Presentazione libro

    “Dal benedetto colle delle beatitudini ai miei cari di Corna Camuna..."

                 e visita al Monastero di S. Maria degli Angeli a Capriolo (BS)

                                                   (report a cura di Marisa Uberti)

 

             

                             Paesaggio che si ammira dal "colle delle beatitudini"

 

Sabato 23 gennaio 2016 abbiamo avuto la piacevole occasione di assistere ad un evento culturale importante, nella splendida cornice del Monastero di Santa Maria degli Angeli a Capriolo (BS). Come membri del corso di avviamento alla Ricerca Storica[1], eravamo invitati alla presentazione del libro "Dal benedetto colle delle beatitudini ai miei cari di Corna Camuna...", scritto da un “veterano” del corso stesso, il dr. Francesco Zeziola, il quale ha pubblicato recentemente il volume, imperniato sulla corrispondenza inedita di una sua prozia (Antonietta Zeziola), che fu badessa di questo Monastero col nome di Madre Maria Scolastica (1872-1945). Il carteggio epistolare consta di centinaia di lettere che quest’ultima inviò ai propri familari (soprattutto al fratello Francesco e alla sorella Chiarina) e dimostrano il legame indissolubile che –nonostante la clausura – la suora mantenne con le proprie radici.

 

                                                         Copertina completa del libro

 

Oltre all’autore, erano presenti l’attuale madre superiora del Convento, Suor Maria Andreassi, don Giovanni Donni[2] e don Livio Rota.

 

   L'autore del libro, dr. Francesco Zeziola; nella foto a destra Suor Maria Andreassi

 

Di fronte ad una sala molto gremita, i lavori sono stati aperti dal dr. Francesco Zeziola, che ha brevemente illustrato le fasi salienti che hanno portato alla stesura di questo volume: nel 1975, in occasione di una visita a questo Convento, gli vennero consegnate dall’anziana suor Agnese Simoncelli tutte le lettere che la prozia Antonietta aveva scritto e che erano in possesso delle Orsoline. Erano trascorsi trent’anni dalla morte di Madre Maria Scolastica e le missive passarono dunque nelle mani del pronipote Francesco.  Egli, lì per lì, non seppe riconoscerne il reale valore spirituale e umano, limitandosi a conservarle per molti anni, quasi dimenticate. Finchè, anche grazie alla fruttuosa frequenza del corso di ricerca storica tenuto da don Gianni Donni (che della badessa e del monastero capriolese si era già occupato), quelle lettere gli tornarono alla memoria e con esse il desiderio di aprire non solo i cassetti in cui giacevano, ma le finestre della mente e del cuore. Si spalancò così un mondo sconosciuto, che riguardava da vicino i suoi antenati ma soprattutto rivelavano uno spaccato di vita di quella parente in clausura, apparentemente lontana dal mondo ma capace di dare lezioni sul mondo, configurandosi come guida spirituale di grande impatto sui destinatari delle lettere. Il dr. Zeziola, stimolato pertanto da questa corposa messe epistolare, ha condotto per anni una ricerca d’archivio sulla figura della prozia badessa, che ha portato alla stesura di questo libro. Titubante se pubblicarlo o meno, ha poi fortunatamente deciso di darlo alle stampe. Tra i presenti, anche i parenti dell’autore provenienti dalla Val Camonica, poiché Antonietta Zeziola (divenuta poi Madre Maria Scolastica, come ormai sappiamo) era nata a Corna di Darfo nel 1872 e ancora un ramo della famiglia ivi risiede.

La parola è stata ceduta a don Gianni Donni, il quale ha scritto una sintetica ma interessante biografia sulla badessa nel 1995[3], dolendosi di come la memoria di questa figura religiosa fosse stata appannata, immeritatamente, dalle nebbie del tempo. Infatti già il padre domenicano Marcalini di Bergamo[4] (1961) ne esaltò la personalità, arrivando a dire che “Dio stesso si impegnerebbe a manifestare e forse anche a glorificare quell’anima, da non lasciare nell’oblio”. Fin da piccola Antonietta ricevette un’educazione eccellente; dotata di vivace intelligenza, frequentò da esterna la scuola delle Suore del S. Cuore di Darfo e fu sempre molto attaccatta alla famiglia di origine. Prese i voti a vent’anni, dopo un percorso di studi presso il monastero di Capriolo, dove ebbe modo di esaminare la sua vocazione. Divenuta suora di clausura con il nome di Maria Scolastica, ricoprì incarichi di responsabilità presso il Convento stesso; fu infatti direttrice dell’Educandato dal 1901, Priora dal 1931 al 1937 e nei periodi intermedi ebbe le funzioni di sottopriora, consigliera e segretaria. I suoi copiosi scritti, non ricercati ma limpidi, rivelano una donna dotata di grandi virtù, con sani principi e con un forte senso della coerenza, che secondo lei era la base di cui dovevano essere dotate anche le Consorelle. Troppa elasticità, secondo lei, equivaleva a debolezza e viltà. Nel 1940 ricevette la croce di propagandista di Azione Cattolica. Don Donni ha poi tenuto a ricordare un’opera d’arte pregiatissima, conservata nel Monastero e da egli stesso riportata all’attenzione degli studiosi di arte sacra: il crocifisso “Christus triumphans”, un’opera datata alla metà del XIII secolo, in legno policromo (163 cm x 136 cm), che vedremo poi durante la visita guidata.

