Il MIracolo dell'Acqua nella chiesa dei SS. Fermo, Maurizio e Procolo (BG)

                                                                  (di Marisa Uberti)

 

La chiesa di cui ci occupiamo oggi è forse poco nota al grande flusso turistico, vuoi per la sua posizione defilata dalla città Alta e dal centro nevralgico di quella Bassa, vuoi perché spesso è chiusa. Tuttavia chi ha la volontà di cercare luoghi un po’ insoliti e carichi di storia, può trovare soddisfazione vistandola, e per più di un motivo. Situata nella zona orientale di Bergamo, non distante dal Cimitero Monumentale e a due passi dalla Questura, anticamente l’area era nota come Plorzano, nel borgo di Sant’Andrea (oggi S. Caterina), in aperta campagna e fuori dalle mura cittadine. La struttura è circondata da un’alta muraglia su tutti i lati, che lascia tuttavia in vista l’ingresso, collocato lungo la via Santi Maurizio e Fermo.

Si tratta dunque non di una semplice chiesetta ma di un grande complesso che comprende, oltre all’edificio di culto, un giardino, un chiostro e una corte rustica la quale, essendo di proprietà privata, non è accessibile al pubblico, salvo godere di autorizzazione. La chiesa e parte delle sue pertinenze sono gestite dal 1970 dalla Comunità di San Fermo, un gruppo laico di formazione cattolica cristiana. Grazie alla loro presenza la chiesa e la sua storia continuano a vivere e ancora oggi viene celebrata la S. Messa (per gli orari, vedi calendario nel link indicato). Abbiamo avuto la fortuna di trovare aperta la chiesa una domenica pomeriggio, poco dopo il pranzo. La struttura ci ha sempre attratto ma per varie ragioni non eravamo mai entrati; conoscevamo tuttavia la sua storia, strettamente connessa con quella del “miracolo dell’acqua”, di cui tra poco racconteremo, che ha per protagonista un sarcofago di pietra, ma non un'arca qualunque...

 

  • Il culto dei Santi Fermo, Rustico e Procolo

 

Diversi luoghi si contendono il possesso delle reliquie di questi santi[1], attorno ai quali ruotano tradizione, devozione, credenze e leggende. L’agiografia dei santi[2] ricorda sempre insieme Fermo e Rustico (variante di Maurizio?), martiri cristiani di origine africana, secondo alcuni, che sarebbero arrivati in Italia e, per questioni religiose in tempo di persecuzioni, furono imprigionati a Verona. Qui avrebbero ricevuto il conforto di Procolo, vescovo della città, con cui divennero amici. Dopo la morte dei due martiri, pare per decapitazione (sotto Massimiano, III secolo d.C.), sarebbero stati sepolti da una delegazione di bergamaschi. Il culto si sarebbe presto diffuso oltre i confini veronesi e il 4 gennaio 855 dei mercanti bergamaschi avrebbero trafugato le reliquie da Verona, nascondendole presso Plorzano a Bergamo (dove doveva esservi già una chiesuola?). Quante e quali reliquie non è chiaro, e nemmeno dove le deposero. Perché non portarle in città? Esisteva già il sarcofago in loco (che vediamo ancora oggi)? A chi era appartenuto? O traslarono da Verona arca e reliquie insieme? Quest’ultima fomanda troverebbe risposta affermativa in più di una cronaca di scrittori bergamaschi (che i Veronesi smentiscono), di molto posteriori all’epoca in cui si sarebbero svolti i fatti.  Si capisce facilmente che l’intera questione si basa soprattutto su tradizioni popolari.

E S. Procolo? Prima di morire, il vescovo veronese avrebbe espresso la volontà di essere sepolto nella medesima arca dei suoi due amici martirizzati e, stando ad alcune memorie di autori bergamaschi, questo sarebbe realmente avvenuto. A tal fine fu tramandata anche la leggenda secondo la quale i corpi di Fermo e Rustico si sarebbero prodigiosamente scostati tra loro, per fare posto a quello dell’amico vescovo. L’arca avrebbe quindi contenuto i corpi dei tre uomini. Nonostante sia una storia affascinante, non si ha alcuna certezza che le cose siano andate così; anzi pare che Procolo sia stato sepolto in altro luogo e che, un secolo dopo il supposto furto dell’arca, fosse ancora a Verona. Tuttavia, nell’arca di Bergamo i corpi erano sicuramente tre nel 1575, quando S. Carlo effettuò la sua Visita Pastorale.

