Villa Monastero a Varenna (LC)

(di Marisa Uberti)
 
  • Il primitivo monastero dedicato alla Maddalena
Depliants, guide, siti internet possono soddisfare la curiosità di coloro che cercano notizie di questa amena dimora nota in tutto il mondo e troveranno le principali informazioni, quelle cui faremo riferimento anche noi ma vogliamo dare ai nostri lettori qualcosa di meno inflazionato, scandagliando quelle memorie storiche di cui poco si parla ai turisti. Villa Monastero si presenta da sola fin dall'ingresso: non ha bisogno di biglietti da visita perchè è un luogo così carico di bellezza da sembrare paradisiaco. Ma non nacque come una signorile residenza bensì come un monastero, donde il nome che ha ancora oggi. Era dedicato a S. Maria Maddalena, era di fondazione Cistercense (Monastero di S. Maria Maddalena di Varenna dell'ordine Cistercense di San Bernardo) e rientrava nella Diocesi di Milano. Sappiamo che era femminile e la prima notizia documentata è un atto notarile del 30 marzo 1204 [1] ma, a quell'epoca, doveva già essere funzionante. Quand'era stato fondato?
Non si conosce nulla in merito e, cosa ancora più enigmatica, "del monastero di cui parliamo non abbiamo trovato cenno nelle varie pubblicazioni sui monasteri cistercensi, nè ricordo alcuno nel Libro del Censo di Cencio Camerario, in cui sono pur registrate le tasse annuali, pagate dai vari monasteri del lago di Como", scrisse Vittorio Adami nel suo studio "Varenna e Monte di Varenna, Saggio di storia comunale". Milano, 1927. L'autore ipotizzava che il monastero fosse sorto dopo la distruzione dell’ Isola Comacin a (1169), e che potesse essere un’emanazione del monastero dei santi Faustino e Giovita, detto anche monastero di Campo, che era dello stesso Ordine Cistercense e sorgeva a Cristopoli (Isola Comacina. Rimandiamo ad un nostro vecchio ma interessante reportage della nostra visita all'Isola Comacina, quando la vegetazione aveva preso possesso delle rovine; ora ci risulta che sia stata in parte recuperata).
E' storia nota che la distruzione dell'Isola Comacina fu totale: tutti i presidi, le abitazioni, le chiese e le mura vennero abbattute e i sassi dispersi nel lago affinché non potesse essere ricostruita. Il vescovo di Como Vidulfo la scomunicò e Federico Barbarossa imperatore nel 1175 confermò con decreto imperiale il divieto assoluto alla ricostruzione: «Non suoneranno più le campane, non si metterà pietra su pietra, nessuno vi farà mai più l'oste, pena la morte violenta». I fuggiaschi scampati ripararono proprio a Varenna, situata sulla sponda opposta del lago, che per un certo periodo di tempo fu chiamata Insula nova.
Si hanno alcuni atti rogati dalle abbadesse che si alternarono alla guida del monastero della Maddalena di Varenna ma della vita quotidiana è pervenuto ben poco, fin quando il 13 febbraio 1567 papa Pio V emanò una Bolla con cui veniva soppresso. Cos'era accaduto? Lo zampino per la chiusura lo aveva messo Carlo Borromeo, constatato che il numero di monache era esiguo (soltanto sei) ma le motivazioni sarebbero da addebitarsi alla fama non propriamente pudica delle monache, che furono trasferite a Lecco nel monastero cistercense. Che cosa combinavano quelle religiose di tanto sconveniente? Don Lauro Consonni (1934-2017), autore di tante ricerche storiche e parroco pr molti anni a Varenna, ha approfondito la questione. "Suore libertine e di pessima fama" era forse stato un marchio apposto troppo frettolosamente alle monache di clausura del monastero di Varenna.
"Si tratta, a dire il vero, di impressioni tramandate da scrittore a scrittore che illustravano una certa rilassatezza di costumi, tipica del tempo, ma non certo tale da giustificare il termine "libertino" in senso corrente", scriveva don Lauro. Aveva trovato prove che dimostravano il contrario e cioè che le religiose fossero buone, oneste ed operose tanto da indurre il Duca di MIlano, nel 1480, a imporre al referendario del Lago di Como di esonerarle dal pagamento del dazio. Circa un secolo dopo, gli abitanti di Varenna- in occasione della visita pastorale del cardinale Borromeo- gli inoltrarono una supplica chiedendo che le monache osservassero con maggiore rispetto la clausura, poichè erano solite uscire senza licenza dei superiori e accompagnate; inoltre sembra che nel monastero potessero entrare frati e altri religiosi, uomini e donne.
Non sappiamo se la gente parlasse in malafede o meno, ad ogni modo vi era anche un testamento redatto da Giacomo Longhi di Lecco nel 1486, che le suore del tempo avevano accettato: avevano ricevuto in donazione le sue proprietà con l'obbligo di costruire un nuovo monastero nelle sue case in Borghetto di S. Stefano a Lecco. Il convento era stato realizzato ma le monache di Varenna non volevano trasferirsi (visitando il luogo, comprendiamo il motivo!). Il cardinale Borromeo aveva ordinato loro di farlo ma si era creato un forte scontro tra le due parti.
Tuttavia, continua don Consonni: "La tradizione assume poi degli aspetti contradditori quando ci ricorda che San Carlo avrebbe addirittura alloggiato in questo Monastero e che le lenzuola servite per il  suo riposo sarebbero state conservate come reliquie, prima dalle stesse Suore e poi dalla Famiglia Mornico che acquistò il Monastero dopo la soppressione" [2].
Per allontanare le monache dal monastero di Varenna dovette intervenire il papa, motivando la soppressione del cenobio con il rispetto delle norme emanate nel Concilio di Trento. In pratica, rimaste soltanto in sei in quel monastero situato lungo la riva  orientale del lago di Como, si intendeva proteggerle da "huomini malvagi", essendo esposte a pericoli.
Il pontefice dispose quindi il trasferimento delle suore al monastero della Beata Maria Maddalena presso il Castello di Lecco dell'ordine Cistercense, dove esisteva una comunità più numerosa. I beni, i diritti e le penitenze del monastero di Varenna passarono quindi a quello lecchese. Si concluse così la fase religiosa del monastero, che fu abbandonato per breve tempo poichè venne acquistato nel 1569 dal nobile signor Paolo Mornico di Cortenova in Valsassina. L'atto fu rogato dal notaio Giuseppe Belisario de Longhi q. Girolamo di Lecco e vi si possono trovare interessanti riferimenti sulla proprietà e su come era costituita. Aveva molti ambienti al pian terreno, di essi alcuni avevano altri ambienti superiori fino al tetto, altri erano scoperti e diroccati; le porte e le finestre erano senza infissi anche perchè le inferriate e il torchio erano stati portati al monastero di Lecco.
 
