La chiesa di San Gennaro alla Solfatara di Pozzuoli:

l'enigmatica pietra con il sangue che si ravviva e il busto miracoloso

(Speciale Campi Flegrei)

(Marisa Uberti)

 

 

Durante il nostro soggiorno nei Campi Flegrei abbiamo potuto documentare il culto che si svolge in una piccola chiesa di Pozzuoli, a brevissima distanza dal Vulcano Solfatara e proprio per questo denominata San Gennaro alla Solfatara. Essa conserva niente meno che la pietra su cui il Santo sarebbe stato decapitato, anzi la chiesa  stessa si sarebbe innestata sul luogo del martirio che, stando alle cronache, sarebbe avvenuto proprio qui. Questa pietra ha la particolarità di portare ancora le tracce del sangue di S. Gennaro  o, più correttamente, di una sostanza rossastra. Questa, in prossimità del miracolo della liquefazione del sangue di San Gennaro contenuto nelle preziose ampolle del duomo di Napoli, inizia a “ravvivarsi” di un rosso acceso ma non sincronicamente, perché spesso questa pietra anticipa il fenomeno che avviene tra le mani del vescovo di Napoli tre volte l’anno (il primo sabato di maggio, il 19 Settembre e il 16 dicembre)[1]. Per tale motivo, è scritto su un documento informativo nella chiesa puteolana, si dovrebbe parlare di due miracoli distinti: quello di Napoli e quello di Pozzuoli[2] (dove vengono citate due date in maggio e quella settembrina e non quella di dicembre). Ma andiamo con ordine.

Storia

La chiesa di San Gennaro alla Solfatara sorse tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo; nel 1198 rovinò a causa dell’eruzione della Solfatara. In seguito ai ricorrenti terremoti ed eruzioni dovette subire molti restauri fino alla sua ricostruzione in forme più ampie nel 1584. In quel tempo fu eretto il convento dei Frati Minori Cappuccini, accanto alla chiesa (i frati sono presenti ancora oggi). Dopo il 1584 il tempio iniziò ad attrarre devoti; si intensificarono i pellegrinaggi, specialmente da Napoli, e la chiesa venne onorata del titolo di Santuario. L’ampliamento del 1701 fu affidato al grande architetto Ferdinando Sanfelice ma nella notte tra il 21 e il 22 Febbraio 1860 l'edificio venne semidistrutto da un incendio.

Il comune di Napoli e i fedeli puteolani affidarono quindi ad Ignazio Rispoli il tempestivo restauro; i marmi e le pitture oggi visibili furono aggiunte nel 1926 da Luigi Tammaro. Dal 1945 il Santuario è diventato parrocchia intitolata a San Gennaro Vescovo e Martire e ai Santi Desiderio e Festo Martiri. Il complesso monastico è situato lungo la moderna via Domitiana (via San Gennaro- Agnano), a 120 m sul livello del mare, in posizione dominante l’intero golfo di Pozzuoli. Adagiati su ampie terrazze coltivate ad orto e giardino, la chiesa ed il convento sono distribuiti intorno ad un piccolo chiostro (secondo le regole classiche dei cenobi benedettini). L’orto fu grandemente ridotto all’inizio del XX secolo con la costruzione del Tubercolosario, poi divenuto sede dell’ospedale del Sovrano Ordine Militare di Malta (S.M.O.M.)

Dal momento che il martirio di S. Gennaro è collocato il 19 settembre 305 d.C., e la primitiva chiesa data al VI secolo come minimo, c’è un vuoto di svariati secoli. Che cosa sorgeva, qui, prima della chiesetta? Gli esperti datano la pietra conservata nell’edificio al VI secolo, dunque posteriore di almeno due secoli alla decollazione, e questo suscita interrogativi sulla reale consistenza del miracolo del sangue. Tuttavia la fede non conosce limiti e la tradizione ha tramandato questa storia, che è innegabilmente affascinante.

