La Medicina nel mondo Romano (report di Marisa Uberti della conferenza del 7 aprile 2013 organizzata dal Museo Archeologico di Bergamo in occasione della Giornata Mondiale della Salute, d.ssa C. Leone- Centro Didattico Culturale del Museo Archeologico)

 

In questo sito mi sono occupata più di una volta dell'argomento "Arte di sanare" (1) e la conferenza di cui procedo a condensare il contenuto integra bene le informazioni già acquisite.

Come curavano le malattie i Romani? Anzitutto avevano ben chiaro il concetto moderno che prevenire è meglio che curare, con la terapia dietetica (mangiare sano), esercizi fisici (gioco della palla, adattabile a seconda delle età con palle più o meno pesanti), idroterapia, e a seconda delle necessità salassi, purganti, enteroclismi.

I Romani non hanno inventato nulla che già non fosse alla portata delle conoscenze del tempo (sincretizzarono usanze delle culture e dei culti precedenti), ma a loro va il merito di aver aperto la strada alla medicina legale, crearono infatti una legislazione perfetta. Avevano creato acquedotti e condutture per l’acqua potabile, che era molto controllata a livello igienico, così come erano controllate le derrate alimentari. Nel mondo romano esisteva il concetto di "salus" e di "valetudo": il primo si riferisce alla salute pubblica (quindi della collettività), il secondo a quella dell'individuo.

Sapevano bene che la parola "medicamen" (medicamento), al pari di "pharmacon" (farmaco) aveva due significati:

  • ciò che cura

ma anche

  • veleno, incantesimo o carme magico.

 

Si distinguevano due principali tipi di cura:

 

-la medicina domestica

-la medicina magica

-la medicina religiosa

 

La medicina domestica era quella praticata dal pater-familiae (capofamiglia),che curava tutti coloro che gravitavano intorno alla famiglia (compresi i servi), cosa che è stata portata avanti per parecchi secoli. Catone (che si scagliava contro i medici greci che a Roma, al suo tempo, pullulavano) ci ha tramandato che la medicina domestica si basava essenzialmente sull'uso del cavolo, del vino e sul pronunciamento di filastrocche magiche (forse potremmo ritenerle più delle formule o invocazioni). Egli dà anche delle indicazioni: "Forniti di una canna verde, si reciti la formula motas uaeta daries dardaries, asiadarides una te pes e si canti ogni giorno haut haut istasis tarsis ardannabon e si guarirà così ogni male"(Marco Porcio Catone, "De agri coltura", 160)

 

La medicina magica differiva da quella domestica per

  • l’impiego della parola, di amuleti, dei gesti (imposizione delle mani, che potremmo interpretare come una forma di magnetismo mesmeriano ante-litteram o di pranoterapia)
  • uso di filtri e di danze

 

Questi aspetti sono fortemente connotati da una valenza magica della medicina nel mondo romano.

 

La medicina religiosa era affidata all’intercessione di principali divinità invocate, che erano:

  • Febris, la dea della febbre, numen malefico di cui si cercava di ottenere la benevolenza
  • Scabies, divinità che presiedeva alle malattie della pelle
  • Salus, la divinità della Salute, personificazione dello stare bene (salute e prosperità), sia come individuo, sia come Res publica. Era equiparabile alla divinità greca di Igea, benché avesse funzioni differenti.
  • Valetudo
  • Hygieia
  • Meditrina, la dea della Medicina
  • Minerva Medica, un aspetto della potente dea legata soprattutto alle acque e al loro potere benefico
  • Apollo Medicus
  • Aesculapius, a partire dal 291 d.C., derivazione dalla divinità greca Asclepio, cui abbiamo dedicato un’ampio articolo in seguito alla nostra visita al Santuario greco di Epidauro nell’estate del 2011. In questa ricerca abbiamo anche affrontato il motivo per cui sull’Isola Tiberina a Roma venne eretto un santuario per il culto a questo dio.

 

Le guarigioni di tipo “religioso” erano considerate grandi operazioni teurgiche e i beneficiari portavano degli “ex-voto” ai santuari di culto delle varie divinità (lo abbiamo visto parlando del Santuario di Asclepio ad Epidauro): sculture di occhi se si era ottenuta una guarigione di una patologia oculistica o miglioramenti della vista; di orecchie se la guarigione riguardava questi organi; piedi, braccia, gambe, a seconda della parte risanata. Il ritrovamento di questi manufatti, frequentemente accompagnati da iscrizioni esplicite di riconoscenza, consente di capire che la forma di ringraziamento non era molto differente dalla pratica cristiana degli ex- voto per “Grazia ricevuta” o guarigioni ritenute miracolose per intercessione divina o di alcuni santi.