  • Il Monastero diventa Villa Leliana, dimora di delizie (XVI-XIX secolo)
Il nobile Paolo Mornico comperò, insieme al monastero, anche le terre e i giardini annessi, i cortili, le fonti, i diritti e le pertinenze al prezzo di scudi d’oro 700, lire 4, soldi 9 e denari 3. Nel prezzo era compresa una pezza di terra ronchiva chiamata Ronco delle monache, che era contigua ed annessa al sedime. L'intraprendente e ricco signore adattò l'edificio a residenza privata, ispirandosi a prestigiosi edifici tardorinascimentali lariani, lasciando però la chiesetta a disposizione dei fedeli perchè riultava ancora funzionante.
Il figlio di Paolo, Lelio (1585-1649) -giureconsulto e podestà di Lecco - profuse molto denaro (28.000 lire imperiali) per eseguire miglIorie e realizzare nuove costruzioni a Villa Monastero che, con lui, assunse il nome di Villa Leliana. Un primo lotto di lavori, cominciati nel 1609, durò fino al 1619: vi furono parecchie trasformazioni e, come scrisse proprio Lelio, fu fatto giardino ove prima era lago.
L'elegante prospetto, su due piani, si affaccia direttamente sul lago. Un'elegante scalea monumentale collega la villa all'acqua. Lo spiazzo antistante l'edificio, costruito a terrapieno, è ornato da balaustre e colonne tortili con un pregevole esempio di fontana barocca a quattro bacini sovrapposti. Vi sono anche delle belle cancellate antiche, delle quali una porta ancora lo stemma Mornico.
 
