questa penisola e all’isola di Procida, il comune di Bacoli e le sue frazioni hanno rappresentato per noi delle tappe estremamente significative di questo viaggio nei Campi Flegrei. Un viaggio che è proseguito a Napoli, con ulteriori meraviglie, soprattutto nella città sotterranea ma ne parleremo in altra sezione.

 

Incantevole veduta del lago Averno. Ecco occupa la bocca di un antico cratere vulcanico ed è circondato da tre alture: il Monte Grillo, Monte Nuovo e Monte delle Ginestre. Il suo nome significa "senza uccelli" perchè le forti esalazioni solfuree che emanavano le sue acque ne impedivano la sopravvivenza. Oltre a consideralo l'ingresso degli Inferi, nei suoi pressi Virgilio vi poneva  il paese dei Cimmeri, il favoloso "popolo della notte", sul cui territorio non sorgeva mai il sole...

Le sponde del Lago Averno sono ricche di testimonianze archeologiche, che hanno fatto da pittoresco sfondo a varie leggende. Una meraviglia ingegneristica di epoca repubblicana è la Grotta di Cocceio, fatta realizzare da Marco Vipsanio Agrippa nel 39 a.C. e progettata da Marco Cocceio Aucto. Essa rientrava nell'immane programma militare della flotta di Ottaviano,  che fece disboscare la selva sacra per realizzare un grande porto militare (Portus Julius). Il tunnel, lungo circa 1 km, collega la sponda occidentale del lago con l'Acropoli di Cuma. Nel 37 a. C. l'Averno fu collegato sia al lago Lucrino che al mare mediante n lungo canale navigabile. L'andamento rettilineo della Grotta di Cocceio deve superare un dislivello di circa 40 m, ad un certo punto, e per questo diventa in lieve pendenza. Nel tempo alcune parti del rivestimento crollarono e subì varie manomissioni. Virgilio forse si ispirò a questa grotta, collocando l'ingresso agli Inferi sul lago d'Averno? L'oscuro antro fu ritenuto anche depositario di un favoloso tesoro nascosto al suo interno, cercato a più riprese dal cavaliere spagnolo Pietro della Pace (nome con cui era altrimenti nota la grotta nel Cinquecento)

 

  • Il Lago Fusaro (comune di Bacoli)

Tra Cuma e Baia è situato questo incantevole lago (purtroppo non molto pulito), all’estremità sud-occidentale dei Campi Flegrei. Fa parte di una laguna costiera di 98 ha separata dal Mar Tirreno da un cordone sabbioso interrotto da due canali artificiali che lo collegano al mare; anzi gli sbocchi sarebbero tre: la foce nord risalente al periodo borbonico (1859), la foce di mezzo (1940) e la controversa Foce Vecchia, sita presso il promontorio di Torregaveta. Anticamente il Fusaro era noto come Palus Acherusia, ritenuto una delle entrate degli Inferi, forse per la presenza di una galleria che suscitava grande suggestione. Essa corrisponderebbe alla parte terminale della Foce Vecchia, verso il mare, una grotta chiamata "Antro di Cerbero" non a caso, probabilmente! Lì la leggenda poneva il cane a tre teste di guardia all'ingresso dell'Ade! L'antro è breve, lungo 125 metri, largo 4,30, alto 6-8 metri circa ed è sommerso per 2,5 m.

Secondo moderni studi, in realtà fungeva da comunicazione, come tunnel stradale, tra l'approdo e il retroterra della villa di Publio Servilio Vatia. Il lago non è di origine vulcanica ma la sua formazione fu prodotta dalla chiusura del tratto di mare tra le frazioni di Cuma e Torregaveta. Sulle colline che lo bordeggiano, in località Mofeta, sono presenti esalazioni sulfuree e fumarole, che tradiscono la natura del territorio in cui si trova. Fino alla metà del I secolo d.C., gli Autori lo descrivono come un golfo completamente aperto ad ovest; i fondali dovevano essere bassi e comunque guadabili. Il nome lo si ritrova citato documentalmente nel III secolo a. C. nel poema Alessandra di Licofone di Calcide (vv. 694-709), che lo definì "fluttuante e procelloso”. Le sue sponde furono probabilmente già abitate da popolazioni pre-greche, gli Osci, che vi avevano impiantato coltivazioni di mitili, vocazione mai tramontata, a quanto pare. In epoca romana i ricchi vi individuarono ben presto un luogo dove erigere splendide ville, come quella già citata di Publius Servilius Vatia, un aristocratico personaggio romano, vissuto sotto l’impero di Augusto e di Tiberio, di cui parla lo scrittore Seneca (Ep. LV, 2). C’è quindi tutto un mondo antico che ha caratterizzato le pendici del lago, le colline e le sue sponde e che in alcuni casi giace ancora sott’acqua. Come abbiamo accennato nel video sull’Acropoli di Cuma, parlando della Fossa Neronis, ricordiamo che il lago del Fusaro faceva parte dell’ambizioso progetto.