 

Don Giovanni Donni in un momento della sua relazione; accanto a lui, da sin., don Livio Rota e il dr. Zeziola, autore del libro

 

Il prof. Don Livio Rota ha rimarcato l’importanza del servizio reso da Madre Maria Scolastica, un servizio che non è conosciuto dai più ma che, grazie al volume di Francesco Zeziola, torna dal passato per far riflettere su diversi aspetti. Anzitutto c’è da considerare il nome scelto da Antonietta nel prendere l’abito claustrale, Scolastica, come la sorella di San Benedetto. A lei si sentiva ispirata e al suo pari era intrisa di profonda spiritualità. Le lettere raccolte nel libro appartengono alla prima metà del XX secolo; furono scritte in questo Monastero di clausura, dove la “lettera” diventava uno strumento importante e che in quest’epoca tencologica fatichiamo a valutare. Man mano che si procede nella lettura del volume, ci si accorge dell’importanza che avevano quelle lettere, per chi le riceveva. Sono lettere in partenza, si badi bene: perché non ci sono quelle di risposta? I destinatari delle missive, il fratello Francesco e la sorella Charina, dovettero sentirsi sempre guidati spiritualmente da quella loro congiunta, che tanto influsso ebbe su di loro: esortazioni, meditazioni, considerazioni sui fatti esistenziali che li riguardavano sono sempre presenti, mentre accenni ad eventi esterni sono rarefatti. La vita claustrale era rigida, eppure leggendo questi scritti la sensazione è che i muri diventino trasparenti, che quelle radici familiari fossero costantemente con lei dentro il chiostro. E’ la vocazione orsolina di Scolastica: “Si stacca dal corpo ma rimane attaccata alla famiglia”. La forza proviene da quest’ultima, come la protezione. Dalle lettere si apprende la posizione della badessa in merito ad alcuni parenti emigranti (vede in questo una minaccia per questa protezione). Il suo sguardo è quello di una donna profondamente unificata; per lei le radici sono primariamente religiose. Sua madre era stata un esempio di cultura in tal senso, leggendo Sant’Alfonso o l’Imitatio di Cristo. Le letture di Scolastica sono fonti dell’ascetica del tempo come S.Teresa d’Avila, S. Alfonso, ma anche Columba Marmion (benedettino che, all’epoca, era modernissimo)[5]… I contenuti desumibili dal corpus epistolare sono principalmente di due tipi:

-Spiritualità (del sacrificio, dell’offerta…)

- Invito costante a considerare la transitorietà della vita. Da qui la necessità di un distacco salutare da se stessi.

Dalla corrispondenza emerge uno stile pedagogico, quando si sofferma sul ruolo della donna nella società, sull’assistenza alle sfollate durante la Guerra, esponendosi a dei rischi[6], come rischioso era avere una radio nella clausura assoluta (nel 1939 arrivò la radio al convento!). Non avrebbe dovuto leggere nemmeno i quotidiani, ma Madre Scolastica aveva trovato il modo per farlo: dovendo portare il giornale del mattino al Cappellano, ne approfittava per leggerlo di nascosto (si trattava de “L’Italia”, un quotidiano cattolico che il fascio non aveva soppresso). Questo dimostra il suo temperamento e il suo desiderio di confrontarsi con il mondo esterno, rimanendo ferma nella fede, che considerava una virtù e non uno studio.

Le lettere rappresentano uno stimolo, secondo don Rota, ad approfondire ulteriori aspetti relativi alle Orsoline di altri paesi vicini. Importante l’educandato, cioè la formazione catechistica impartita alle ragazze e alle bambine. Nel Monastero funzionavano due scuole, di cui una per le allieve esterne, le quali non avevano in nessun modo la possibilità di incontrare quelle interne. Madre Scolastica diresse per vari anni l’Educandato e a quanto pare fece questo da perfetta Orsolina, perché al suo funerale P. Casimiro Carmelitano (suo padre spirituale negli ultimi 15 anni di vita) fece le condoglianze a tutta la Comunità di Capriolo per avere perduto una simile figura e al contempo si congratulava perché aveva acquisito una Patrona in Paradiso!

