I segreti della chiesa della Madonna della Neve
a Pisogne

Dobbiamo ricordare che Pisogne era sede di un importante mercato, era snodo viario dei commerci, dei trasporti lacustri, cittadina d'approdo per la Valle Camonica. Sorgeva qualche edificio precedente, in loco? Non sappiamo se siano stati condotti scavi per dare una risposta a questo.- Il lato sud
Negli "Acta visitationis" di San Carlo Borromeo [2] questo luogo di culto è appellato Ecclesia Sancte Marie ad Nivem, que appellatur La Madonna della Longa (nome della contrada). In origine non doveva certo avere le forme attuali, che sono la risultante di interventi successivi: verso la metà del XVI secolo furono edificati due porticati sia a Nord che a Sud (cioè a sinistra e a destra per chi guarda la facciata), per accogliere i pellegrini in transito. Nella visita pastorale del 1580, l'arcivescovo Carlo Borromeo diede ordine di reealizzare un convento, a meridione, per insediarvi una comunità di monaci eremiti di Sant'Agostino dell'Osservanza (Agostiniani) [3], arrivati stabilmente nel 1586-'88. In verità la S. Messa nella Madonna della Neve era già officiata da tempo da un padre agostiniano (Angelo da Viadana), che abitava accanto alla chiesa, mantenuto dal Comune e dalla Vicinia. L'intento del cardinale Borromeo era di affermare/consolidare istituzioni per la propaganda della fede e al contempo contrastare il più efficacemente possibile l'eresia e i fermenti luterani che si stavano diffondendo nell'entroterra (Valtellina in primis). Degli "avamposti" all'imbocco della Valle Camonica erano quindi l'ideale e a Pisogne in particolare.

- La Cappella di San Nicola da Tolentino e l'inedito affresco del Romanino nascosto per secoli
Guardando la facciata della chiesa ci si avvede di uno snello edificio addossato alla sua destra (dipinto in giallo chiaro) e dotato di un ingresso indipendente; il portale architravato è elegante e presenta motivi simbolici. E' sormontato da un fregio bombato, arricchito da racemi vegetali, reggente un timpano triangolare con cornice aggettata. Le lesene del portale sono ornate sulla fronte esterna da un motivo a pelte e, nella parte superiore, da busti di cariatidi a rilievo (Lombardia Beni Culturali). La trabeazione è retta da capitelli ad ovoli e foglie d'acanto e, sotto il fregio, corre un motivo a fusarole. Il portale introduce nella Cappella di San Nicola da Tolentino (Cappella del Convento, oggi della R.S.A. e visitabile su richiesta), risalente al XVI secolo. All'interno di quest'ultima ha suscitato grande scalpore la recente scoperta (2018) di affreschi eseguiti dal Romanino e mai riportati sui testi della storia dell'arte, che ne ignorava l'esistenza! Essi sono emersi al di sotto di uno strato di intonaco: un’infiltrazione d'acqua nella cupola del presbiterio ha iniziato a svelare qualcosa al di sotto. Gli esperti, chiamati per le opportune verifiche, si sono accorti che si trattava di dipinti del Romanino sconosciuti! L'artista bresciano aveva dipinto un'Annunciazione negli stessi anni del ciclo della Madonna della Neve o poco più tardi (1533-'37), che però fu coperta dagli Agostiniani quando si insediarono nel convento, intorno al 1586. Essi Intesero dare un taglio netto con il Rinascimento: coprirono il tutto con una mano di calce e chiusero l'accesso alla sagrestia. Praticamente murando l'affresco, che più nessuno vide fino al 2018, quando è stato ritrovato. Oggi se ne possono vedere delle porzioni dietro gli stucchi dell'altare nel presbiterio (fig. 2).
- Lato Nord: la rara Madonna dei Mestieri
A sinistra della chiesa, per chi osserva la facciata, si trovava il portico di settentrione (fig. 3), con probabile funzione di accoglienza dei pellegrini di cui si è accennato; a rinforzare questa ipotesi formulata dagli studiosi sarebbe esistita una Cappella intitolata ai Re Magi, considerati protettori dei pellegrini e dei viaggiatori. Ancora nel 1883 era possibile vedere l'affresco del Romanino raffigurante “L'andata dei Re Magi a Betlemme e l'Adorazione”, oggi del tutto scomparso (nel presbiterio della chiesa vedremo degli strappi fortunatamente scampati).
Proseguendo lungo il lato nord della chiesa incontriamo un tempietto (cappellina o protiro, unico superstite del porticato smantellato nel 1878) di squisita fattura, ingentilito da archetti lobati che mostrano figure bianche alate affrescate su fondo scuro nei peducci (angeli musicanti), mentre dentro gli archetti si svolgono scene dell'Antico Testamento: la Creazione di Adamo ed Eva, gli stessi nel Paradiso Terrestre, il Peccato Originale, la Cacciata, il loro lavoro fuori dall'Eden.
Al di sotto corre una fascia purtroppo non adeguatamente leggibile, con girali e quattro piccoli medaglioni contenenti Profeti e Sibille (presenti, come vedremo, copiosamente all'interno). Più inferiormente, in due tondi distinti, troviamo l'Annunciazione. Sull'intradosso dell'arco si apprezza un elemento decorativo in stucco modellato, costituito da girali vegetali; l'imposta dell'arco è invece decorata da una foglia d'acanto, che apppoggia su capitelli ionici, sovrastanti colonne lisce in pietra arenaria (datate post 1440 - ante 1460, ma a quel tempo la chiesa non esisteva!). Sotto il portichetto, le pareti e la volta sono interamente affrescate ma purtroppo i dipinti non versano in buone condizioni. Si riconoscono alcune scene, come quella di una Natività, al di sotto della figura di un S. Sebastiano. Una grande scena sembra raffigurare una bella Madonna in trono con Bambino in piedi sulle sue ginocchia. il piccolo Gesù tiene un'asta crucifera nella mano sinistra mentre la destra è benedicente. L'insieme è definito "Madonna con Bambino e Santi" (fig. 4). La critica colloca questi affreschi alla seconda metà del XV secolo, ma chi fu l'autore? Sono stati avanzati i nomi di Pietro da Cemmo [4]. Di questo pittore non si conosce nè la data di nascita nè quella di morte, ma la sua attività si produsse tra il 1474 e il 1504 in una vasta area comprendente il bresciano, il cremasco e il cremonese. Un altro nome è quello di Giovanni da Marone, operante nel XV secolo (nemmeno di lui si conoscono le date anagrafiche). Ci sembra utile sottolineare come questi affreschi siano particolarmente importanti, dato che sono i più antichi riscontrati nell'edificio e dovrebbero appartenere ad una fase precoce del monumento. Poco o nulla rimane dei soggetti affrescati sugli altri due lati esterni del portichetto; rimangono invece visibili i begli archetti lobati.
- Abside