Un’altra tradizione narra che Fermo e Rustico fossero bergamaschi (appartenenti alla nobile famiglia Crotta) e non africani; sarebbero morti comunque a Verona, poi sepolti a Cartagine. Qui le loro spoglie sarebbero state riscattate durante il regno longobardo da Annone, vescovo di Verona, e portate nella chiesa di San Fermo Maggiore con grande solennità. I due documenti principali che tramandano la tradizione sono la Translatio ss. Firmi et Rustici (seconda metà dell’VIII secolo) e il Ritmo Pipiniano (VIII-IX secolo). La festa di S. Fermo e Rustico è il 9 Agosto.

 

  • Presenze pagane

 

E’ stato appurato che nell’area dell’attuale monastero di S. Fermo a Bergamo vi fosse un edificio precedente, perlomeno risalente ai Romani. Quando si è al cospetto dell’antico portalino si nota, sullo stipite sinistro, un blocco di reimpiego di gusto romano: vi sono scolpiti due bucrani e le sue misure sono 115 cm di lunghezza e 30,5 cm di larghezza. Gli studiosi ritengono si tratti di un frammento di altare che potrebbe risalire al 146 d.C. Ma non è l’unica vestigia di un passato pre-cristiano: gli scavi archeologici condotti tra il 1989-1990 sotto il pavimento della chiesa, hanno portato alla scoperta di complesse murature di epoca romana e di una cisterna (visibile al centro della navata, coperta da un vetro). Inoltre è documentata una lapide funeraria appartenuta ad una famiglia romana (che viveva certamente in Bergamo, perché altri reperti trovati in Città Alta la menzionano); il manufatto fu reimpiegato nel paramento murario perimetrale della chiesa. Una serie di ritrovamenti, quindi, che fanno ritenere che qui sorgesse ben più di un piccolo santuario pagano ma una fortificazione o un luogo di sosta lungo la direttrice per Brescia.

L’indicazione di un’ulteriore presenza pagana si trova nel volume del frate Cappuccino Celestino da Bergamo “Vita, martirio, morte e traslazioni delli gloriosi SS. Martiri Fermo e Rustico, nobili bergamaschi della famiglia Crotta” (1607, pubblicato nel 1622). Parlando della traslazione delle reliquie di detti martiri, si afferma che vi fosse già un tempio dove si adorava la dea Pale. Da quanto se ne conosce, Pale o Pales era una divinità agreste, protettrice degli allevatori e del bestiame; divinità oscura, tuttavia, talvolta indicata al femminile altre volte al maschile, e tal’altra come coppia di dei (divinità duale). Celestino Colleoni (1568-1635), noto come frate Celestino da Bergamo (Cappuccino), si sofferma a discutere del fatto che a quel tempo, nonostante Bergamo fosse cristianizzata, rimanessero vive alcune superstizioni (opera del diavolo, a suo dire), “nelle menti rozze e idiote, quali sono per lo più i contadini” (p. 119). Questo lo imputava al fatto, comunque, che certi culti avessero da lungo tempo attecchito nelle campagne, ed era più difficile sradicarli. Cita una sorta di tradizione giocosa, la Zubiana, nome che avrebbe celato il culto alla dea Cibele (“derivato e corrotto da Cibele”, p. 118), che consisteva nel cacciare le fiere con mille strepiti, grida e suoni, i giovedì di marzo. Pratica che il curato avrebbe provveduto a colpire con scomunica.