 

     

                     Il prof. don Livio Rota in un momento della sua conferenza

 

Nell’ultimo periodo della sua vita, Madre Scolastica soffrì di disturbi che non svelò mai. L’agonia durò sette giorni e in tale periodo decise come preparare la sua morte fisica e spirituale. Una grande prova che conferma ancora una volta la caratura del personaggio. Dopo la sua morte fu avviato un processo di beatificazione; secondo alcuni testimoni in lei vi erano le qualità di un’autentica santa[7].

 

  • La visita al Monastero

 

Al termine della presentazione, ancora pervasi dal fascino del mistico mistero che ci ha evocato questa interessante donna di grande carisma, abbiamo seguito la visita guidata del Monastero, che sorge sulle rovine di un antico castello. Questo colle, l’altura più elevata del paese di Capriolo e soprannominato “delle beatitudini”, ha visto vicende millenarie: era già fortificato in epoca celtica, poi romana e longobarda, per consolidarsi come castello comunale nel Medioevo. Faceva parte della serie di fortificazioni che sorvegliavano e difendevano il passo del fiume Oglio contro i bergamaschi; e proprio ai piedi del Castello, il 20 agosto 1198,  fu stipulata la pace tra questi ultimi e i bresciani. Passò poi di mano in mano, fino a quando, esaurita la sua funzione, cadde nell'oblio.

 

 

 

L'ingresso del Castello/Monastero da Piazzale Castello: qui c'era l'antico Androne della fortezza che, in caso di pericolo, accoglieva la popolazione con tutte le relative vettovaglie

 

    

                    Mura del lato settentrionale, forse l'antico Mastio

 

Nel 1610 il fortilizio versava in rovina e fu allora, sul finire del XVII secolo, che il terreno venne ceduto alle monache cappuccine, che eressero un convento di clausura, la cui prima pietra venne posata l’11 settembre 1692, mentre nel 1694 venne consacrata la chiesa di S. Maria degli Angeli. Si trattava, inizialmente, delle Clarisse di Venezia, che portarono con loro anche pregiati arredi per la nuova casa religiosa.

Capriolo, a quel tempo, costituiva il confine del territorio della Serenissima Repubblica, oltre il quale si estendeva il Ducato di Milano. La zona era strategica, paesaggisticamente gradevole, la terra amena e salubre; i ruderi del castello dovevano apparire suggestivi eppure sprecati, in quello stato di abbandono. Il colle, abbastanza elevato da garantire anche un certo isolamento, sembrò ideale per insediare l'ascetica comunità femminile. Dai documenti si evince che l’importanza del Monastero fu crescente in seno alla comunità: fitti erano i rapporti tra quest’ultima e le città di Venezia e Brescia. Il paese di Capriolo si trovò al centro di una crescita non solo religiosa ma sociale, culturale ed economica.

 

            

                   La Chiesa di S. Maria degli Angeli ha la facciata rivolta a Sud

 

Nel tempo si resero necessari nuovi spazi e per questo il primitivo impianto venne ampliato. Infatti l’ala delle “educande” (“Scuola delle Dimesse”) situata a settentrione e già esistente nel 1693, venne ulteriormente ingrandita nel 1830[8] con l’aggiunta del Torrazzo cinto da mura, grazie alla generosità di due famiglie locali (Rossi e Nepoti), che permise in tal modo la sopravvivenza dell’educandato. Il numero delle educande era infatti salito notevolmente e, se non si fosse provveduto a creare uno spazio ricreativo per le stesse, l’autorità scolastica non avrebbe più dato il permesso di esercitare l’attività didattico-formativa.

Il termine Torrazzo è rimasto ancora oggi e nei suoi giardini scorrazzano i bambini della Scuola Materna (che dal 1930 si è creata all’interno del Monastero). Attualmente non vige più il regime di clausura.