La simbolica fontana barocca a quattro bacini sovrapposti
 
Dopo un periodo trascorso in guerra, il Mornico tornò a casa nel 1630 e continuò i lavori nella dimora (spese altre 400 lire  imperiali) fino al 1645. L'ex-monastero assunse definitivamente l'aspetto di una lussuosa dimora, testimone del rango sociale raggiunto dalla famiglia. Unici ambienti che Lelio Mornico non aveva atterrato rimanevano le cantine e la chiesa. Nel 1675 i successori di Lelio crearono una Cappella dedicata a Sant'Antonio e la utilizzarono per le tombe di famiglia. Nel 1681 commissionarono a Giovan Pietro Capiago un'importante ancona lignea della Vergine (che si trova ora nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Varenna. Da notare che quest'ultima, sorta nel 1685, fu dedicata originariamente anch'essa alla Maddalena e a S. Antonio da Padova). Oltre alla casa magnifica, vi era il vasto giardino, ricco di piante rarissime e di statue, considerato il più bello del borgo di Varenna (fortunatamente giunto intatto fino ai giorni nostri). Ispirati dalla sua bellezza, gli autori seicenteschi menzionarono spesso la villa nelle descrizioni del Lario e sempre fecero riferimento al fatto che sorgesse su un antico monastero di monache. Per questo ancora oggi il toponimo è rimasto: Villa Monastero. Il poeta seicentesco Luigi Rusca così la decantò nel 1626:
 

Il Monastero

Loco ameno del signor Lelio Mornico

 

Quest’è giocondo porto
Per chi del Lario lago
È di veder belle delitie vago.
L’amenità, il diporto
Il piacer, il diletto,
Tra liete stanze altrui, quì dan ricetto.
Se miri d’ogni intorno
Ciascun mirabil fregio
Di questo bel soggiorno
Dirai, che il vanto, e il pregio
Invola a Pafo, a Gnido
Non di Ciprigna, ma di Cinzia nido;
Nè saprai peregrino
Se sia albergo mortal o pur divino.
 