Questo bellissimo rilievo di età augustea con triremi proviene dal Lago Fusaro, come quello precedente; appartenevano ad un monumento funerario a tamburo circolare. Le scene potrebbero rievocare le imprese della flotta navale imperiale stanziata a Miseno negli ultimi decenni del I secolo a. C. I reperti sono in marmo bianco a cristalli piccoli con venature grigie (conservati al Museo Archeologico dei Campi Flegrei- Castello Aragonese di Baia)

 

Ma veniamo a tempi decisamente più recenti quando il re di Napoli Ferdinando IV di Borbone ne fece una delle sue mete predilette di caccia. Fu così che vi fece realizzare un casino, inizialmente per riporvi attrezzi e per sostare brevemente, nella parte sud-orientale del lago. Nel 1782 diede però incarico all’architetto di corte Carlo Vanvitelli (figlio di Luigi, entrambi artefici della Reggia di Caserta) di realizzare un piccolo palazzo, la Casina Vanvitelliana, che tutt’oggi ammiriamo, estasiati. E’ preceduta da un bellissimo Parco in cui prosperano alcune specie di palme e profumati pini marittimi. Un ponticello in legno collega la terraferma alla Casina, ma in origine non era presente e per raggiungere la dimora si usava la barca. L’edificio sorge su un’isolotto ed è una visione magica, surreale, non per nulla scelta anche come set cinematografico per alcune pellicole.

Con i tenui colori del rosa e del grigio, una pianta assai articolata, è un gioiello dell’architettura tardo settecentesca. Si compone di tre corpi ottagonali che si intersecano l'uno alla sommità dell'altro, e dotati di terrazze; grandi finestre sono disposte sui due livelli e un tempo l’interno aveva pareti tappezzate di sete di S. Leucio (vicino a Caserta) e dai dipinti del Ciclo delle stagioni di Philipp Hackert, andati dispersi[2] ma presenti in copia. Nel 1817, nel parco e di fronte alla Real Casina, per volere del re fu edificata l’Ostrichina, “per comodo di coloro che si porteranno a godere di quel Real Sito non essendoci ora luogo dove poter pranzare”. La splendida dimora ha ospitato personaggi illustri, dagli artisti ai sovrani, dai poeti ai politici. Purtroppo, mentre scriviamo (11 settembre 2018), apprendiamo della chiusura del Parco Vanvitelliano e della Casina, cosa che sta sollevando un vespaio di polemiche; siamo stati fortunati, quindi, ad aver potuto accedere a questo luogo denso di fascino, di storia, di arcana bellezza[3].

 

  • Baia (comune di Bacoli)
 
"Nullus in orbe sinus Baiis praelucet amoenis" (“Nessun golfo al mondo è splendido come quello di Baia”), Orazio (fine I sec. a.C.)

Lì, dicono, il sole è più splendente, l’area salubre, il clima mite e la mente umana entra in contatto con un mondo misterioso” (Cassiodoro, VI secolo d.C.)

Con queste premesse, la località che stiamo per visitare si preannuncia meravigliosa e mentre scriviamo, riteniamo sia indimenticabile.

Il Castello Aragonese di Baia è sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei

 

Dal Lago Fusaro a Baia il tragitto è breve ma la storia che accompagna quest’area è lunghissima ed è riassunta nell’interessante  Museo Archeologico dei Campi Flegrei , ospitato nello spettacolare Castello Aragonese. Come molte delle strutture che abbiamo documentato nel territorio, anche questo andrebbe maggiormente valorizzato. Lo si vede da lontano ed effettivamente esso ha una posizione baricentrica rispetto alle aree archeologiche dei Campi Flegrei. Prossimo alle favolose Terme romane di Baia, interposto tra Cuma e Pozzuoli, a strapiombo sul golfo, è ubicato sull’altura di Lanterna, nella parte meridionale di Baia, e fa da contraltare a punta Epitaffio a nord.