- La facciata e i suoi simboli
La lunetta è incorniciata da una ghiera in calcare fittamente lavorata a motivi fogliati (acanto?). Esternamente ad essa, a distanze regolari, si susseguono cinque formelle sempre in calcare bianco, recanti motivi fitomorfi (particolari inusuali a vedersi). Nella formella superiore centrale si distingue una croce, che sfugge ad una semplice occhiata. Il suo stile ricora le croci processionali (con il braccio verticale prolungato verso il basso e qui, nella fattispecie, il braccio sembra originare o finire nel tralcio vegetale alla base, bellissimo simbolismo). Gli altri tre bracci terminano in modo svasato. Nei quattro angoli interni si trova un numero: 1 5 0 8, cioè 1508, la data in cui la chiesa fu terminata).
Nell'elegante lunetta si trova un affresco (rifatto) con due angeli (mentre al centro è collocata - su un sottile basamento - una statuetta calcarea della Vergine con Bambino (post 1474 - ante 1499), cui corrisponde (superiormente) una pietra bianca lavorata, che si inserisce vistosamente lungo il semicerchio in pietra arenaria rossa di Gorzone (pietra "Simona"). Al di sotto, sull'architrave del portale, si ammirano due tondi posti ai lati, contenenti fieri profili maschili. Chi sono questi personaggi? Uomini anonimi rinascimentali o hanno un'identità specifica? Oppure sono santi? Su questo la critica è divisa; presentano fisionomie e acconciature differenti: quello a sinistra sembra avere una sorta di berretto con istoriazione floreale a rilievo e sotto il copricapo spuntano tanti riccioli [5]; quello a destra non ha un copricapo ma i capelli hanno un taglio tipico della moda rinascimentale, tendenti ad ostentare un canone di bellezza votata all’eleganza e alla naturalezza. Dunque sembrerebbero non destare ulteriore interesse questi due ritratti senonchè un particolare ha attratto la nostra attenzione: se si osserva attentamente, dalla testa di ciascuno sembrano dipartire due piccole corna (fig. 8), forse da intendersi come simboli di illuminazione dei due uomini del Rinascimento?
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Noi spregieremo adunque li denari, perchè per essi non possiamo campare".