  • Le trasformazioni del 1800-1900
Le descrizioni dei viaggiatori (soprattutto dei naturalisti) riferivano anche del clima particolarmente mite che consentiva la crescita spontanea di piante come l'aloe, che cresceva sugli scogli da tempi immemorabili e che gli speziali asportavano, approdando via lago. Anche nel Giardino, nella zona meridionale, cresceva questa pianta medicamentosa (già probabilmente nota alle monache), così come avviene tutt'oggi. Dopo la seconda metà del 1700 i riferimenti alla Villa si fecero più rarefatti fin quasi a scomparire all'inizio del XIX secolo.
Circa tre secoli la godettero i discendenti del Mornico, fino alla generazione di Carlo e Lelio (fratelli) che nel 1862 la vendettero all'ing. Pietro Genazzini di Bellagio, non potendo più impegnarsi nell'amministrazione dei loro possedimenti varennesi.
L'acquirente, dopo avere fatto eseguire alcune modifiche, ben presto la rivendette perchè gravato da ipoteca e fu così che la deliziosa villa nel 1872 entrò in possesso della signora Carolina Maumary vedova Seufferheld di Francoforte, che risiedeva a Milano. La nobildonna morì nel 1894 e gli eredi stipularono la vendita della villa con l'industriale tedesco Walter Erich Jacob Kees nel 1897. Questo personaggio fu determinante nel conferire alla residenza l'aspetto che vediamo oggi.
Egli trasformò l'edificio seicentesco in una comoda residenza di villeggiatura, dotata di notevoli comfort (tra cui un impianto di riscaldamento centralizzato), arredandola con mobili ed oggetti che rivisitano gli stili del passato. Dal momento dell'acquisto della villa fino al 1909 l'industriale ampliò il Giardino sia a nord che a sud, portando il percorso - sviluppato in lunghezza - a circa due chilometri verso la frazione di Fiumelatte. Non ci si stanca di percorrerli perchè il paesaggio del lago, che è una costante, concede panorami variegati godibili da terrazzamenti posti livelli diversi. Balaustre delimitano il viale di accesso centrale, che dalla portineria si conclude ad un grazioso padiglione ottagonale che fungeva da kafee-haus.
Notiamo che lungo la balaustra si alternano gli stemmi dei Kees e dei Visconti e diverse statue la adornano. Al viale centrale si collegano secondari vialetti che raccordano i vari terrazzamenti, caratterizzati da una lussureggiante vegetazione costituita da specie arboree e floreali. Sempre al Kees si deve la realizzazione del tempietto circolare, sotto il quale si può sostare all'ombra seduti su comode panchette e rimirare il sublime paesaggio che si proseptta davanti agli occhi del visitatore. Il mix vincente che Kees dosò nella villa è fatto di suggestioni ispirate in parte della sua terra d'origine, in parte da residenze locali come Villa Balbianello a Lenno e Villa Melzi d'Eril a Bellagio; il risultato fu una dimora eccelsa, dall'aspetto abbastanza inconsueto per il panorama lariano. Gli arredi che troviamo ancora oggi furono scelti dal Kees. Nel 1898 egli domandò e ottenne la chiusura della chiesa al culto.
Nei primi anni del 1900 il proprietario acquisì anche un pregevolissimo gruppo scultoreo che si trovava nella villa Galbiati di Cardano in Val Menaggio (dove si trovava ancora nel 1858 e nel 1898, ma nel 1907 non doveva già essere più presente e probabilmente era già stata trasferita a Villa Monastero). Si tratta di un'opera di Tito Comolli dal titolo "La clemenza di Tito" e data al 1830. La morte impedì all'artista di portarla a termine (come recita un'iscrizione alla base: «Morte trasse di mano a Giov. Battista Comolli lo scalpello che preparava questo storico emblema nel 20 dicembre 1830»). La scultura fu terminata anni dopo e nel 2015 è stata restaurata perchè priva della testa.
Il monumento, che costituisce l’ultima opera realizzata dal Comolli, è collocato nel giardino vicino all’ingresso della Villa e descrive l’atto di clemenza dell’imperatore romano Tito nei confronti di Sesto e Vitellia, che avevano congiurato contro di lui. Il soggetto, ispirato dal poeta Vincenzo Monti e tratto da Metastasio, fu musicato da Mozart nel 1791 in occasione dell’incoronazione di Leopoldo II re di Boemia. Si ritiene che Comolli abbia realizzato l'opera spontaneamente su propria iniziativa, forse come omaggio riconoscente nei confronti dell'imperatore Francesco I d'Asburgo dopo essere stato liberato dal carcere nel 1823, sebbene con formula dubitativa, in seguito ad arresto per aver cospirato nei moti insurrezionali filo-piemontesi del 1821.
Nel 1903 lo scrittore Antonio Fogazzaro (1842-1911) scelse di ambientare l'opera "Nadejde" [3] a Villa Monastero, che egli appellò l'Eremo.  Forse fu ispirato da un soggiorno alla villa stessa.

Terminata la prima Guerra Mondiale, nel 1918 la villa venne requisita dallo Stato Italiano come debito bellico perchè di proprietà di suddito straniero. Si dovette attendere il 1925 perchè Villa Monastero trovasse un nuovo acquirente e andò a finire provvidenzialmente nelle mani di un naturalista milanese di origini svizzere, che ne comprese l'importanza dal punto di vista scientifico. Si chiamava Marco De Marchi e, insieme a sua moglie Rosa Curioni, si trasferì portando nella residenza i propri mobili e alcuni oggetti che andarono ad aggiungersi alle raccolte già esistenti. I coniugi effettuarono dispendiosi lavori di ristrutturazione che hanno conferito alla Villa il suo attuale aspetto di dimora eclettica.