 

  • Il Sarcofago del miracolo

 

Fu a quel punto che spuntò il sarcofago con i corpi dei SS. Fermo, Rustico e Procolo; si trattava, verosimilmente, dell'arca trafugata da Verona nell'855 dai mercanti orobici (secondo la tradizione bergamasca). Si racconta che il vescovo Gherardo (1146-1167) fosse stato insospettito dal comportamento di una donna di nome Selvatica, ritenuta da tutti indemoniata che, sedutasi inconsapevolmente sul terreno di Plorzano, sarebbe guarita. Il prelato avrebbe iniziato a indagare sul motivo che avesse portato a quell' improvviso rinsavimento e fece scavare sotto quel terreno. Meraviglia fu di scoprire un'arca: era piena d'acqua e in mezzo vi galleggiava un fiore, detto del Paradiso (dissero gli autori posteriori), sul fondo riposavano i resti dei SS. Martiri. Era l'11 maggio 1155; da quel momento il vescovo ricevette un’ispirazione dalla Divina Provvidenza: costruire una chiesa e trasferirvi le sacre reliquie[3]. In tal modo cessarono i culti “del diavolo” e i contadini presero a riverire con devozione i SS. Martiri (divenuti protettori anche del mondo agricolo). L’arca con le reliquie sarebbe stata trainata da un paio di buoi, dice fra’ Celestino da Bergamo nel suo scritto, lasciati liberi di fermarsi nel luogo dove collocarla. Queste erano dicerie passate di bocca in bocca, sostiene il Cappuccino, e forse per quel motivo le teste di detti buoi furono scolpite, affinchè non si perdesse la memoria dell’episodio, e ancora al suo tempo quei bucrani “si possono vedere alla sinistra del portale d’ingresso”. Più avanti, lo stesso autore riconosce che il frammento provenga dal tempio dedicato a Pale, dal quale fu tolto e reimpiegato in quella posizione, per “honorato trofeo della vittoria dalli Santi contra ‘l diavolo riportata”. Il pezzo, l’avrete capito, è quello che ancora oggi si osserva incassato nello stipite sinistro del portalino d’ingresso, di cui si è detto precedentemente. I contadini presero l'usanza di condurre gli animali attorno alla chiesa, nel giorno della festa dei santi (come facevano anche prima, attorno al supposto tempio che vi sorgeva).

In seguito, tramanda sempre Celestino da Bergamo, fu fabbricato e congiunto alla chiesa stessa un monastero di monache dell’ordine di San Benedetto, che era ancora esistente al tempo in cui egli scrisse queste notizie. In merito al sarcofago o arca, lo descrisse “alquanto sotto terra in chiesa, a man dritta nell’entrare”; esso era circondato da una balaustra in pietra e, sulla cornice superiore, si leggevano queste parole: “Sanctorum Martyrum Firmi et Rustici e Proculi Episcopi Veronensi Sacra Ossa 1525”. Il Cappuccino a questo riguardo ebbe da ridire, in quanto secondo lui i suddetti martiri non erano veronesi e non era vero che le loro spoglie riposassero a Verona (come sostenuto dai Veronesi), ma appunto a Bergamo. A livello storico-documentale la prima notizia della presenza di un monastero di San Fermo (“in campis”[4]) è contenuta in una Bolla di papa Anastasio IV del 19 marzo 1154[5] e in una pergamena datata febbraio 1156, in cui il Vescovo di Bergamo Gherardo concede alla Badessa di San Fermo alcuni possedimenti. Se la Bolla pontificia è del 1154, doveva già esistere un cenobio dedicato a San Fermo nell'area e soprattutto non potrebbe datarsi al 1155 il ritrovamento dei corpi dei Santi, che avrebbe poi indotto il vescovo a fondare la chiesa ad essi dedicata. In questa faccenda storia e mito sembrano intrecciarsi continuamente.