  • La decollazione di San Gennaro

Un bel rilievo scolpito da Lorenzo Vaccaro precede l’ingresso della Cappella del miracolo (diciamo così): fu commissionato da Cantelmo, arcivescovo di Napoli, nel 1697 e narra le varie fasi del martirio di S. Gennaro. Ricordiamo brevemente i fatti salienti che avrebbero portato il santo alla sua condanna a morte. Anzitutto egli non visitò mai Napoli, anche se sembra strano; era vescovo di Benevento e avendo saputo che il diacono di Miseno, Sossio, suo amico di vecchia data, era stato imprigionato a Pozzuoli dall’allora governatore della Campania (Dragonzio)[3], andò a fargli visita in carcere. Gennaro stava infatti recandosi, come Sossio, alla visita pastorale a Pozzuoli, accompagnato dal lettore Desiderio e dal diacono Festo. Approfittò così per andare da Sossio e portargli conforto e decise di intercedere presso Dragonzio affinchè lo liberasse in nome di Cristo[4]. Essendo stati fino a quel momento in incognito, si misero allo scoperto. In risposta fu imprigionato a sua volta, insieme ai due compagni, e Dragonzio ordinò che venissero sbranati dalle fiere nell’ Anfiteatro di Pozzuoli. La leggenda racconta che le bestie si sarebbero ammansite alla benedizione di Gennaro; un’altra versione dice invece che per evitare tumulti popolari, Dragonzio sospese la pena ma la commutò in decapitazione, esecuzione che avvenne nel Forum Vulcanii (attuale Solfatara).  La nutrice del santo, Eusebia, avrebbe raccolto il sangue stillato in due ampolle che, insieme alla testa mozzata, confluirono a Napoli, ma non subito[5]. Il corpo di San Gennaro avrebbe invece seguito un diverso destino: sarebbe inizialmente stato sepolto in una località imprecisata della Solfatara e soltanto nel V secolo (tra il 413 e il 431) traslato dal duca-vescovo Giovanni I nelle Catacombe di Napoli, che dalla sua sepoltura trassero il nome.  Abbiamo potuto andare a visitare anche quelle e vedere la tomba, chiaramente vuota, del santo. Ma non riposarono  a lungo, lì…[6]

Sotto il bellissimo lavoro plastico del Vaccaro, una lapide recita, in latino, che questo è il luogo dove San Gennaro e i suoi compagni furono decapitati

  • L'enigmatica pietra
Restiamo però a Pozzuoli. Gli Atti Bolognesi (VIII-IX secolo), ma non solo, attestano che sul luogo del martirio sorse una chiesa in memoria, che potrebbe essere proprio quella di cui ci stiamo occupando. Pur mancando reliquie vere e proprie, essa conserva quello che per la tradizione è il cippo della decapitazione di San Gennaro o quella su cui il corpo venne adagiato dopo l’esecuzione. Dalle dimensioni si evince che un corpo non potrebbe esservi mai stato disteso, ma il reperto è degno di attenzione: si tratta di un blocco monolitico di marmo saccaroide lavorato; poteva forse essere stato impiegato come reggi-mensa d’altare nell’antico edificio sacro sorto presso la Solfatara, dunque molto importante. Nella nicchia centrale (fenestrella confessionis) si deponevano le reliquie di santi quando si consacrava l’altare stesso. Superiormente alla nicchia vi sono importanti simboli cristiani scolpiti: centralmente una croce (che forse era adorna di gemme?), dai cui bracci laterali pendono un’Omega e un’Alfa, fatto curioso poiché generalmente sono invertite a indicare che Cristo è inizio e fine. L’anomalia viene spiegata dal fatto che Cristo, con la sua passione e morte redentrice, dà inizio ad una nuova vita. Lateralmente alla croce, uno per parte, sono scolpiti due fiori a sei petali con un Fiore della Vita come pistillo, che ricorda molto una ruota solare. I bordi laterali del manufatto presentano una bellissima ed elegante fascia, caratterizzata da motivi geometrici e volute. Sul fondo della nicchietta si vedono distintamente delle macchie rossastre che si ravvivano nei giorni precedenti il fenomeno della liquefazione del sangue nelle ampolle a Napoli, quasi come se annunciassero l’avvenimento. Possibile? Questa è la tradizione che viene tramandata e alla quale assistono i fedeli. A dire il vero, anche noi abbiamo visto le macchie, normalmente scure, chiaramente rosse...
 