  • La Villa diventa Istituto di Idrobiologia e Centro Ricerche

Se si osserva bene l'architrave dell'ingresso principale della Villa, sorvegliato dalle sculture di due leoni bianchi, si notano delle diciture sovrapposte in colore carminio. In particolare si legge: "Istituto Italiano di Idrobiologia dott. Marco de Marchi"; questo si deve al fatto che alla morte del naturalista, la moglie portò avanti il progetto di creare un Istituto per la Idrobiologia a lui intitolato, cosa che si realizzò nel 1939. Il complesso di Villa Monastero venne quindi donato allo Stato Italiano con l’obbligo di conservarlo e adibire la villa ad istituzioni culturali di pubblico beneficio.

Fu così che nel 1953 sorse il Centro Congressi, che ancor oggi accoglie convegni internazionali a carattere culturale e scientifico, tra i quali ricordiamo i corsi estivi della prestigiosa Scuola Italiana di Fisica. La Sala delle Conferenze è ambientata nella ex-chiesa dell'antico monastero. Dell'antico tempio rimane un lacerto di affresco quattrocentesco (Cristo dolente) e il matroneo (visibile dall'interno della Sala). I due grandi vasi in marmo serpentino, il lampadario, le applique in bronzo dorato e le due lampade a globo risalgono al tempo della proprietà Kees.

All'ingresso della Sala Conferenze (ex-aula della chiesa cistercense), a sinistra, notiamo un'acquasantiera a fusto in marmo di Musso intagliato, che è sovrastata- sulla parete- da una lapide con dedica e busto entro un medaglione (opera di Giannino Castiglioni del 1954): è dedicata ad Enrico Fermi, che tenne il primo dei corsi di fisica organizzati da Giovanni Polvani (direttore, a quel tempo, dell'Istituto di Fisica dell'Università degli Studi di Milano e Presidente della Società Italiana di Fisica). La Sala Conferenze è chiamata anche Sala Fermi. La Scuola Italiana di Fisica di Villa Monastero ha ospitato gli interventi di decine di premi Nobel e continua la propria attività ancora oggi [4]. L'Istituto per la Idrobiologia fu inglobato nel CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) nel 1977 e l'Ente detiene tuttora la proprietà dell'immobile e del parco, affidandone la gestione alla Provincia di Lecco, che opera attraverso l'isituzione Villa Monastero. Con riconoscimento da parte della Regione Lombardia, nel 2004 ha aperto al pubblico la Casa- Museo: questo offre la possibilità ai visitatori di entrare nelle quattrodici sale della Villa, distribuite su due livelli.