Di fatto, comunque, era un cenobio di monache benedettine, eretto probabilmente tra l’XI e il XII secolo nell’ambito della fioritura monastica che, sotto l’influenza di Cluny, coinvolse l’ordine di S. Benedetto. Dopo il 1156 ne parlano altri documenti, tuttavia gli scavi archeologici hanno messo in evidenza che – dopo l’insediamento di epoca romana – venne eretta una chiesa paleocristiana, di cui si sa poco o nulla. La chiesa romanica, già esistente nel 1156, aveva dimensioni dimezzate, rispetto a quella odierna. Lo testimoniano i resti dell’abside e porzioni dell’antica pavimentazione. La chiesa che vediamo oggi dovrebbe essere il frutto dei lavori di ampliamento effettuati dalle benedettine tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, epoca in cui allargarono anche il monastero, dotandolo di un chiostro, e la realizzazione del campanile. Questa mossa, da parte delle monache, doveva servire contro la scelta dell’autorità ecclesiastica che le voleva scacciare da lì perché il convento, trovandosi in aperta campagna, era esposto ai pericoli. All’arrivo di S. Carlo Borromeo, però, per la sua visita apostolica del 14 settembre 1575 (giorno dell'Esaltazione della Croce), non ci fu scampo: egli decretò il trasferimento delle otto suore presenti al monastero cittadino di San Benedetto e quello delle reliquie nella cattedrale, dove tutt’oggi si trovano. Vi fu molta opposizione a questo decreto, da parte delle monache e da parte degli abitanti della zona, che si sentivano defraudati delle sante spoglie dei Martiri. Vennero scomunicati ma non desistettero; dovette intervenire il corpo militare per fare eseguire gli spostamenti disposti da Carlo Borromeo. L’Arca rimase al suo posto, vuota, nella chiesa. Le reliquie furono desposte in un'arca lignea che veniva aperta con tre chiavi, nella cattedrale cittadina. Il 20 agosto 1588 furono prelevati una costa e un osso della spalla (di quale dei tre corpi?) e collocati in un'urna che venne donata alla chiesa di Caravaggio, di cui San Fermo e Rustico sono i patroni.

 

  • Il "Miracolo dell'Acqua"

 

Il monastero fu chiuso e andò trasformandosi in una casa colonica mentre la chiesa andò incontro a inevitabile degrado. Tuttavia la popolazione locale e qualcuno proveniente da zone limitrofe si riuniva in chiesa, la sera dell' 8 agosto (vigilia della festa dei Santi Fermo e Rustico), per assistere alla liturgia tenuta dal confessore del monastero urbano di San Benedetto (dov'erano confluite le monache per ordine di S. Carlo). Questi riceveva dalla Badessa la chiave per aprire la cancellata in ferro battuto che proteggeva il sarcofago rimasto vuoto; veniva aperto soltanto quella sera, richiuso -dopo la pulizia- il 10 agosto e la chiave riconsegnata alla badessa. Fu così che ci si accorse di un fatto prodigioso: all’interno del sarcofago di pietra che conteneva le reliquie dei martiri si formava dell’acqua, senza che vi fossero infiltrazioni o umidità. Non era acqua piovana ed era taumaturgica! Di quale quale strano fenomeno si trattava? E quand’era iniziato? San Carlo, che faceva annotare nei minimi dettagli le proprie ricognizioni, non ne lasciò scritto, ma autori come il già citato Celestino da Bergamo (1607) e il Muzio (1612) ne parlano. Cerchiamo, come sempre, di capire qualcosa di più di quello che è passato alla storia di Bergamo come “il miracolo dell’acqua”.

Dalle ossa dei santi martiri Fermo e Maurizio e da quelle del vescovo Proculo (sepolto in mezzo agli altri due, dicono le cronache) pare sgorgasse fin dalle origini quest’acqua trasparentissima, pura, che a noi fa pensare alla “manna”, [7]sostanza acquosa che è notoriamente collegata alle sepolture di alcuni santi, come San Nicola di Bari (basilica omonima a Bari[8]), S, Andrea Apostolo (Amalfi), San Pomponio (Napoli); San Felice (Nola, NA); S. Matteo Evangelista (Salerno); Santa Caterina de’ Vigri[9] (Bologna); beata Beatrice II d’Este (Ferrara), di cui ci siamo occupati in un’altra sezione di questo sito, anni fa. In tutti i casi si narra che quest’acqua o manna abbia poteri taumaturgici. Chimicamente è un’acqua praticamente pura che si origina con un meccanismo ignoto; la fuoriuscita di questo liquido può essere continua o ad intervalli più o meno regolari; può trasudare dai sepolcri e perfino dalle ossa di alcuni santi. Sono state scartate ipotesi di umidità e/o capillarità delle pietre e quindi, per le conoscenze attuali, questo sembra un fenomeno senza spiegazione plausibile.