Fig. 11
Noteremo che ciascuno scomparto ospita sette personaggi chiaramente visibili, per un totale di ventuno (senza contare lo scheletro). Conteggiando i personaggi di entrambe le parti, essi sono 43.
La presenza di questo tema -alquanto diffuso in quel periodo - fa presumere alla critica che la chiesa fosse gestita dall'ordine dei Disciplini, come abbiamo già accennato. Va detto che il tema della Danza Macabra è presente anche nella pieve di Santa Maria in Silvis.
Sul signifiicato della raffigurazione abbiamo parlato in altre pagine di questo sito; nello specifico rimandiamo all'opera del Rosa e del Vallardi. La fascia interrompeva la decorazione murale a losanga. Ciò che sembra di dedurre, osservando la facciata da una certa distanza e immaginandola con i colori vivi e splendenti, è che questa chiesa dovesse suscitare ammirazione e monito.
Alzando lo sguardo oltre la lunetta, incontriamo un rosone che presenta tracce di motivi floreali affrescati nella cornice circolare. Importante la vetrata che chiude il rosone, della fine del 1400, che costituisce uno dei rarissimi esempi di tale arte in questo territorio [8]. Superiormente all'oculo si può (con occhio aguzzo ma ancora meglio con un teleobbiettivo) rintracciare la labile presenza di una Madonna con Bambino: si riconosce la punteggiatura dell'aureola e la posa di Gesù, che non è quella classica: "sembra quasi voler fuggire di mano a sua Madre" (Vezzoli). Per il resto l'affresco è quasi scomparso, mentre si vede parzialmente la figura di Dio Padre, sullo stesso asse verticale, al vertice di una fascia che segue lo spiovente del tetto (fig. 12). Alle estremità di tale fascia si trovano due tondi, ma purtroppo anche questi affreschi stanno scomparendo (in pochi decenni).


Se si avrà cura e pazienza di spingere lo sguardo ancora più in alto, si potranno distinguere le figure affrescate entro gli eleganti archetti polilobi (o polilobati). Non sono giunte integralmente conservate ma si riconoscono ritratti maschili con relativo cartiglio che la critica ha identificato con i Profeti (post 1474 - ante 1499). Sono in numero di 16; ciò induce a riflettere che il 4 e i suoi multipli siano fortemente rappresentati sulla facciata: la decorazione parietale è costituita da quadrati disposti a losanga con fioroni bianchi su sfondi di vari colori: verdi, viola, rossi, e altri ma la cromia si sta gradualmente sbiadendo! La "Danza Macabra" aveva le seguenti misure: 4,80 m di larghezza (ciascuna) per 180 cm di altezza (ciascuna). Ventiquattro sono le formelle lignee che costituiscono il portale. Queste sono soltanto elementari considerazioni; bisognerebbe avere dei dati circa la geometria sacra della chiesa. Ma anche semplicemente i rapporti usati.
- L'interno, i dipinti del Romanino e i misteriosi cartigli dei Veggenti
La porta aperta non ci ha privato della forte emozione che abbiamo provato varcando la soglia d'ingresso: immediatamente siamo calati in uno spazio e in un tempo che non erano più quelli dell'esterno (questa è stata un'impressione personale, naturalmente!). Una magia che questa chiesa, pur sconsacrata e soggetta a tanti cambiamenti d'uso, riesce a compiere a dispetto di tutto. Sprigiona un forte senso del divino e del sacro; non si può spiegare a parole ma chi l'ha progettata sapeva il fatto suo. L'unica navata è disposta sull'asse Est-Ovest, con ingresso a ovest e abside a est, secondo i canoni ecclesiastici Versus Solem Orientem [9].
L'illuminazione importante e dosata perviene dal rosone in facciata, collocato a occidente. Nell'abside semicircolare vi sono due finestre, come già detto, ma la loro posizione laterale illumina la parte presbiteriale, sostanzialmente. L'ingresso immette direttamente nella navata, completamente affrescata, comprese le tre volte a crociera, corrispondenti ad altrettante campate divise da archi ogivali trasversi. Non vi sono cappelle nè altari laterali; il presbiterio è leggermente rialzato e vi si accede tramite tre gradini. Un muretto disposto sul lato destro e sinistro separa la zona della navata dal presbiterio (cioè la zona profana riservata ai fedeli da quella sacra dove stava il celebrante). Una porta architravata è presente sul fondo della parete meridionale; fu realizzata verosimilmente tra il 1500 e il 1549.
Due porte si trovano ai lati dell'abside: una introduce nel protiro del lato nord e una è a sud.
Pochi decenni più tardi, tra il 1532 e il 1534, si decise di affidare al pittore bresciano Girolamo Romanino (1454-1566 circa) l'esecuzione di nuovi cicli di affreschi e c'è da chiedersi come mai, dopo così poco tempo. Tuttavia alcuni ritengono che solo l'abside fosse affrescata, quando arrivò Romanino ed egli abbia quindi dipinto su pareti vergini. Dell'opera di Romanino rimane una buona parte, anche se non integrale. I nemici di questa chiesa furono infatti l'umidità [10] e l'incuria degli uomini. Come abbiamo già accennato, il Romanino dipinse anche la facciata esterna settentrionale con alcune scene di affreschi, che oggi non troviamo più in quella posizione perchè furono strappati nel 1878, prima delle demolizione del porticato. Fortunatamente alcuni frammenti sono stati recuperati e collocati su cavalletti attualmente esposti nella zona presbiteriale della chiesa. Si tratta dell'Adorazione dei Magi (o Corteo dei Magi).


