Shemot Shinnui: i nomi cambiati

                                                                (Carlo M.F. Capone)

 

Nell’ora più calda del giorno un vecchio, pastore di greggi e di armenti, sedeva assopito all’ingresso di una tenda sotto l’ombra piccola di una quercia molto più vecchia di lui.

A poca distanza un bastone infisso ritto nel terreno indicava l’hora meridiana; aveva imparato dai Caldei (1)  a misurare il trascorrere del tempo osservando l’ombra del bastone ridurre lentamente la sua lunghezza fino quasi a scomparire, per poi riprendere ad allungarsi. In quel momento l’ombra era molto piccola, come quella della quercia, vicino alla quale cercava di vincere col sonno l’inerzia pretesa dal caldo.

L’hora meridiana, giorno sacro, ora di passaggio; con questi nomi avrebbero poi chiamato il momento in cui il sole è al culmine della sua ascesa e molto più tardi nel tempo, un poeta avrebbe cantato: “quando il sole accende la sua vampa meridiana, allora appunto si scorgono i numi”. (2)

Nessuno meglio di lui conosceva questa verità.

Aveva novantanove anni quando in una delle apparizioni con cui Adonai era solito rivolgersi a lui, si sentì dire:

 ”Non chiamerai più il tuo nome Avram, sarà il tuo nome Avraham. Sarài  tua moglie non chiamerai più Sarài; perché Sara è il nome”.(3)

Quel nome, Avram, glielo aveva dato suo padre Terach la notte in cui nacque a Ur (4) di Caldea, mentre in cielo una immensa cometa che appariva ad oriente inghiottiva nel suo viaggio quattro stelle fissate ai quattro punti del cielo(5) ; il nome significava “grande padre”, ma sua moglie Sarài era sterile.

Ed ecco che, non molto tempo dopo, mentre sedeva davanti alla sua tenda nell’ora più calda del giorno, all’ombra delle querce di Mamrè (6) , Adonai  gli si rese visibile e tre stranieri gli si avvicinarono.(7) Avraham, dette loro ospitalità e ristoro; gli chiesero:

“Dov’è Sara tua moglie?”.

“Ecco guarda, nella tenda”.

“Tornerò a te fra un anno, e Sara, tua moglie, avrà un figlio”.

Diversamente da sua moglie, che nascostamente sorrise, queste parole non lo colsero di sorpresa, aveva da tempo capito che nel nome c’era il destino dell’uomo e che il cambiamento imposto da Adonai al nome suo e di sua moglie aveva il significato di un rivolgimento della loro vita.

A molti questo cambiamento poteva apparire quasi insignificante, al suo vecchio nome Adonai aveva aggiunto una he, a quello di sua moglie aveva tolto uno iod e aggiunto una he.

Aveva imparato da piccolo  a parlare la Lingua Sacra degli Ebrei, non appena lasciata la grotta dove trascorse i suoi primi dieci anni(8), nascosto all’ira di Nimrod  che voleva ucciderlo per aver visto in cielo la cometa, segno infausto per lui e il suo regno.

E nei segreti della Lingua Sacra aveva letto il significato di ciò che era accaduto.

Ad ogni lettera corrisponde un numero, e così si mise a contare il numero del suo nome. Quello vecchio faceva 243,  quello nuovo 248; sua moglie da 510 era passata a 505. Il suo nome aveva guadagnato una he che vale 5, sua moglie aveva perso uno iod che vale 10 e guadagnato una he che vale sempre 5. Mettendo insieme i due vecchi nomi la somma dava 753, mettendo insieme i nuovi nomi la somma dava ancora 753: nulla era cambiato nella forma, tutto era cambiato nella sostanza.(9)

Cosa voleva dire guadagnarsi una he?

 “… quando il cielo e la terra furono creati”:(10)  nella Lingua Sacra ‘furono creati’ è scritto: behibbaram  con  la he  più piccola delle altre lettere, a indicare che Elohim creò cielo e terra con la he(11), questa è la lettera che fa passare sulle vite il soffio divino.

Ma Sara aveva perso uno iod ! La più piccola lettera e la più grande; è l’inizio del nome impronunciabile di Adonai. Ma quando questa minuscola lettera è alla fine di un nome o di una parola, indica il possesso assoluto e Sarai significava: mia principessa. Non avrebbe mai potuto diventare madre fino a ché lui, suo marito, non avesse rinunciato a questo possesso esclusivo.

Il caldo dell’hora meridiana, allentava le briglie del corpo, ma sulle ali del sonno scioglieva i geti alle caviglie del pensiero: qualcuno prima di lui aveva avuto la stessa sorte? gli avevano cambiato il nome? Si.

Nel giardino di Eden, Adam aveva avuto una compagna e le aveva dato il nome Iscià perché da Ish (uomo) lei fu presa(12). Poi accadde l’inevitabile, insieme assaporarono il gusto del bene e del male e dovettero lasciare Eden; divenuti marito e moglie Adam chiamò sua moglie Hawwàh (vivente)(13) , solo allora ebbero i figli.

La freccia del tempo vola dritta e spedita quando la mente è vigile, il sonno la piega e l’addolcisce e quando attraversa la regione dei sogni è libera di decidere dove andare; dopo essere tornato nella grotta che lo aveva protetto quando era bambino e dove Noè gli aveva raccontato di Eden, dei giganti e dell’Arca, il tempo si mosse velocemente in avanti e si ritrovò avvolto in una bruma notturna.