Tornando al caso dell’Arca dei Santi Martiri di Bergamo, sulla presenza della manna nel sepolcro le fonti tacciono almeno fino alla fine del 1500. Si inizia a parlare del “Miracolo dell’Acqua” intorno al 1600, quando le reliquie erano ormai state traslate in Cattedrale e il sepolcro era dunque vuoto. Ma, racconta fra’ Celeste Colleoni, la gente alzava il coperchio il giorno della festa dei Santi, che è il 9 Agosto, e vi trovava molta di quell’acqua! A volte anche durante l’anno. E’ per questo che S. Carlo, facendo la sua Visita Pastorale il 14 Settembre, non l’avrebbe trovata? L’Arcivescovo, tuttavia, non avrebbe mancato di accennare ad un fenomeno tanto curioso e prodigioso come quello, se già si verificava; sebbene egli non vi avesse assistito personalmente,  altri lo avrebbero messo al corrente e l’avrebbe verbalizzato. Frà Celestino specificava poi che l’acqua non poteva entrare da sotto, perché l’avello era un monolite privo di aperture; inoltre era tutto murato, attorno, e si poteva accedere soltanto con una chiave, di cui abbiamo già accennato, che il confessore riceveva dalla badessa di S. Benedetto. In quel periodo, era in possesso del reverendo p. Regazzoni, che non la cedeva a nessuno e giurava di non essersi mai sognato di versare acqua nel sepolcro o di avere autorizzato qualcuno a farlo; tra l’altro, il sarcofago era coperto da un pesante coperchio ad acroteri, come vediamo ancora oggi. Veniva aperto da alcuni fabbri grazie ad attrezzi (un argano?) la sera dell' 8 agosto.

Il sarcofago con il suo coperchio ad acroteri, semi-interrato come lo si vede ancora oggi, visitando la chiesa

 

In particolare, il fenomeno risaltò in tutta la sua singolarità nell’anno 1604, in cui l’estate fu caldissima, con arsura prolungatasi per quattro mesi, che aveva prosciugato anche alcuni pozzi. Ma nell’arca vi era molta acqua limpidissima e freschissima. La sua peculiarità era il potere di sanare le malattie come le febbri alte, ad esempio. Un padre cappuccino, Valerio da Pontevico, imbevve di quell’acqua la propria corda del saio e, tornato nel suo convento, ne diede da bere poche gocce a chi, tra la gente della sua comunità, avesse bisogno e furono tutti sanati. Chiaramente queste testimonianze provengono da un religioso, frà Celestino da Bergamo, che considerava il fenomeno di natura soprannaturale e voluto da Dio. Non si poneva problemi di tipo scientifico, tanto per chiarire. Accenna al fatto che il fenomeno fosse già presente quando le ossa stazionavano nell’arca, come da tradizione popolare; nell’anno 1600, 1601 e 1602 non si verificò, ma nel 1603 e 1604 l’Arca fu ritrovata piena di Acqua. Considerati tanti  e tali prodigi, il reverendo padre Regazzoni ordinò che si tenesse in venerazione l’Arca che aveva contenuto i corpi dei SS. Martiri. Frà Celestino, nella sua dissertazione, ipotizzava che potesse essere rimasto un capello, una goccia di sangue, la polvere delle ossa, un qualsiasi reperto appartenuto a loro, che mantenesse le medesime virtù dei Santi stessi e quindi capace di operare grazie, miracoli, guarigioni, del corpo e dell’anima, in chi con devozione si accostasse all'arca e pregasse quei martiri che per secoli erano lì dentro giaciuti (e avevano santificato l’area). Arrivò a chiamare l’arca “la bottega di medicine per ogni sorte d’infermi, e del corpo e dell’anima, copiosissima fonte perenne di curazioni, rimedio certo e sicuro flagello contro i demoni” (sembra tornare, nel cappuccino, lo spauracchio delle eresie pagane, equiparate al diavolo).

Questo concetto sembra essere bene ricordato nel bellissimo dipinto del Cavagna, Il MIracolo dell'acqua che sgorga ogni anno dall'arca  dei santi Fermo, Rustico e Procolo, che un tempo era nella chiesa rurale di cui stiamo parlando, poi fu trasferito nel monastero urbano di S. Benedetto, dove tutt'oggi si trova. Una piccola scena, nell'opera, ritrae un esorcismo, in cui un demone lascia il corpo di una delle monache.