Abbiamo invece la conferma degli esperti per un "ripensamento" del Romanino in un altro dipinto, quello dell'Ascensione, dove si vedono due piedi avulsi dal contesto, all'altezza delle mani giunte della Madonna che assiste alla scena della salita al Cielo di Cristo. Il particolare è considerato una noncuranza dell'artista, come si legge in Silvia Conti: "Una noncuranza cui è da attribuire anche il curioso particolare constatabile nella parete di destra nella terza campata, dove è raffigurata la Salita al cielo, nella quale si trova il segno di un evidente pentimento sul quale il pittore non ha praticato il benche minimo tentativo di correzione: nella linea di mezzeria longitudinale, all'altezza delle mani della Vergine, c'è la traccia evidente di un paio di piedi abbozzati con il solito colore rossastro ma non colorati. Probabilmente da lì doveva partire un'altra figura, ritenuta poi inopportuna" (riferimenti in nota 19).Le scene della Vita di Cristo sono stese in due ordini: il primo dispiegato in rettangoli nella parte inferiore delle tre campate e a destra e a sinistra della controfacciata; l'altro si dispiega nella parte superiore in sei grandi triangoli curvilinei. La controfacciata è occupata da un gigantesco affresco avente come tema la Crocifissione (fig. 19), che va ammirato e osservato attentamente (in questa sede non è possibile approfondire).


Sapevamo dalla letteratura che Romanino non si era attenuto alla sequenza cronologica classica dei fatti narrati nei Vangeli, sentendosi libero di esprimere la propria arte anticlassica, sua per natura ma maturata con le esperienze veneziane e grazie a committenze illuminate per le quali aveva già lavorato, adattata ai fruitori locali (popolani) ma pur sempre con alta espressività e vibrante intensità. La lettura degli affreschi può iniziare dalla parte inferiore, in senso antiorario dall’angolo a sinistra dell’arco santo: la Cena in casa del Fariseo, Cristo davanti a Pilato, la Flagellazione, l’Incoronazione di Spine, l’Ultima Cena (fig. 21), la Lavanda dei piedi (fig. 22) e l’Ingresso in Gerusalemme. Superiormente, partendo dall'angolo a sinistra dell'arco santo e procedendo nel medesimo senso antiorario, incontriamo Cristo nell’Orto degli Ulivi, l’Ecce Homo, la Salita al Calvario, la Crocifissione, la Resurrezione, la Discesa al Limbo e l’Ascensione. Sull'arco santo, troviamo la Deposizione al Sepolcro (sotto Maria Annunciata) e - a sinistra- la Discesa dello Spirito Santo (sotto l'Arcangelo Gabriele). Questi facevano da pala a due altari successivamente eliminati.