Dove oggi vi è il Golfo di Baia, un tempo vi era il cratere di un vulcano risalente a circa 8.400 anni fa, che si è conservato solo per metà, essendo la sua parte orientale sprofondata o del tutto erosa dal mare. Frequentata in epoca arcaica, rotta di commerci già in età micenea, Baia conobbe il periodo di massimo splendore sotto i Romani, che vennero attratti dalla strabiliante bellezza del luogo, ma anche e soprattutto dalla presenza di sorgenti termo-minerali. In epoca repubblicana già godeva di grande fama e i patrizi facevano a gara per costruirsi ville meravigliose. Pare vi avessero una “residenza di ozio” Cesare, Pompeo, Cicerone, Varrone, Lucullo…In età imperiale vi soggiornarono, tra gli altri, Caligola e Nerone. Il mito ci riporta all’origine del suo nome, Bajos, il nocchiero di Ulisse, che qui avrebbe ricevuto sepoltura[4].

Dalle terrazze del Castello Aragonese si possono abbracciare visivamente le più importanti emergenze archeologiche dei Campi Flegrei: il Tempio di Serapide (Macellum) di Pozzuoli, le vestigia delle ville marittime, le Cento Camerelle, il cosiddetto “Sepolcro di Agrippina”, le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma, oltre a tutto lo specchio di mare che si estende dal Golfo di Pozzuoli all’Acropoli di Cuma con vista delle isole di Capri, Procida e Ischia. Un punto strategico, quindi, che probabilmente fu utilizzato da tempi remoti anche per scopi di avvistamento e di difesa, sebbene gli scavi archeologici abbiano portato alla luce un edificio residenziale romano ma non una fortificazione. La funzione militare l’ebbe invece certamente dal 1495 quando i re Aragonesi ordinarono l’edificazione della rocca, temendo l’invasione da parte delle truppe franceie di Carlo VIII. Per la sua posizione il castello, naturalmente difeso, era reso ancora più inespugnabile grazie alla presenza, nell’entroterra, di profondi valloni naturali chiamati Fondi di Baia. Il maniero rientrava nell’opera di difesa attuata sull’intero territorio dai sovrani e pare che a progettarlo sia stato chiamato il grande architetto senese Francesco di Giorgio Martini.

L’aspetto attuale deriva dalle trasformazioni volute dal vicerè spagnolo Pedro da Toledo (1538-1550); la funzione militare venne mantenuta presocchè immutata fino al 1860, anno dell’unificazione d’Italia, in seguito alla quale decadde gradualmente fino all’abbandono. Divenne Orfanotrofio Militare dal 1927 fino al 1975 (ciò comportò superfetazioni). Oggi è territorio demaniale affidato alla Soprintendenza Archeologica di Napoli; dal 2014 il Museo è gestito dal Polo Museale della Campania. Ma quando ebbe inizio la raccolta dei reperti scoperti nell’area flegrea? Dagli scavi che i re borbonici iniziarono nella metà del XVIII secolo. Ciò che fu recuperato venne riposto nei locali a nord del cosiddetto Tempio di Serapide (Macellum) a Pozzuoli; successivamente la raccolta epigrafica venne ubicata nel Seminario della stessa città (poi confluita al Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Nel 1927, abolito l’istituto dell’Orfanotrofio Militare nel Castello di Baia, si ipotizzò il suo riutilizzo proprio come Museo Archeologico dei Campi Flegrei; vi sarebbero stati collocati i materiali di scavo da Bacoli, Baia, Miseno. L’idea si è realizzata soltanto nel 1993, con l’apertura dell’allestimento, ma provvisorio; nel tempo ha subito infatti modifiche, che sono ancora in corso (anche per la mole di materiale che continua a venire alla luce tramite nuove campagne di scavo).