 

In alto, la Vergine con Bambimo (affiancata da S. Benedetto e S. Scolastica) osserva i Santi Fermo e Rustico (con la palma del martirio) e Procolo vescovo (in abiti episcopali) mentre una moltitudine di persone si avvia alla processione per la festa dei santi (sullo sfondo il monastero prima dei restauri settecenteschi; a sinistra dell'edificio - per l'osservatore - si svolge la scena dell'esorcismo). Ci sono anche gli animali e i fedeli tengono in mano l'ampolla in cui c'è l'acqua miracolosa (una donna la tiene sul capo). Nella parte inferiore del dipinto, alcune persone stanno scendendo verso l'arca, dove il confessore versa l'acqua nel contenitore di vetro; altre stanno dietro la balaustra, chi con in mano una fiaschetta, chi una tazza. A destra un padre sta dando da bere l'acqua prodigiosa al figlioletto che tiene in braccio. Il contenitore di vetro entro cui si versava la preziosa manna era chiamata bossa di lira o pestone; veniva anche usato un vaso chiamato volgarmente cassa o sedellino (secchiello). usati erano pure semplici bicchieri o boccali.

 

Nel 1676 le benedettine fecero restaurare l'affresco, ancora oggi visibile, situato sulla parete sopra il sarcofago; occupa tutta la lunghezza della cancellata di ferro battuto, essendo lungo 4 metri (è alto 1, 80 m). L'opera fu restaurata da Giuseppe Cesareo, che lasciò la propria firma su un cartiglio appeso ad un albero. Anche in questa rappresentazione, si nota un demone che si allontana dalla scena (sulla sinistra in alto).

Le ossa traslate nella cattedrale di S. Alessandro dopo il 1575 per ordine di S. Carlo Borromeo non trasudarono mai quella manna. Era dunque nel sarcofago che avveniva il prodigio che, nel XVIII secolo, avveniva regolarmente. Fu allora che si istruì un processo per verificare l'autenticità delle reliquie, anzitutto, e contestualmente indagare sul fenomeno della formazione della manna. Gli autori del tempo riportano infatti che alla vigilia della festa dei Santi (l'8 agosto), all'intonarsi dell' inno Sanctorum meritis, l'Arca iniziava a riempirsi di acqua, a volte copiosamente, mentre a volte non si verificava proprio. Furono innumerevoli le pubblicazioni sull'argomento, di portata eccezionale perchè l'acqua curava moltissime affezioni e malanni e moltitudini di persone accorrevano ad attingerla. Tra i tanti racconti si ha la testimonianza di una badessa benedettina, Paola Livia Tassi, la quale era ancora una educanda quando vide, l'8 agosto 1698, sgorgare nell'arca una quantità di acqua tale che ne venne distribuita una tazza alle monache del suo istituto e anche a loro educande, che erano ben venti! Al prodigio furono testimoni anche persone scettiche, che poi presero a frequentare la S. Messa che ogni anno si svolgeva in questa chiesa. Le monache se ne erano andate nel 1575 ma il monastero era rimasto proprietà delle benedettine di Bergamo, che pagavano dei fittavoli affinchè continuassero a lavorarvi le terre e un romito, che faceva da custode. L' interno del sarcofago veniva pulito dai frati cappuccini di Borgo Palazzo, che doveva effettuare il lavoro nel giorno di San Lorenzo (10 agosto, successivo alla festa di S. Fermo e Rustico, che cade il 9). In quel periodo, infatti, proprio per il manifestarsi del prodigio, la chiesa rurale si riempiva di persone e venivano celebrate le funzioni. Molte erano le offerte che le monache ricevevano, con le quali dovevano far fronte alle opere di manutenzione della struttura monastica e della chiesa, all'acquisto dei paramenti sacri, ecc. Anche in assenza di introiti, comunque, le monache era tenute a provvedere al decoro di quel luogo, che conservava la santa arca, da cui stillava l'acqua miracolosa.