Nella parte superiore della parete Sud si osservano l'Ascensione, la Discesa al Limbo (fig. 23) e la Resurrezione, ma la sequenza cronologica dovrebbe essere un'altra (la Discesa nel Limbo precede l'Ascensione, non la segue). Questo episodio non si trova, tuttavia, in nessuno dei Quattro Vangeli ma è presente nella tradizione extra-biblica come nel Vangelo Apocrifo detto “di Nicodemo” (21-24) e nella “Legenda Aurea” nel capitolo sulla Resurrezione del Signore e si basa su miti della salvezza precristiani. Si racconta che Gesù, al momento della resurrezione, abbia per prima cosa liberato dal dominio della morte i giusti morti prima di lui, dopo essersi recato egli stesso nel regno dei morti (nell’inferno o nel limbo, da interpretare come oltretomba o Ade). Il significato è l’universalità della redenzione di Gesù, la quale agisce nel tempo anche a ritroso e, attraverso essa, tutti possono essere salvati. [12].
- Profeti, Sibille, Veggenti
A sorvegliare tutte le scene e perfino quasi volendo dialogare con esse e con il visitatore stanno, più elevate, le figure dei Profeti e delle Sibille (8 per ciascuna campata degli uni e delle altre più otto veggenti) sotto le quali - per il rastremarsi dello spazio -stanno dei putti dipinti prevalentemente a monocromo (fig. 24). Sotto ciascuno dei tre archi trasversali, entro ovali allungati, si trovavano in origine i Dodici Apostoli (?), di cui rimane ben poco, così come di altri tondi con profili sulle lesene. Bisognerebbe trascorrervi giorni interi per scoprire la ricchezza dei particolari, ma dobbiamo limitarci a parlare di qualcosa che ha catturato la nostra attenzione: i cartigli che reggono tra le mani i Profeti e le Sibille. Perchè sono stimolanti? Perchè se in parte si riconosce chiaramente che furono scritti in latino, a volte con il nome del Profeta o della Sibilla e anche il loro vaticinio, altri riportano caratteri e segni incomprensibili. Come mai? Cerchiamo di capire meglio il contesto culturale generale e poi locale in cui questi soggetti furono realizzati. Anzitutto, perchè Profeti e Sibille? E' normale trovarne nelle chiese cristiane, sia chiaro.
Se i Profeti sono presenti nel Vecchio Testamento, le Sibille no, appartenendo al mondo pagano. Dai tempi antichi, nel cristianesimo primitivo, si cercò però di trovare delle concordanze tra il mondo pagano e quello cristiano. Si interpretò come profetica la IV egloga di Virgilio, composta nel 40 a.C., volendovi scorgere la nascita e la missione di Gesù Cristo. In quel testo Virgilio riprese un oracolo che sarebbe stato pronunciato dalla Sibilla Cumana, profetessa romana di origini orientali. "Citando una vergine senza attribuirgli un chiaro ruolo, descrisse la nascita "dal cielo di una nuova progenie", un bambino "cara prole degli dei, alto rampollo di Giove", che instaura un periodo di pace per la società e per la natura, e sotto la cui guida scompaiono "le tracce della nostra colpa". Il contesto storico immediato può riferirsi all'attesa, nel dominio romano del 40 a.C., della nascita di un bambino e di un connesso periodo di pace e benessere, ma secondo la tradizionale lettura cristiana del "senso più pieno" la poesia può essere riferita alla nascita di Gesù" [14].
Varrone, nel I secolo d.C., aveva fornito i nomi di dieci Sibille [15], che lo scrittore cristiano Lattanzio (IV secolo d.C.) ha tramandato nel trattato Divinae Istitutiones. Esse sono:
Sibilla Persica, Sibilla Libica, Sibilla Delfica, Sibilla Cimmeria, Sibilla Eritrea, Sibilla Samia, Sibilla Cumana, Sibilla Ellespontina, Sibilla Frigia, Sibilla Tiburtina. E' interessante che le Sibille non siano state rigettate dal cristianesimo, che ha anzi conferito loro un ruolo importante: quello di annunciare presso i pagani la venuta di Cristo [16]. Nel Medioevo, dimenticati gli oracoli, le Sibille si ridussero a tre (la Cumana, l'Eritrea e la Tiburtina); non ne servivano più tante perchè la funzione annunciatrice potevano farla anche loro; queste tre sono le sibille ancora oggi maggiormente note. Nel XIII secolo era raro che venissero raffigurate mentre verso la metà del XV secolo ricompaiono numerose, accompagnate da cartigli recanti i testi delle profezie. Nel 1465 le "Institutiones" di Lattanzio fu il primo libro ad essere stampato in Italia, a Subiaco, ed ebbe sei ristampe in poco più di dieci anni. Ecco perchè, dopo tale periodo, gli artisti (e/o i committenti) riscoprirono il tema delle Sibille, da accompagnare quasi sempre a quello dei Profeti biblici.
Nel 1481 fu pubblicato a Roma un trattatello intitolato Discordantie sanctorum doctorum Hyeronimi et Augustini: Sybillarum et Prophetarum de Christi vaticinis del frate domenicano Filippo Barbieri, che aumentò molto la popolarità delle Sibille (ne è prova la profusione con cui furono raffigurate, taNto nelle chiese importanti quanto in quelle popolane). "All´interno dell´opera è presente un trattato indirizzato integralmente ai detti delle Sibille e dei Profeti. L´innovazione del Barbieri, che enumera dodici Sibille, si propone come summa e riforma della tradizione antica oracolare, ascrivendo alle Sibille motti di inequivocabile derivazione cristiana, rafforzata dall´associazione con i Profeti canonicamente riconosciuti dalla dottrina della Chiesa, e offrendo un testo guida per le raffigurazioni pittoriche, offrendo dei modelli figurativi e descrittivi ben definiti" (Mazzei, Annarita " L´iconografia della sibilla tra quattrocento e cinquecento: dalla tradizione alla revisione", Il Foglio dell'Arte, 2014). Nel rappresentarle, gli artisti accostarono alle Sibille i cartigli contenenti i testi degli oracoli precedentemente noti in Lattanzio, con altri due che erano stati appositamente allestiti per due nuove Sibille, Europa e Agrippa. "Le sibille, giunte al numero finale di dodici, furono considerate dalla chiesa d'occidente delle figure anticipatrici dei profeti dell'Antico Testamento. La loro codificazione iconografica prevede un attributo comune per tutte, i cosiddetti "libri sibillini" (raccolte oracolari) e un oggetto particolare per ognuna: per la sibilla persica un serpente e un lume, per la libica (o africa) una torcia, per l'eritrea un giglio, per la cumana una ciotola, per la Samia una culla, per la cimmeria una cornucopia, per l'europea una spada, per la tiburtina una mano mozzata, per l'agrippina una frusta, per la delfica una corona di spine, per quella d'Ellesponto chiodi e croce, per la frigia croce e vessillo della resurrezione" (v. Le Dodici Sibille e la nascita di Dio in Terra, traditio.it).