Le straordinarie collezioni sono ripartite in cinque sezioni (non sempre tutte aperte al pubblico), che corrispondono ai ritrovamenti effettuati nell’are flegrea: Cuma, Puteoli (Pozzuoli), Baia, Miseno e Liternum. Abbiamo molto apprezzato che fosse aperta quest’ultima sezione, avendo trovato il sito archeologico di Liternum purtroppo inaccessibile. Suggeriamo vivamente ai nostri lettori di visitare questo Museo dove, nelle ex- camerate soldatesche, su due livelli rivive la storia flegrea: 24 sale per l’antica Cuma, dall’abitato del IX secolo a.C. fino alla tarda antichità; 20 per Puteoli, mentre la sezione di LIternum è allestita a parte[5]. Il biglietto comprende la visita a quattro siti compresi nel Parco Archeologico dei Campi Flegrei che sono, oltre a questo Museo, le Terme di Baia, l’Acropoli di Cuma (con l’Antro della Sibilla) e l’Anfiteatro di Pozzuoli. Li abbiamo visitati tutti, nello stile dei nostri due passi, anche perché è possibile suddividere la visita su due giornate consecutive ed è utile perché in un giorno sarebbe impossibile documentare adeguatamente questi complessi siti archeologici. Nel Castello si trova anche una chiesetta, la Cappella di Santa Maria del Pilar.

Il Parco Archeologico di Baia è una meraviglia e un polo culturale di primario interesse per il visitatore che voglia comprendere l’importanza assunta da Baia nel periodo romano, almeno dall’età repubblicana. Allora la cittadina era un centro residenziale di ville ed edifici termali costruiti in vista del piccolo golfo, simile a un lago (lacus Baianum), che un canale metteva in comunicazione con il mare aperto. La bellezza del paesaggio, la presenza di sorgenti di acque calde e vapori solfurei provenienti dal sottosuolo vulcanico, richiamarono i patrizi romani  fin dal II secolo avanti Cristo. La situazione restò immutata con gli imperatori, di cui diventò residenza di soggiorno prediletta. Si pensi che l’edilizia di piacere raggiunse forme di tale fasto e perfezione architettonica, da fungere da modello per edifici della stessa Roma.

Ad esempio il cosiddetto Tempio di Mercurio (in realtà una straordinaria sala termale con accentuato effetto-eco) anticipa di un secolo  – per le sue tecniche costruttive – il Pantheon della capitale. Il Parco Archeologico di Baia comprende quindi una serie di strutture di epoche diverse, con orientamento astronomico diverso e funzioni diverse, sebbene tutte legate al benessere e anche all’otium. Così il Palazzo Imperiale (Palatium Baianum) ingloba ville ed edifici termali preesistenti. Esso occupava tutto il pendio prospiciente il golfo e viene tradizionalmente identificato con le Terme di Baia per la quasi esclusiva presenza di edifici termali. Il complesso architettonico, di dimensioni colossali, si dispiega su vari livelli terrazzati e comprende anche due edifici che sono, attualmente, esterni al Parco vero e proprio: il primo è situato sul porto ed ha una inconfondibile forma ottagonale; i viaggiatori settecenteschi gli diedero il nome Tempio di Venere (ma non era un tempio bensì un edificio delle terme). Fu tagliato fuori dal resto della collina con la realizzazione della moderna Via Locullo.

L’altro edificio (al momento della nostra visita chiuso al pubblico) è il Tempio di Diana (anch’esso doveva essere un ambiente termale), che è ben visibile dall’esterno, percorrendo la gradinata che conduce all’ingresso del Parco. Tutta la parte situata alle pendici della collina fino all’antica linea di costa, risulta sommersa per effetto del bradisismo. Ci sarebbe molto piaciuto poter documentare le strutture sommerse che giacciono sui fondali (tra cui il ninfeo dell’imperatore Claudio); eravamo infatti prenotati per una escursione in barca, di quelle apposite con il fondo trasparente che consente di visualizzare cosa c’è sotto ma, poco prima, ci hanno avvertito che non si sarebbe effettuata per poca visibilità. Un vero peccato perché aspettavamo da tanto tempo questa opportunità, speriamo in un prossimo viaggio nella zona (Bergamo non è proprio a… due passi). Accontentiamoci di avere visitato integralmente il Parco Archeologico, per le sue parti aperte al pubblico, almeno. Vi abbiamo dedicato un video ma non abbiamo fornito la spiegazione dei vari ambienti: sono talmente belli che le parole non servono. Chi andrà in visita, avrà cura- come abbiamo fatto noi- di leggere i pannelli documentativi o approfondire ulteriormente le proprie conoscenze come meglio riterrà opportuno.