Nel 1761 Antonio Tommaso Volpi pubblicò una dissertazione sull'argomento, dal titolo “Dell'identità de' sagri corpi de' santi Fermo, Rustico, e Procolo, che si venerano nalla chiesa cattedrale di Bergamo", in cui descrisse l'arca come costituita da un'unico blocco monolitico di duro marmo bianco, di antica fattura, senza fessure nè pertugi dai quali si potesse introdurre acqua. "La grossezza del marmo tutt'intorno è di quattro once, che sugli angoli si raddoppia ed è di otto once. il vuoto dell'arca all'interno di forma ovale è largo un cubito e 3/4 , di lunghezza 4 cubiti e di profondità un cubito e 1/4 di misura ecclesiastica. Un grande e pesantissimo coperchio scavato anch'esso e prominente nel mezzo a forma di volta la chiude" (l'avello misura cioè 182,88 cm di lunghezza, 80 cm di larghezza ed è profondo 57,15).

Del fenomeno si hanno notizie ancora nel 1900. Poi cosa accadde? Non lo sappiamo. Ciò che possiamo dire è che l'arca è ancora nella chiesa, circondata da una cancellata di ferro battuto ed emana intatto il fascino del mistero che per secoli ha racchiuso. Sul pavimento della chiesa si vedono le lastre di vetro che coprono le vestigia del passato, gli edifici che sorgevano in quest'area, prima che venisse costruita la chiesa attuale. Le pareti conservano ancora lacerti di affreschi medievali e pitture rinascimentali; le monofore originarie sono rimaste poche, mentre parecchie sono le modifiche subite dall'edificio, per la cui architettura e arte rimandiamo a guide specializzate, non essendo l'oggetto di questa ricerca.

Le benedettine continuarono ad occuparsi della manutenzione del complesso che, in epoca Napoleonica, venne soppresso, per essere riattivato  con decreto del 4 novembre 1824. Nel 1940 le monache cedettero ufficialmente tutta la struttura alla Parrocchia di Sant’Anna (Borgo Palazzo). La chiesa fu restaurata nel 1958 a cura dell'ingegner Luigi Angelini, mentre il resto del complesso fu ristrutturato nel 1989-1990. Questa, però, è storia recente.

Abbiamo fatto due straordinari passi nel passato, tra antichi culti, tradizioni leggendarie, realtà storiche e una buona dose di mistero. Speriamo vi abbia coinvolto, come è stato per noi...

 


[3] Ma, stando alla tradizione, le reliquie dovevano già trovarsi in questo luogo, nascoste dai mercanti che le avevano trafugate da Verona. Si trattò, verosimilmente, della loro riscoperta, al momento più opportuno?

[4] Noto come Monastero di San Fermo in Plorzano

[5] Nella quale il papa sottoponeva tra l'altro San Fermo alla protezione apostolica e confermava i beni del cenobio, tra cui erano la chiesa di San Maurizio e terre e beni a Bergamo e nel bergamasco, a Plorzano, Strada, Redona, Somvico (Archivio di Stato di Milano, v. Lombardia Beni Culturali, Monastero di San Fermo in Plorzano)

[6] In merito alla presenza delle reliquie dei SS. Fermo, Rustico e Proculo a Bergamo esistono molti scritti, tesi soprattutto a confutare le certezze degli Autori veronesi, che li ritengono ancora in Verona. A tale proposito va detto che l’argomento è oscuro e complesso; nell’Arca di Bergamo quante e quali ossa si trovavano?

[7] Ce ne siamo occupati in altra sezione

[8] Vedasi il nostro video

[9] Ne abbiamo discusso a questa pagina

 

 

Bibliografia:

  • Colleoni, Celestino (frà Celestino da Bergamo) “Vita, martirio, morte e traslazioni delli gloriosi SS. Martiri Fermo e Rustico, nobili bergamaschi della famiglia Crotta”, Bergamo, 1622
  • Spinelli, don Giovanni (a cura di) "Il Monastero di San Benedetto in Bergamo (secoli XII-XX)", vol. II: Parte II Età moderna e Contemporanea (secoli XV-XX), contributi di Laura Pavanello, Paolo Mazzariol, Luigi Airoldi, CSBI, 2007
  • Volpi, Antonio Tommaso “Dell'identità de' sagri corpi de' santi Fermo, Rustico, e Procolo, che si venerano nalla chiesa cattedrale di Bergamo. Dissertazione”, Milano, 1761
  • IBCAA (Inventario dei Beni Culturali, Ambientali, e Archeologici del Comune di Bergamo, Chiesa di San Fermo in Via Santi Maurizio e Fermo (Vincolo n. 43), v. link
  • www.comunitasanfermo.it