 

Nel tempo si assistette ad un processo di qualificazione dell’arte sanitaria che si può riassumere in alcune tappe salienti:

  • Augusto assunse  come medico personale un giovane liberto, Antonio Musa, che salvò l’imperatore, gravemente malato al fegato (23 d.C. circa), da morte sicura. Il risultato fu l’elevazione del Musa al rango di cavaliere, con il diritto di portare l’anello d’oro, una quota di 400.000 sesterzi ed una statua sul Palatino. Le terapie di Antonio Musa era basate sull’impiego della Fecola Aminea e formule magiche.
  • Nel 219 d.C. giunse a Roma il primo medico “professionista”, Arcagato, un liberto greco che aprì un ambulatorio di stato (che all’epoca si chiamava “tabernae”), all’incrocio di Via Acilia. Gli venne conferita la cittadinanza romana ma, secondo gli annali, ad un certo punto cadde in disgrazia perché esagerava con la chirurgia (pratica che provocava molti morti) dunque venne definito carnefix. Secondo alcuni studi recenti, però, parrebbe evidente che Arcagato introdusse a Roma tecniche operatorie sofisticate e del tutto sconosciute per i Romani di allora, di qui il timore e la repulsione che riuscì a suscitare verso la sua arte (2).
  • Dopo la data del 219, i medici a Roma furono sempre greci, e a loro venne concessa la cittadinanza romana dall’imperatore.

 

Le tabernae, cioè gli ambulatori, potevano avere annesso un herbarium (erbario) dove il medico preparava pozioni e farmaci con le erbe portate dai rizotomoi (raccoglitori).

Insieme ai professionisti, vi erano però (come è comune anche oggi) numerosi ciarlatani, che promettevano improbabili guarigioni.

Celso, Cicerone e Seneca tracciarono un profilo positivo del lavoro dei medici dell’antica Roma, mentre Plinio, Marziale e Giovenale ne riportarono considerazioni negative; inoltre i medici furono anche bersaglio di satira, ad esempio Marziale usò binomi come medico e becchino (3).

L’onorario di un medico non è certo: Plinio ci dice che guadagnavano moltissimo, così come le altre professioni sanitarie (paramedici, fisioterapisti, massaggiatori…), mentre Seneca afferma che i medici ricevevano una ben misera remunerazione (mercedula), tenuto conto della loro fondamentale opera (salute e vita non hanno prezzo); Plauto diceva medicus/mendicus (intendendo che non si arricchiva con il proprio lavoro).

  • Nacque la figura del Medico di corte (Medicus palatinus), dell’Archiatra sacii palatii, il medico dell’imperatore
  • Nacque un servizio pubblico di assistenza medica nei seguenti campi:

-Assistenza medica ai gladiatori

-Assistenza nei giardini pubblici, nelle biblioteche, nelle Terme

-Assistenza al personale del porto di Ostia

-Assistenza per le Vestali

  • A partire dal IV sec. d.C. venne creata la figura del medico municipale (il medico condotto), per redigere certificati, per l’assistenza ai poveri, e altro. Costui poteva esercitare anche privatamente.
  • Creazione di una categoria di Medici militari. In realtà ospedali “di campo” se ne conoscono almeno dal tempo di Augusto, i cosiddetti Valetudinaria. Ne restano importanti vestigia in Svizzera, Inghilterra, Germania ma esistevano in tutto il territorio di conquista. Avevano una forma geometrica normalmente rettangolare; al centro vi era un ampio cortile e lungo i quattro lati erano posizionati i vari settori. Erano infatti dotati di sale operatorie, stanze di degenza, latrine, ambulatori dei medici, la farmacia, probabilmente uno spazio per l’accettazione dei malati, uffici amministrativi. Esattamente come ospedali moderni. Nell’esercito imperiale la qualificazione sanitaria era molto elevata; in tale settore venivano testate pratiche farmacologiche,  mediche e chirurgiche che non esistevano tra la popolazione normale. Vi erano tre livelli di medici i quali avevano anche tre diversi tipi di stipendio. Si sa molto poco, invece, della medicina militare in età Repubblicana.

 

La deontologia professionale si basava sul Sapere, Saper Fare e Saper Essere. Non c’era un controllo statale, e alcuni medici si attenevano al Giuramento di Ippocrate. Era molto considerata la Humanitas (misericordia).