  • Il prodigioso busto di San Gennaro nella chiesa della Solfatara

Dalla parte opposta ma sullo stesso lato del cippo (protetto da una teca) troviamo il busto che raffigura San Gennaro, opera di artista ignoto, databile all’inizio del XIV  sec.  E’ un’opera notevole, raffinata, in marmo bianco poggiante su una base settecentesca esagonale in marmi policromi a tre registri: il primo e il terzo in marmo bianco di Carrara, quello centrale in marmo di Carrara e marmi commessi puteolani con intarsi rettangolari in verde antico, mentre sul lato frontale il giallo di Siena- riquadrato dal nero - è intarsiato con grigio bardiglio e rosso a formare due ampolline con il sangue del Santo. Sulla mitria si nota un Nodo di Salomone stilizzato ed elementi geometrici, presenti anche sulla veste, insieme a intrecci e nodi. La nicchia che lo accoglie era in origine una cappellina per la statua di un lare; a questo busto, alto 70 cm,  si attribuiscono svariati prodigi, il più famoso dei quali risale al 1656. In quel tempo a Pozzuoli imperversava la peste, che aveva mietuto gran parte della popolazione; venne indetta una processione dalla Solfatara all’Anfiteatro Flavio con il busto di San Gennaro e fu allora che successe un fatto straordinario: sul collo del Santo (o sulla guancia destra) cominciò ad apparire, fin da subito, una macchia grigiastra che diventava sempre più evidente strada facendo fino a che, arrivati all’Anfiteatro, diventò grande come una pesca, assumendo la forma del bubbone pestilenziale. D’un tratto si ruppe, spargendo un odore di bruciato nell’aria e lasciando una macchia sul busto (visibile ancora oggi). San Gennaro aveva liberato la popolazione di Pozzuoli prendendo su di sé la terribile pestilenza, secondo la credenza popolare! La quale ha sempre considerato il busto coevo al martirio del Santo, cosa veramente impossibile.

Un’altra leggenda narra che al tempo dei corsari saraceni (VIII secolo d.C.), al busto fu tagliato il naso con un colpo di scimitarra. Chiaramente, se si riteneva il busto del IV secolo, per il popolo esisteva già nell’VIII! In realtà non era così perché il busto fu realizzato nel XIV secolo, ma la leggenda se ne fa un baffo e narra che i fedeli –non potendo lasciare San Gennaro mutilo - commissionarono  un nuovo naso ma i vari scultori non riuscirono mai a far attaccare il naso a quel viso di marmo! La cosa curiosa è che il naso era, secondo la leggenda, finito in mare a Bacoli e più volte fu ripescato dalle reti dei pescatori, che però lo scambiavano per un semplice sasso e lo ributtavano in acqua. Un giorno però, uno dei pescatori riconobbe nella pietra la forma di un naso e la portò in chiesa, dove volò letteralmente dalle mani del pescatore al suo posto, sul volto della statua. Osservando dal vivo il busto, ci si accorge che il naso è stato applicato dopo una probabile ablazione (avvenuta in epoca e circostanze sconosciute, forse dopo le distruzioni che hanno coinvolto la chiesa nel XVI secolo). L'innegabile misticismo emanato da questo ambiente, nella navata destra della chiesa, ci ha fatto sostare a lungo in meditazione. La piccola cappellina non ha certo il fasto della sontuosa Cappella di San Gennaro all'interno della Cattedrale di S. Restituta a Napoli, visitata ogni anno da milioni di fedeli e turisti. Tuttavia il culto del celeberrino santo beneventano, divenuto patrono della città partenopea, nacque proprio qui. Dove molte meno persone arrivano, perchè meno lo conoscono. Non vi sono tesori materiali come a Napoli, ma forse l'embrione di un tesoro spirituale più profondo e radicato. Ci auguriamo che i nostri due passi siano, come spesso accade, da stimolo e confronto per ulteriori riflessioni.

 

Lasciamo ora questo ennesimo luogo di importanti memorie storiche che si fondono con fantastiche credenze, ammirando nella discesa verso il centro di Pozzuoli un panorama sul mare tra i più deliziosi: Baia, Bacoli, Miseno…altrettanto carichi di storia e di leggenda. Seguiteci nei nostri due passi in questo "Speciale Campi Flegrei"!