  • Bacoli

Scendiamo un poco più a sud di questa penisoletta e arriviamo ad un’altra splendida località costiera, Bacoli, l’antica Bauli. Abbiamo imparato che dove oggi sorgono paesi e cittadine, un tempo vi erano crateri vulcanici e anche Bacoli non fa eccezione, seppure non sia più riconoscibile[6]. Abbiamo anche imparato che la geologia del territorio lo ha reso fertile, e la presenza delle sorgenti termo-minerali (con i loro poteri benefici sulla salute) ha richiamato l’attenzione dai tempi remoti. Per questo anche qui, circondati da panorami mirabolanti, abbiamo trovato importantissimi siti archeologici che, di contro, sono chiusi al pubblico. Così ci siamo rammaricati di essere giunti fino alle “Cento Camerelle” (via omonima) e avere trovato i cancelli sprangati, senza alcun avviso o informazione. Erba alta all’interno del cancello, sito visibilmente in stato di degrado, purtroppo. Ma di cosa si tratta? Se fossimo entrati, potremmo meglio descriverlo, chiaramente! Invece dobbiamo rifarci a quanto letto. Si tratta di cisterne disposte su due piani sovrapposti ma di epoche diverse: quello inferiore è di epoca repubblicana mentre quello superiore è di età imperiale (I sec. d.C.). I due sistemi, di una sofistica ingegneria, erano indipendenti e orientati in modo diverso. Quello superiore pare dovesse servire all’approvvigionamento idrico di una Villa patrizia appartenuta all’oratore Ortensio Ortalo, poi alla moglie di Druso, quindi (forse) all’imperatore Nerone e poi a Vespasiano. I ruderi di detta villa sono rintracciabili tra la vegetazione della collina sottostante. Sono giunte a noi con il soprannome di “Prigioni di Nerone”; la costruzione monumentale si trovava a picco sul mare e comunque è chiusa da molto tempo[7].

Stessa situazione di chiusura l’abbiamo riscontrata in un altro interessante sito archeologico di Bacoli, la cosiddetta “Tomba di Agrippina”, perché si riteneva (stando alla testimonianza di Tacito[8]) vi sarebbe stata sepolta la madre di Nerone, da egli stesso uccisa nel 59 d.C. In realtà si è appurato che si tratta di un Odeon, cioè un teatro privato pertinente ad una favolosa villa marittima le cui evidenze sono state sommerse dal mare ma visibili sotto la superficie marina. L’Odeon, eretto in età augustea o giulio-claudia, subì una trasformazione d’uso tra I e II sec. d.C., forse a causa di fenomeni bradisismici, divenendo un ninfeo ad esedra. La struttura, a tre livelli, nasconde ormai quello inferiore a circa m 1,30 al di sotto del livello della spiaggia attuale.

Il personaggio di Agrippina ha evocato una leggenda popolare secondo la quale il suo fantasma appare nelle notti estive di luna piena, sulle acque antistanti l’antico rudere. “Alcuni testimoni pare abbiano visto il suo spettro intento a pettinarsi i capelli, utilizzando l'acqua del mare come specchio, ma se qualcuno prova ad avvicinarsi lei scompare nel nulla, lasciando un' intensa scia di profumo“[9]

  • Miseno (comune di Bacoli)

Capo Miseno, con la sua forma a tumulo, secondo la leggenda nasconderebbe la tomba del trombettiere di Enea, Miseno, che avrebbe dato il nome alla località

 

Abbiamo già incontrato questo nome parlando di Cuma, dell’approdo di Enea e del suo trombettiere, Miseno, morto per aver osato sfidare Tritone. Enea, prima di potere entrare nell’Ade, dovette dare sepoltura al suo amico e, secondo la leggenda, lo avrebbe inumato sotto il tumulo di Capo Miseno, la punta più estrema della penisola flegrea, che ancora oggi porta quel nome. Etimologicamente, Miseno deriverebbe dal latino sinus militum. Viene citato anche da Plinio il Giovane nell’epistola VI,16 (lettera dedicata a Tacito), dove narra dello zio Plinio il Vecchio, deceduto a Pompei durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Il giovane Plinio si trovava proprio a Capo Miseno in quei frangenti e assistette alla terribile eruzione.