Non esisteva l’accanimento terapeutico.

L’assistenza andava erogata anche ai criminali e ai nemici.

Il medico doveva rifiutare l’aborto (anche se si sa che lo si praticava nascostamente)

Di fronte alla legge il medico aveva responsabilità giuridiche ed era passibile di sanzioni (secondo un’antica legge del 286 a. C., la Lex Aquilia) ed era tenuto al risarcimento del danno

Secondo una legge successiva (la Lex Cornelia, dell’ 81 a.C.) i medici erano penalmente responsabili per eventuali avvelenamenti, se procuravano o vendevano veleni a qualcuno. Era punita la castrazione a scopo di piacere. Veniva punito il medico che seduceva la moglie di un cliente.

 

Vi erano anche donne-medico nel mondo sanitario romano, soprattutto in campo ostetrico. Molte erano le donne- levatrici.

Vi erano medici specializzati, anche se la specializzazione era molto criticata. In teoria la chirurgia doveva essere impiegata in estrema-ratio (per ragioni veramente urgenti e gravi). Come anestetico si usavano l’oppio e il giusquiamo, o una miscela di morfina.

Sepsi ed anestesia erano i punti dolenti della chirurgia di allora.

La cura delle ferite si basava sulla: detersione, compressione, cauterizzazione, usando filo o graffette (fibulae), fasciature. Se la ferita suppurava si ricorreva all’amputazione.

Si utilizzavano ventose per togliere pus o sangue; si compivano trapanazioni craniche (Terebrum e Modiolus). C’era anche la chirurgia estetica soprattutto per:

-cancellare il marchio (di liberti, cioè schiavi affrancati o dei fuggiaschi)

-correggere di deformità congenite al volto

-cauterizzazioni o escissioni

-interventi particolari

 

Gli strumenti chirurgici erano numerosi e, nella loro forma essenziale, non si discostano molto da quelli moderni. Erano in materiale diverso (ottone, bronzo, ferro, piombo e anche in materiale prezioso). Sono pervenuti fino a noi anche cateteri vescicali in bronzo (!) di 27 cm di lunghezza.

Vi erano odontoiatri e oculisti (numerosi i sigilli da oculista ritrovati). Notizie di una prima otturazione risalgono al 7.000 a.C., dunque si può dedurre come il mal di denti fosse un’afflizione antichissima, alla quale si cercò rimedio fin dagli albori. I faraoni egizi soffrivano di odontalgie e un cranio etrusco ci mostra una protesi dentaria in oro. Le cosiddette “protesi di Tarquinia” ci informano della cura dei denti. Per il dolore veniva impiegato il giusquiamo, ma anche grappa, radice di mandragola, e altre erbe. Esistevano dentifrici fatti con sostanze abrasive, anche l’urina era usata (come sbiancante) ed erano in uso anche i dentiscalpium, cioè gli stuzzicadenti, ed erano fatti con la parte dura delle piume. Sono stati documentati anche profumi per l’alito cattivo!

Il medico era anche farmacologo: preparava da solo i farmaci, basati sulle erbe ma anche sui minerali. Aveva a disposizione cassette per riporli, così come recipienti per i ferri chirurgici. Alcuni ritrovamenti come la domus del chirurgo di Rimini hanno permesso di ricostruire l’ambiente in cui abitava e visitava il medico, il suo studio, il day-hospital, gli strumenti che impiegava e i bellissimi mosaici che arricchivano la vasta e prestigiosa dimora privata del professionista, che non doveva essere in questo caso un mendicus!

Nel mondo romano era noto anche lo stress come fonte di malattia, e in particolare lo stress da insonnia dovuta principalmente al rumore (nelle insule insopportabile); così come erano note le malattie da abusi alimentari (malattie del lusso), da abitudini alimentari errate, da mancanza di esercizio fisico o da eccesso dello stesso.

I Romani non hanno inventato nulla, probabilmente, ma alla loro decadenza l’Occidente si privò di una serie di prerogative efficienti che sarebbero state riscoperte e rivalorizzate secoli e secoli dopo.

 

Note:

  1. Si veda la sezione "L'Arte di sanare attraverso i secoli"
  2. Si veda l’interessante digressione di Marco Rolandi “Medicina nell’antica Roma. Arcagato: carnifex o vittima?
  3. Opinioni dei letterati nei confronti dei medici

 

  • Nella Galleria fotografica sottostante sono mostrati alcuni reperti conservati nel Museo Archeologico di Bergamo