 

           

                                          Spazio prativo del Torrazzo (verso Nord)

 

Un cambiamento importante avvenne nel 1810, quando giunse implacabile la soppressione napoleonica. Le Cappuccine furono disperse nei diversi paesi originari e il convento venne venduto. Fu un duro colpo per tutta la comunità, privata di un così grande punto di riferimento. Solo la mobilitazione popolare consentì che rientrasse nella proprietà della comunità religiosa e arrivarono le Orsoline da Brescia (23 aprile 1835)[9], la cui esperienza nella formazione delle fanciulle era consolidata. Nel Monastero di Capriolo, le suore riorganizzarono la scuola in Educandato, che accoglieva ragazze bresciane e bergamasche per la formazione elementare, molto rigida. Nonostante molteplici e talvolta complesse vicende, le Orsoline (dal 1922 affiliate all’Unione Romana) hanno proseguito la loro opera seguendo il motto “Nate per educare. Formarsi per formare. Dare un’anima al mondo”.

Del Castello medievale avanzano soltanto resti delle mura perimetrali per circa 8 m di altezza; in diversi distretti si vedono affioramenti rocciosi che fanno capire bene come il complesso poggi sulla viva roccia; le asperità del sito (i massi rocciosi sono posti a diverse quote altimetriche: da Nord andando verso Ovest il terreno degrada bruscamente per più di 15 m[10]) furono ricondotte ad un’unica piattaforma d’armi, che oggi è il cortile o sagrato. Gli ingressi si trovavano a Sud ma su due piani differenti: uno “alto” (attuale entrata) e uno “basso”, dal quale è possibile ammirare il campanile, sorto anch’esso su una roccia arenaria, in asse con l’ingresso meridionale. Un ulteriore ingresso, sul lato settentrionale, è molto più recente.

 

            Il cortile interno del Castello/Monastero con il pozzo centrale

 

Una menzione speciale merita il Crocifisso medievale che è un esemplare molto raro, ritraendo il Cristo in una posa insolita per un manufatto del genere: le mani sono forate ma staccate dal braccio orizzontale della croce e lo furono fin dalle origini. Le braccia sono abbassate; il Cristo è coronato, con gli occhi aperti, è un Cristo Trionfante. Le cronache lo descrivono come un simulacro molto venerato, che sarebbe entrato nel Monastero all'inizio del 1700, insieme alla reliquia della Croce e di una Sacra Spina. Veniva custodito nella chiesetta del convento ma il suo valore non aveva mai catturato l'attenzione degli studiosi. Ad occuparsi della preservazione del manufatto era la pietà popolare, che aveva realizzato una veste e pare fosse una suora ad essersi incaricata di ridipingerlo per non farlo deteriorare. Infatti quando il restauratore Gianfranco Mingardi vi pose mano, trovò diversi strati di colore, stuccature, cera, porporina dorata. Il ripristino dell'aspetto più vicino possibile all'originale ha richiesto un lavoro assai minuzioso e delicatissimo, ma alla fine il risultato è apprezzabile. Questa stupenda opera d'arte, risalente alla metà del 1200, ha un volto intenso, labbra vermiglie, occhi penetranti. I piedi sono paralleli, l'incarnato color avorio; in vita un perizoma bianco con risvolto azzurro e ricami rossi (per la sua lunghezza e per il drappeggio sui fianchi, potrebbe essere interpretato anche come una tunica arrotolata sulla cintura e "tenuta ferma" da una sorta di nodo che si conforma in una rosa). Gli esperti lo ascrivono al cosiddetto "Atelier di Tivoli", dalla località laziale da cui proverrebbero opere simili, prodotte tra il 1220 e il 1250.

 

 

                   Il Crocifisso del "Christus Triumphant" e relativi particolari

 

Si tratterebbe di gruppi scultorei della Deposizione, in cui dovevano comparire anche altre figure (la Madonna, San Giovanni, Giuseppe d'Arimatea, Nicodemo, Maddalena, e forse anche angeli in volo). Tali opere si contano veramente sulle dita delle mani e comunque - pur avendo strette analogie con il Crocifisso di Capriolo - ne differiscono per un fondamentale significato simbolico: il Cristo morto in croce. Nel caso in esame, invece, il Cristo è vivo, è un Re trionfante che ha vinto la morte ed è risorto alla vita, come descritto nell'Apocalisse di San Giovanni.

Non si conosce il luogo dove venne conservato questo Crocifisso fino al 1707, anno in cui fu spedito a Capriolo da don Francesco Natali alla sorella Maria Teresa, che era tra le fondatrici del Monastero in cui ci troviamo. Sappiamo tuttavia che don Natali lo inviò da Roma, e questa sarebbe la convalida dell'area culturale e geografica di provenienza, dicono gli storici.