La frequentazione di Miseno risale almeno all’età del Ferro; i Cumani lo sfruttarono come porto e si ritiene che già a quel tempo l’area misenate costituisse un importante avamposto di controllo e difesa del Golfo napoletano; nel III secolo a.C. le fortificazioni vennero distrutte da Annibale. Divenne fiorente centro residenziale nel II secolo d.C. e fu colonia dei Romani, che vi stanziarono un'importante base navale militare, la flotta pretoria romana del Basso Tirreno (Classe Praetoria Misenensis). A Miseno e Capo Miseno fiorirono le case di villeggiatura dei patrizi romani e ancora oggi si possono ammirare le loro vestigia. Il Collegio dei Sacerdoti eresse, per onorare l’imperatore, lo strabiliante Sacello degli Augustali[10], ubicato nei pressi del ritrovato Teatro romano. Alcune statue che lo adornavano si trovano al Museo Archeologico di Baia. La città romana era già in decadenza quando l’Impero Romano ebbe fine ma resistette ancora qualche secolo; venne abbandonata nell’846 circa, dopo una serie di incursioni di pirati saraceni. La maggior parte degli ultimi abitanti si rifugiò nella vicina isola di Procida; molti però andarono a fondare una nuova città, Frattamaggiore. Dopo essere diventata una fitta selva senza abitanti, all’inizio del 1600 Miseno venne ripopolata da genti provenienti da Posillipo.

Il porto di Miseno è ubicato nel cratere principale del gruppo dei crateri di Miseno. Il porto è collegato da un breve canale al Lago di Miseno[11], una laguna poco profonda occupante, a sua volta, l’area di un antico cratere vulcanico. Questo lago è detto anche Maremorto (e anche Lago di Bacoli) e costituiva il bacino interno del porto, dove vi erano i cantieri navali; il bacino esterno era il porto vero e proprio. Sulla spiaggetta del porticciolo si possono vedere spuntare sull’acqua le rovine del Sacello degli Augustali, e possiamo ammirare la chiesa di San Sossio e S. Maria delle Grazie. Ricordate il diacono Sossio (o Sosso), di cui abbiamo parlato in occasione del martirio di San Gennaro, avvenuto alla Solfatara di Pozzuoli? Ebbene, ecco che lo ritroviamo Sossio (in latino Sosius, nome di una gens romana), nativo proprio di Miseno; la sua data di nascita è attestata al 205 d.C.[12] ma se il martirio avvenne nel 305, doveva avere cento anni, cosa che desta qualche perplessità.

Comunque pare che a Miseno sia stato sepolto, il 23 Settembre del 305, nel luogo in cui sorge l’attuale chiesa, ma il suo corpo non vi riposa: alla distruzione della cittadina da parte sei Saraceni, gli abitanti si trasferirono a Frattamaggiore (847 d.C.) portando con loro il culto del martire Sossio, che diventò il patrono di quella città. Le spoglie, invece, furono ritrovate nel X secolo dai Benedettini tra le macerie della chiesa misenate e le traslarono nel convento di San Severino a Napoli. Le protessero contro le invasioni e, grazie a ciò, il culto del martire Sossio si diffuse in Campania e nel Lazio. Dopo la soppressione del convento in epoca napoleonica, le ossa di San Sossio furono trasferite a Frattamaggiore, che ne manteneva il culto. Ancora oggi sono lì venerate e la ricorrenza del santo è il 23 Settembre. La chiesa attuale di Miseno fu fatta costruire nel 1661 dal Marchese Jovar di Castiglia, proprietario di Miseno e del suo lago (Marmorto), intitolandola a S. Maria di Casaluce. Le forme attuali si devono a rimaneggiamenti del 1804; è diventata parrocchia nel 1947[13]. La Diocesi di Miseno, oggi non più esistente, era molto antica, risalendo al IV secolo d.C., sviluppandosi attorno al martire Sossio. Probabilmente, con l'invasione saracena e l'abbandono della città, l'episcopato venne soppresso e il territorio annesso alla Diocesi di Napoli. Come abbiamo visto per Cuma, dal 1970 è sede vescovile titolare della Chiesa Cattolica.

Il lago di Miseno

Nei bellissimi giardini che circondano il lago di Miseno si trova una grande lapide con due iscrizioni latine che ricordano due episodi del Libro VI de L'Eneide, di Virgilio, in cui si narra del trombettiere Miseno, morto per aver osato sfidare Tritone, signore dei mari. Con il suo vaticinio, la Sibilla Cumana ordinò a Enea di seppellirlo degnamente e l'eroe troiano, tornato alla spiaggia e trovatolo, gli eresse un tumulo  nella montagna che ancora oggi porta il suo nome (Capo Miseno)