  • La Casa- Museo
Pur avendo la possibilità di effettuare la sola visita dei Giardini e/o della Casa-Museo, abbiamo scelto di fare un tour che inglobasse entrambi, ovviamente per capire meglio l'insieme, che non può essere disgiunto. Brevemente ne ripercorriamo il percorso, rimandando il lettore alle brochure che si trovano in ogni stanza. Si entra dal Salottino Mornico, che fungeva da studio al tempo della proprietà della famiglia omonima; secondo gli inventari, era una sorta di bilblioteca perchè vi erano raccolti i libri. L'aspetto originario è stato mantenuto, in particolare è interessante il soffitto con lunette perimetrali del XVII secolo, dipinte nel XIX secolo. Gli arredi appartengono al periodo dell'ultimo proprietario, il dr. de Marchi.
Attraverso una elegante porta si accede alla Sala Rossa, nome derivante dalla tappezzeria e dagli arredi neorococò collocati qui alla fine del 1800, al tempo della proprietà Kees, quando veniva utilizzata come salone di ricevimento. La stessa funzione di rappresentanza doveva averla avuta anche al tempo dei Mornico. Bella sala armoniosa, arredata con gusto e dotata di un camino, Alla parete si ammira un arazzo fiammingo settecentesco (scena di caccia al leone).
Tramite un Atrio seicentesco si accede al monumentale scalone. Gli annali informano che al tempo dei Mornico, dietro l'atrio si trovava una sorta di ninfeo ("fontana alla mosaica") sopra il quale, al piano superiore, era posta una galleria passante che doveva condurre ad un'esedra del giardino (che come abbiamo detto, essendo terrazzato, ha vari livelli).
Lo scalone, invece, fu una realizzazione del Kees: è ricco di una varietà di marmi policromi (nero di Varenna, rosso e giallo di Verona, bianco di Carrara, fior di pesco). Per realizzare la scalinata, fu eliminata la fontana-ninfeo.
L'ispirazione per quest'opera fu data al Kees dallo scalone della Biblioteca di Lipsia, che egli ben conosceva (era stata inaugurata nei medesimi anni). Siamo rimasti impressionati salendo lungo l'imponente scalinata, che rende adeguatamente l'idea del suo committente: infatti sono molti i rimandi al mondo germanico colto con pannelli in maiolica in cui sono raffigurati Bach (rappresentante la Musica), Kant (il Pensiero), Helmotz (la Scienza) e Schlueter (l'Arte), il maggior architetto barocco. Completano la magnificenza ornati a rilievo, lampade, gruppi scultorei, vasi, un camino e una importante caminiera. Lasciamo al visitatore la facoltà di approfondire in loco ogni particolare (sono tutti di spiccato interesse).
Si tenga presente che si sale da un lato per accedere alle stanze del piano superiore e si scende, dopo averle visitate, dall'altro lato dello scalone, avendo tutta la tranquillità di poterne ammirare l'architettura e le opere d'arte che lo impreziosiscono. Giunti al piano rialzato si accede alla Camera Sud-Est o Sala Kennedy, che fu la camera privata di Carlotta Kees, moglie di Walter Kees. I mobili non sono più i suoi perchè quando lo Stato Italiano requisì la dimora, la signora (rimasta vedova) chiese di portarli con sè e le fu concesso. Attualmente nella stanza si trova l'arredamento appartenuto al dr. de Marchi e a sua moglie. Si passa quindi nella Sala del Consiglio che, al tempo dei Kees, era chiamata Sala Verde, forse per via dei colori usati per gli arredi. Particolare il soffitto decorato con pannelli lignei dipinti con i segni dello zodiaco e ornati vari. Il lampadario è in ferro battuto ottocentesco. Il tavolo ovale, con una singolare apertura al centro, è in legno di noce intagliato e intarsiato in essenze diverse e apparteneva al dr. de Marchi. Sui riquadri del piano di appoggio si vedono le iniziali intrecciate dei proprietari, oltre ad alcuni intarsi simbolici come una stella a quattro punte. A cosa serviva questo tavolo? Intorno ad esso sono disposte delle sedie con lo schienale a cartelle sagomate di tipo lombardo, mentre spiccano due tipi distinti di "seggioloni" costituiti da schienali e sedute in cuoio impresso e imbullettato, con frange (forse di epoca più antica?).
 
 
Meravigliosa la vista sul lago e sul Giardino che si apprezza dalle vetrate che illuminano la Sala. Da questa si avanza nel Salottino, collegato alla Camera Sud-Est e al Salottino Orientale, il cui nome deriva dalla presenza del particolare mobile giapponese. La stanza era originariamente adibita a "Gabinetto", cioè un salottino di servizio utilizzato probabilmente come fumoir.

La successiva Sala della Musica accoglie alcuni pianoforti ma al tempo della proprietà Kees non aveva questa funzione: era chiamato Sala Rossa ed era un salotto riccamente addobbato con quattro porte-finestre e cinque tende con mantovane e un tappeto, oltre agli arredi ancora oggi conservati. Al tempo dei Kees, la Sala della Musica sembra  fosse allestita nella chiesa dell'ex-monastero, che non era più utilizzata dal 1898.

Nella Camera padronale si cambia atmosfera, entrando negli ambienti più privati e intimi della Villa. Questa fu la stanza da letto dei Kees e poi dei de Marchi ma c'è un altro motivo per sentirsi un po' emozionati: in questa camera dormì Enrico Fermi insieme alla moglie, durante la sua permanenza alla Villa in occasione delle lezioni di fisica che tenne nel 1954. Recentemente è stato riscoperto il soffitto affrescato, raffigurante una scena di gusto settecentesco con architetture dalle quali si affacciano vari personaggi. Intorno, dipinti in bianco, si vedono figure mitologiche come capri (sia maschili che femminili). L'opera fu realizzata nel 1853 da artisti lombardi (forse i Turri di Legnano).