Sentiva rumori di tonfi, di tuffi come se qualcuno stesse lottando con l’acqua; lento e circospetto, protetto da giunchi e canneti, si ritrovò con i piedi bagnati e vide un uomo combattere col vento.

 Lo riconobbe, era Jakov suo nipote che in mezzo al fiume Jabbok (14) infradiciato fino alle ossa, cercava di resistere agli attacchi di nemici invisibili; il peso delle sue colpe, l’aver insidiato suo fratello Esaù, avergli sottratto la primogenitura, aver ingannato Isahq suo padre facendosi credere suo fratello maggiore, aver raggirato Lavan suo suocero per sottrargli un gran numero di pecore e bestiame, ora, di notte, da solo, in mezzo al fiume doveva affrontarlo. Jakov, quel nome che derivava da akev calcagno perché quando nacque teneva stretto il calcagno di suo fratello gemello Esaù, era diventato anche sinonimo di insidiatore e se lo portava dietro da troppo tempo.

Lottava ormai da alcune ore, era stanco, inzuppato e le ossa gli dolevano tutte ma resisteva finché un passo falso, forse, gli piegò una gamba e gli strappò un tendine; tutto si quietò di colpo.

Una voce, ben conosciuta, interruppe il silenzio, l’aurora cominciava a lottare con le brume della notte:

“Non Jacov  sarai più chiamato,  il tuo nome è Israel perché hai lottato con Elohim e con gli uomini e sei stato capace”. (15)

Lo sentì mormorare:

“Questo posto lo chiamerò Peniel, perché ho visto il volto di Elohim”.

Poi vide Israel mettere al mondo 12 figli, Iosef  il penultimo avrebbe governato l’Egitto.

Come era giusto adesso chiamarsi Avraham, padre di una moltitudine!

E per non interrompere la tradizione anche Iosef avrebbe cambiato il suo nome in Tsafenath Pa’neach; si ricordò che nella lingua copta il nome voleva dire salvatore del mondo,  ma un nome egiziano non era lo stesso di quello della Lingua Sacra, e i nomi non si cambiano per caso!

Tsafan significava nascondere, pa’an voleva dire mostrare e Josef, che intanto significava aumentare per aver accresciuto il numero dei figli di Isahq, aveva saputo mostrare al faraone quello che era nascosto nei sogni.(16)

Mentre le rive del Nilo si allontanavano e si sentiva trasportare ancora verso Mamrè , il suo sguardo incontrò quello triste di una donna, vedova, rimasta priva dei figli morti anche loro. Tornava dai campi di Moab verso Betlehem, dove era nata, e si appoggiava ad una giovane moabita Rut, rimasta vedova anch’ella di uno dei figli di lei.

La chiamo: “Noemi”.

Lentamente, volgendo gli occhi al vuoto, Noemi riconobbe la voce e rispose dolente:

“Non chiamate me Noemi, chiamatemi Mara, perché Shaddai (17) mi amareggiò moltissimo; Io andai piena, e svuotata mi fece tornare Adonai.” (18)

Si consolò pensando che i disegni divini sono complicati; quella donna riportando una moabita in Israele avrebbe sanato una frattura che si era prodotta quando Lot suo fratello decise di separasi da lui. E pure qualcosa ancora gli sfuggiva: perché tutti questi nomi furono cambiati da altri e solo a Noemi fu dato di cambiarsi il nome da sola?

Si risvegliò di colpo, Sara si era avvicinata e lo stava guardando.

“Sognavi?”. Gli chiese.

“ Curiosavo negli accampamenti del tempo. Siamo invecchiati, e quando racconterò ai nostri figli il loro avvenire, sorrideranno con il tuo stesso sorriso di quando non ti aspettavi che saresti  diventata madre”.

 

 

 

 

Note

  1. Erodoto: Storie  II , 109
  2. Servio:  ad Verg. Georg. 4, 401
  3. Genesi 17, 1-15
  4. Oggi Tell el Muqayyar nei pressi di Nasiriyah, Iraq
  5. Sepher Ha Yashar 8, 2
  6. Attuale Hebron, luogo sacro per la presenza della Grotta di Machpelah o dei Patriarchi dove sono custodite le tombe di Abramo e Sara
  7. Genesi 18, 1
  8. Sepher Ha Yashar 9, 4-5
  9. Davide Astori: Avra(h)m e Sara(i): quando un’ossido-riduzione linguistica vince la sterilità. Oliviu Felecan (ed) NUMELE SI NUMIREA. ACTELE ICOON 2011. 297-309
  10. Genesi 2, 4
  11. Catherine Charlier: Le lettere della creazione. Giuntina 2011. 23
  12. Genesi 2, 23
  13. Genesi 3, 20
  14. Genesi 33, 23.  Jabbok è un affluente di sinistra del Giordano (vuol dire fiasca, borraccia o  vacuità)
  15. Genesi 32, 29. Israel è la sintesi di sarah, una radice primitiva che indica tener duro e El  D*o.
  16. Bibbia Ebraica, Pentateuco e Haftaroth.  Giuntina Firenze 1995, nota 5 al testo di pg 73
  17. L’Onnipotente
  18. Rut 1,20-21

 

(Autore: Carlo M.F. Capone, ottobre 2014. Tutti i diritti riservati)

Argomento: Shemot

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