Fig. 24
Ci servirà per capire se riconosceremo le Sibille affrescate da Romanino in questa chiesa, di cui vediamo alcune immagini a corredo del testo. Purtroppo Romanino, da quello che si nota, non inserì il loro attributo, ma queste meravigliose figure sembrano veramente dialogare con il visitatore e qui e là mostrargli curiose pose delle mani, dei corpi, dei cartigli svolazzanti, come invitandolo a seguirle, ad ascoltarle, a spingersi lassù elevandosi dal piano materiale. Sembra di rivedere il pittore che apriva la porta, entrava in quest'aula, posava i suoi strumenti di lavoro, saliva sulle impalcature e rimirava l'opera lasciata il giorno prima. Non ci sorprenderebbe che parlasse con le sue opere d'arte: con Ester, con Salomone, con Adamo, con la sibilla Cumana, con il profeta Isaia...Sono ancora tutti lì con l'espressività che gli diede per sempre il Romanino. Lo immaginiamo ancora, mentre scendeva dal ponteggio, preparava i colori, sceglieva i pennelli e risaliva, iniziando un'altra personale immersione nei temi sacri, che pennellava vigorosamente. Ne eseguì dodici, di Sibille, tante quanti i Profeti; si leggono bene i nomi della Cumana (ritratta con un turbante in testa), dell'Eritrea (vestita d'azzurro) e della Libica (dal portamento elegante, con acconciatura trattenuta da una cuffietta), si presumono quelli della Frigia e della Fenicia (fig. 25) mentre per le altre è impresa ardua.