A Miseno siamo andati a visitare uno tra i siti archeologici più emozionanti ed enigmatici dei Campi Flegrei (almeno per noi): la Piscina Mirabilis. Normalmente è chiusa al pubblico ma chiamando l’assuntore di custodia, ci è stata data la disponibilità di visitarla e quindi abbiamo potuto entrare o meglio scendere nella più straordinaria Cisterna di epoca romana che il mondo conosca. Era una riserva di acqua potabile che riforniva la grande flotta imperiale stanziata a Miseno (Classis Praetoria Misenensis), cui abbiamo già accennato. Come si scende la scala che conduce nell’ipogeo, si rimane a bocca aperta: sembra di entrare in una cattedrale sotterranea! Interamente scavata nel tufo, l’enorme cisterna si compone di cinque navate lunghe e tredici corte, tutte coperte da volte a botte sostenute da 48 pilastri cruciformi. L’altezza delle campate è di 15 metri e cadenzati pozzetti superiori illuminano l’interno. La Cisterna è la porzione terminale del grandioso Acquedotto del Serino (AV), che con un percorso di un centinaio di chilometri portava l’acqua a Napoli e nei Campi Flegrei. Un’opera ingegneristica di immense proporzioni (70 m x 25,50 m), appunto chiamata Piscina Mirabilis dai viaggiatori antichi, che ne subirono inevitabilmente il fascino. Le pareti erano completamente impermeabilizzate e un'apposita vasca di decantazione (a livello della settima navata) aveva il compito di spurgare l’acqua dal fango: attraverso ingegnose macchine idrauliche l’acqua veniva convogliata in superficie e prelevata mediante dei pozzetti situati sulla sommità della volta. All'esterno, sul lato nord, si trovano dodici enigmatici ambienti (simili a cappelline), con semicupola, realizzati in opera mista tra il I e il II secolo d.C.  Quale fosse la loro funzione rimane, al momento, senza una risposta precisa. La Piscina Mirabile si ritiene realizzata in periodo augusteo, come la non distante Cisterna detta della Dragonara, purtroppo chiusa al pubblico ma anch'essa visitabile su prenotazione. Questa riserva idrica sfruttava una sorgente di acqua dolce che probabilmente era già conosciuta in antico e sicuramente dai Saraceni; gli abitanti di Miseno vi hanno attinto fino a pochi decenni fa! Attualmente gli ambienti che la compongono sono semi-sommersi tra la spiaggia e il costone roccioso, ma sicuramente è un’opera straordinaria, in cui si susseguono enigmatici ninfei, peschiere, corridoi, gallerie che si intrecciano a formare un labirinto suggestivo. La struttura sorge a ridosso della Villa marittima di Lucullo e si ritiene che fosse ad uso privato per le necessità della villa stessa. Siccome nel Medioevo era circondata da coltivazioni di finocchio, la cisterna fu appellata Bagno del Finocchio e fu forse utilizzata anche come luogo di sepoltura. I percorsi interni sono stati attrezzati per le visite[14] e speriamo in un prossimo viaggio di poterli vedere.

L'isolotto di Punta Pennata: è costituita da tufo giallo ed è coperta da vegetazione. E' un relitto del cratere del lago di Miseno e un tempo fu densamente abitato. La leggenda racconta che Ulisse sarebbe sbarcato sulla sua spiaggia, che è nota come Schiacchetiello (non abbiamo capito se privata o meno). Tutta l'area è ricompresa nella Riserva Marina del Parco regionale dei Campi Flegrei

Dalla spiaggetta che dà sul porto di Miseno si può vedere chiaramente Punta Pennata, oggi un isolotto ma fino al 4 Novembre 1966 unito alla terraferma (Bacoli)! Fu infatti un maremoto la causa del suo distacco o, per meglio dire, una violenta mareggiata sommerse la lingua di sabbia che la collegava alla terraferma, e non riemerse più. Anche da una certa distanza abbiamo notato grotte e ruderi; effettivamente viene citata in documenti dell'epoca costantiniana (IV secolo d.C.) e i ruderi, parzialmente coperti dalla vegetazione, sono disposti su più livelli, il che farebbe pensare ad un edificio residenziale (è stata avanzata l'ipotesi di una villa marittima appartenuta a Lucullo). Interessante anche l'ipotesi che vi possa avere avuto sede il comando delle legioni (il praetorium misenate). Ricordiamo che nel porto di Miseno era stanziata la più importante flotta navale dell'Impero Romano. Sul versante nord-occidentale sono stati individuati resti sommersi, probabilmente pertinenti agli edifici principali che si trovavano su questo lato dell'allora penisoletta. Altri edifici si trovano nella parte sud-orientale, costituiti da diversi cunicoli, forse ambienti di servizio del complesso principale. Si pensi che in alcuni punti, le vestigia di Punta Pennata raggiungono i 3 metri e mezzo in altezza! Sono stati rinvenuti pavimenti in cocciopesto e anche una cisterna, inoltre i vari edifici si sono probabilmente stratificati nei secoli, dall' epoca repubblicana a quella imperiale. La presenza di due tunnel che attraversano l'isolotto, rispettivamente chiamati "Grotta del Corallo" e "Grotta di Nerone", rivestivano la funzione di far defluire le acque per evitare l'insabbiamento del porto (qui aveva sede il Portus Julius). Tra Punta Pennata e la collina sovrastante la spiaggia del Poggio, nel 1921 furono scoperti in totale 24 frammenti scultorei, giacenti in una discarica di pozzolana. Ricomposti, hanno rivelato appartenere ad almeno sette diverse statue, conservate al Museo Archeologico Nazionale di Napoli [15].