 


[1] Il primo sabato di maggio è la data della traslazione, il 19 settembre è la ricorrenza della decapitazione, il 16 dicembre è la data che ricorda la disastrosa eruzione del Vesuvio del 1631, bloccata dalle invocazioni al santo da parte della popolazione napoletana. Il “miracolo” può anche avvenire soltanto in uno di questi tre giorni, ma se il sangue non si liquefacesse almeno in una delle date previste, per il popolo napoletano sarebbe un segno infausto. La liquefazione non sempre rispetta le date sopra descritte: a volte le anticipa, altre le posticipa di ore o giorni

[2] Il fenomeno della liquefazione dei grumi ematici di santi avviene anche altrove; in particolare – a Napoli- ricordiamo il caso della compatrona Santa Patrizia, che avverrebbe ogni martedì. La reliquia è conservata nella Chiesa di San Gregorio Armeno

[3] L’impero romano era sotto Diocleziano, in quel periodo. Vigeva il divieto di celebrare funzioni religiose cristiane, che comunque quotidianamente si svolgevano (sfidando il veto). In merito a Sossio, a Miseno esiste la chiesa a lui dedicata (e a S. Maria delle Grazie), sorta sulla precedente che aveva accolto le spoglie del diacono dopo la decapitazione alla Solfatara. L'inumazione di Sossio sarebbe avvenuta il 23 Settembre 305 d.C., giorno che è stato fissato per la festa religiosa del santo. Abbiamo potuto vedere la chiesa di Miseno e ne abbiamo parlato nella relativa sezione

[4] Molti cristiani circolavano in incognito a causa delle persecuzioni, mescolandosi alla moltitudine di persone pagane che si recavano nella vicina Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana

[5] Soltanto un secolo dopo una donna consegnò le ampolline al vescovo di Napoli e si narra che immediatamente quei grumi si liquefacerono. Questa sarebbe la primissima attestazione del miracolo; se ne seguirono altre non furono mai documentate, fino a quella ufficiale, avvenuta il 17 agosto 1389 (v. nota seguente)

[6] Sopra di esse sorse la Chiesa di San Gennaro extra-moenia. Il riposo di S. Gennaro non fu pacifico: nel IX secolo Napoli venne assediata da Sicone I, principe longobardo beneventano, che ne approfittò per prelevare le spoglie dell’ex- vescovo e riportarle a Benevento, nella cattedrale di S. Maria di Gerusalemme. Nel 1154, però, furono nuovamente spostate per mutate condizioni socio-politiche e, temendo la loro dispersione, Guglielmo I il Malo le fece portare nell’Abbazia di Montevergine, dov’era molto venerata l’icona mariana detta “Mamma Schiavona”, oltre che San Guglielmo. Perciò il culto di S. Gennaro iniziò ad essere dimenticato, così come la sua sepoltura. A Napoli, al contrario, il suo culto era vivissimo; qui si conservavano cranio e ampolle con il sangue che, per onorarle ancora più degnamente, vennero racchiuse in un prezioso reliquiario in argento dorato, fatto realizzare dal re angioino Carlo II, incaricando abili orafi (Stefano Godefroy, Guglielmo di Verdelay, MIlet d’Auxerre). La prima venerazione pubblica avvenne nel 1305. La prima memoria documentata della liquefazione del sangue di S. Gennaro nelle ampolle risale al 17 Agosto 1389, in occasione di una solenne processione indetta per una severa carestia. Nel 1497 da Montevergine furono poi traslate le ossa del santo nella cripta del duomo di Napoli, chiamata Cappella del Succorpo, fatta appositamente realizzare. Il cardinale Giovanni di Aragona le aveva infatti ritrovate e collocate sotto l’altare maggiore dell’Abbazia; in seguito il cardinale Oliviero Carafa, con l’aiuto del fratello arcivescovo napoletano Alessandro, riuscì a portarle a Napoli, dove ancora si trovano

 

(Autrice. Marisa Uberti. Vietata la riproduzione del presente articolo e il prelievo delle immagini, senza autorizzazione e/o citazione della fonte e dei rimandi in nota)