 

                       

Altare attuale della Chiesa di S. Maria degli Angeli; le aperture laterali immettono nell'antica chiesa di clausura dalla quale le monache seguivano la S.Messa attraverso due grate, senza essere viste dai fedeli. Una grata è mostrata nella foto sottostante:

                      

                    

                      

 

La visita ci ha permesso di scoprire una piccola ma significativa parte di questo monastero secolare, che incapsula antichissime memorie. La visita guidata ha compreso i principali corpi di fabbrica esterni dell’attuale Monastero e di alcune parti interne. L'impressione ricavata è che il complesso sia immenso, posto su livelli diversi, raccordati tra loro da passaggi che il profano può soltanto immaginare. Dalle mappe si apprende che l'edificio consta di cinque piani (di cui due interrati, uno a pianterreno e due rialzati). I locali della Biblioteca sono ricavati direttamente nella roccia! Il Monastero accentra in sè sia l'aspetto di una austera fortezza sia l’armoniosa e ascetica bellezza cenobitica.  Notevole il patrimonio artistico che è conservato nelle sue sale e che meriterebbe di essere ammirato con calma.

Per finire, una curiosità che per la scrivente è di particolare rilevanza: su una delle lastre del parapetto che recinge il sagrato della Chiesa di S. Maria degli Angeli, si trova una bellissima Triplice Cinta con diagonali e a “croce piena”, un modello raro (v. scheda). Per la dimensione adeguata (circa 20 x 20 cm) e la posizione orizzontale, potrebbe essere valida la funzione ludica dello schema (il popolare "gioco del filetto"), sebbene la presenza della "croce piena" sia superflua ai fini del gioco, ma non lo esclude, naturalmente. Sappiamo che tale parapetto risale al XVII secolo, perciò l’incisione non può risalire ad un’epoca anteriore (salvo ammettere il reimpiego della lastra che, comunque, non è detto recasse già l’incisione). Va ricordato che la chiesa può essere raggiunta dagli abitanti del paese tramite una scala di pietra.

Venendo via ci sorge un fugace pensiero: chissà se gli occhi di Madre Maria Scolastica si sono posati su questa incisione? O è possibile che sia stata fatta dopo il 1945? Sembra improbabile, considerato quanto abbiamo raccolto fino ad oggi in merito a questo argomento ma, in mancanza di dati certi, ogni ipotesi è possibile. Qualcun altro l'ha mai notata? Se vi fosse qualche lettore in possesso di informazioni, sarebbe gradito venirne a conoscenza. Invitiamo pertanto a contattarci direttamente all'indirizzo del Centro Studi Triplice Cinta.

 

 

 

                                             

 

  • Si ringraziano gli organizzatori dell'evento, le Suore Orsoline per l'accoglienza e la guida per il piacevole tour guidato del Monastero.

 


[1] Tenuto da don Gianni Donni ogni sabato mattina a Rovato (BS)

[2] Autore, tra l’altro, del bel volume “Capriolo: il monastero di S. Maria degli Angeli 1694 -1995” (Editrice La Rosa, 1995)

[3] Inserita nel volume citato alla nota precedente, pp.113-114

[4] Autore di una biografia sulla badessa, di cui esiste copia dattiloscritta nella Biblioteca del Monastero, intitolata “Dall’ombra alla luce. Profilo di M. M. Scolastica di S. Agostino O.U.R.”, Adro, Tip. Pelizzari, 1961

[5] Una biografia ufficiale sul sito del Vaticano

[6] Qui venne ospitata e nascosta una partigiana e un paio di suore vennero inquisite per questo

[7] Zeziola, Francesco “Chiamarsi Zeziola”, pdf scaricabile

[8] Fu ulteriormente allargata nel 1889

[9] L’  ”Atto di ripristino ed erezione dell’Istituto delle Orsoline in Capriolo” venne siglato il 14 aprile 1831

[10] Pagliari, Massimo “Le Orsoline ed il Monastero di S. Maria degli Angeli a Capriolo”, Ediz. Orsoline dell’Unione Romana, Marchetti Stampe Digitali, 2008

 

Argomento: Presentazione libro

Capriolo

Elena Bonomi | 25.03.2016

Bellissimo il Crocifisso. Grande report, Marisa!

Visita al monastero

Bruno Poli - Paratico | 15.02.2016

vivissimi complimenti al nostro " Francesco Zeziola " per il suo bel libro presentato.
Grazie a tutti coloro che hanno permesso la visita del monastero.

la storia locale

Angelo | 06.02.2016

la storia della nostra terra, è fatta da noi stessi e da quello che ci circonda, il risultato è la nostra cultura.

“Dal benedetto colle delle beatitudini..."

Simonetta | 05.02.2016

Bello! Anche i nostri posti hanno una grande storia...

Monastero

Guido | 04.02.2016

Bella descrizione, posti che meritano una visita.

Nuovo commento