La caldera del vulcano di Capo Miseno è dietro il faro, visibile dal mare durante le traversate per raggiungere le isole vicine (Procida e Ischia). Il paesaggio da sogno è stato gravato da fenomeni edilizi alquanto discutibili che hanno alterato, soprattutto nella zona ai piedi del promontorio, la bellezza naturale. Ma ora, dato che ci siamo, rechiamoci a Procida, che occhieggia sul mare. Seguiteci anche sull’ isola di Arturo…

Meravigliosa veduta aerea di Capo Miseno: si noti il cratere, in cui sono sorte strade, edifici, il Faro...Crediti

 


[1] Bacoli è il Comune, Baia e Miseno due delle sue frazioni

[2] Ciascuna stagione presentava una località: la Primavera con il pascolo nella valle del Volturno, con veduta del Matese; l’Estate con la mietitura a S. Leucio di Caserta verso Maddaloni; l’Autunno con la vendemmia a Sorrento, e l’Inverno con un campo di caccia a Persano

[3] Per maggiori informazioni consultare il sito ufficiale https://www.parcovanvitelliano.it/casina-vanvitelliana/

[4] Ricorderemo, per averne ampiamente parlato nel video sull’Acropoli di Cuma, che nella vicina Capo Miseno sarebbe invece stato sepolto il trombettiere di Enea, che vi avrebbe dato il nome (Miseno)

[5][v] Un buon riferimento riassuntivo di cosa si possa vedere è a questa pagina. Il sito ufficiale è a questo link

[6] Si è formata nell'ultima fase eruttiva chiamata "Terzo Periodo Flegreo". In particolare la zona dove sorge la cittadina è caratterizzata da un allineamento di sette vulcani, disposti su di un unico asse, formato dai crateri e resti di crateri di tre vulcani più antichi che si datano fra i 35.000 e i 10.500 anni fa: 1) Capo Miseno; 2) Porto di Miseno; 3) tutto il rilievo che caratterizza il centro antico di Bacoli, da Punta del Poggio e Piscina Mirabile fino a Centocamerelle. Verso nord, fuori dal paese, un po' distanziati dai precedenti ma sempre sullo stesso allineamento, abbiamo gli altri quattro vulcani, più recenti, che si datano fra i 10.500 e gli 8.000 anni fa: 4) e 5) i due crateri chiamati Fondi di Baia (sull'orlo di uno dei quali è posto il Castello Aragonese di Baia e risale la strada provinciale che da Pozzuoli porta a Bacoli); 6) il Golfo di Baia che ha quasi del tutto smantellato il 7), un altro vulcano i cui bordi e rilievi residui si riconoscono in Punta Epitaffio e nel costone roccioso di tufo giallo che guarda verso Lucrino (tratto da https://www.fotoeweb.it/bacoli.htm)

[8] “Annales”, XIV, 9

[10] Fu fatto eseguire da Cassia Vittoria in onore del marito Lucio Laecanius, che era stato membro del Collegio all’epoca di Marco Aurelio. Il Sacello fu poi risistemato in epoca antonina, alla metà del II sec. d.C.. Fu distrutto alla fine di quello stesso secolo, forse a causa di fenomeni sismici

[11] E’ noto anche come Lago di Bacoli e Maremorto

[12] Martirologio del Venerabile Beda

[13] Per ulteriori informazioni, consultare il sito ufficiale della chiesa.

[14] Per accedervi, dato che il sito si trova sotto un ristorante, si effettuano visite guidate con l’Associazione Misenum

[15] https://www.campiflegreionline.it/Punta_Pennata.html