Fig. 25. Sibilla Fenicia (che nell'elenco classico non esiste. A quale sibilla corrisponde?). A nostro avviso tra le più riuscite figure affrescate da Romanino in questa chiesa: si noti la posa dinamica, il drappeggio delle vesti (non sontuose ma portate con dignità), i piedi scalzi, le maniche del corsetto sollevate fino ai gomiti, le gote rosse, la testa voltata all'indietro...
Scrive il Vezzoli: "Per i nomi delle altre, per gli oracoli e le profezie, è sovente vana fatica, non essendosi curato gran che il Romanino di dare forma precisa agli scritti, bastandogli spesso disporre le lettere dell'alfabeto in sequenze ornamentali, senza un senso preciso, con frammezzate sovente lettere d'un alfabeto tutto suo, che sta a mezza via tra il greco, l'ebraico e il latino" [17]. Il Vezzoli ritiene che Romanino non avesse accanto qualche erudito che lo guidasse nella compilazione corretta dei cartigli ma allora perchè alcuni sono chiari e corretti e altri no? Anche perchè, tra l'altro, Romanino aveva già dipinto lo stesso tema ad Asola "con maggior rispeto ai nomi e ai testi", asserisce il Vezzoli. Perciò non crediamo sia una questione di erudizione. Riprenderemo il concetto a fine testo. E' curioso andare alla ricerca di quei caratteri definiti da alcuni "misteriosi", "Indecifrabili", "enigmatici". E' una ricerca che ci riserviamo di continuare a livello paleografico, per giungere a delle conclusioni chiarificatrici.
I Profeti rappresentati dal Romanino all'interno di S. Maria della Neve di Pisogne riprendono forse qualcosa di quelli affrescati all'esterno nei sottarchi da un artista a lui precedente; Romanino sicuramente vide quei soggetti. Ciascuno dei Profeti è accompagnato, come le Sibille, dal proprio cartiglio e di tutti si può leggere il nome ed è stato riscontrato qualche errore (Giona avrebbe le parole appartenenti a Gedeone). Ma cerchiamo di fare un ripasso anche in merito ai Profeti. "Profeti sono detti quei personaggi che, per ispirazione divina, sono in grado di predire eventi futuri". A queste figure molto importanti sono intitolati sedici Libri nel Vecchio Testamento; quattro Libri sono dedicati rispettivamente a Isaia, Geremia, Daniele ed Ezechiele (considerati i Profeti "maggiori") e dodici ai Profeti "minori": Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria e Malachia. A questi se ne aggiungono altri, come Elia, Abramo, Mosè, Davide e Giovanni Battista.
Generalmente l'iconografia dei profeti è quella del mezzo busto oppure in piedi, vestiti con tunica e pallio, con sulle spalle gli apostoli, protagonisti del Nuovo Testamento (a ciascun Apostolo era generalmente attribuito un articolo del Credo; ad essi facevano contrapposto altrettanti profeti). Molto frequente trovarli entro medaglioni, come all'esterno di questa chiesa. All'interno invece i Profeti sono a figura intera, accoppiati ad una Sibilla e probabilmente ad un Apostolo che era ritratto nei tondi sottostanti. "Attributo fisso dei Profeti è il libro o il cartiglio con le prime parole di un passo biblico che li identifica, spesso scelto in riferimento alla futura venuta di Cristo. Alcuni di loro, sulla scorta di Mosè, hanno sul capo le corna divenute simbolo di sapienza. L’intento tipologico, cioè di mostrare come nel Vecchio Testamento fossero già prefigurati gli eventi narrati nel Nuovo, guida tutta l’iconografia che riguarda i profeti, detti, per questa ragione, precursori. Le loro storie sono infatti costantemente lette quali “figure” cristologiche" [18].

Fig. 26. La Sibilla Libica e il Profeta Malachia (si leggono bene entrambi i loro nomi)

Fig. 27. Il Profeta Abacuc

Fig. 28. Il Profeta Osea, straordinaria raffigurazione connotata da una posa di grande tensione, con il capo completamente ruotato verso la parete, tanto che è impossibile vederne le sembianze


- Pubblicato in questo sito il 10/03/2020 da Marisa Uberti (testo e foto non possono essere copiati/incollati senza autorizzazione e/o citazione delle fonti)
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