Tutti i mobili presenti sono gli stessi elencati in un inventario di inizio XX secolo e constano di un letto a baldacchino, un armadio a tre ante, una toilette, una specchiera portatile, un tavolino, uno specchio sopra il camino con parafuoco, un tavolo, un divano, due poltrone e quattro sedie. Sono mobili pregevolissimi in legno di noce intagliato da abili maestranze, che utilizzarono tipologie neorococò, inserendo puttini e figure femminili a tutto tondo. Gli arredi risultano personalizzati dallo stemma della casata dei Kees (stemma quadripartito con cimieri affrontati, scudo con delfino, fenicottero e leone). All'appello manca una copia del dipinto di Raffaello (la Madonna della Seggiola), citato negli inventari Kees. Al suo posto si trovano tre quadri. I Kees avevano dotato la camera da letto di un moderno telefono portatile, pensate! I de Marchi, successivi proprietari. introdussero un pianoforte, due candelieri in ottone, un cassettone con specchiera, un'elegante psiche (specchiera basculante) in legno di ciliegio, una poltroncina e una sedia.
Il Bagno, preceduto da un ampio antibagno, è spettacolare! Realizzato in stile pompeiano, è noto anche come "bagno di re Faruk" perchè richiama atmosfere orientali. Fu fatto costruire dai Kees nella campagna di lavori intrapresa tra il 1897 e il 1912. Oltre ad essere bellissimo, era dotato di ogni comfort: acqua calda, riscaldato, illuminato da raffinate applique in bronzo dorato. Ogni dettaglio fu curato, come i rubinetti con maniglie a teste di cigno e terminazione del tubo a becco. Alla grande vasca da bagno in maiolica lucida azzurro e blu cobalto, si accede da scalini affiancati da piccoli obelischi in marmo bardiglio e giallo di Verona. La adornano pannelli con nereidi, sirene e motivi acquatici collocati sulla parete di fondo, la cui sommità si conclude con una conchiglia centrale e pinnacoli angolari. Nella stanza è presente anche una seconda vasca, molto meno pregevole, inserita probabilmente per maggiore comodità dai de Marchi.
Ripercorsa la monumentale scalinata, si raggiunge nuovamente il pian terreno. E' la volta di visitare la Sala Nera, che era l'altro salone di rappresentanza (il precedente - la Sala Rossa - è disposto simmetricamente, a destra dell'atrio di ingresso, come abbiamo visto). I Kees la utilizzavano come sala da pranzo. I ricchi arredi, compresi gli arazzi e la tappezzeria, sono originali dell'epoca della famiglia tedesca e lasciamo al lettore di seguire la brochure distribuita in loco, che è molto precisa nelle indicazioni.
Posta ai piedi della scala che conduce nella zona della loggia dell'ex-chiesa monastica, troviamo la Sala del Bigliardo, definita da alti pilastri di marmi vari e stucco dorato, con capitelli decorati con piume di pavone tra ornati vegetali. Alla parete vi è un ritratto fotografico dell'ultimo proprietario della Villa, il dr. Marco de Marchi, che la abitò fino alla morte (15 luglio 1936). Usciti da questa sala si può accedere alla Sala Conferenze o Sala Fermi, di cui abbiamo già parlato. I magnifici affacci delle varie stanze valorizzano ulteriormente questa dimora, che speriamo di avere minimamente descritto per dare un'idea del patrimonio storico, culturale e naturalistico che racchiude.
Il Giardino Botanico, a bordo lago, è suddiviso in diversi settori introdotti da pannelli illustrativi utili ai visitatori; vi si alternano palme di varie specie, agrumi, oleandri, agavi, yucche, rose Inglesi, peonie multicolori e molte altre collezioni e rarità. Nel 2013 le specie esistenti sono state implementate con più di mille nuovi esemplari. Verso meridione si incontra una darsena coperta, che non manca di suggestionare. Prima dell'arco, a sinistra, si trova un busto togato scolpito, mentre sul muro a destra in alto, una formella scolpita raffigura Amore e Psiche. Nulla sappiamo dell'epoca di questi reperti. Poco più avanti vi è una deliziosa vasca con ninfee e...non sveliamo altro. Dopo tutto questo decantare, non resta che sperimentare dal vivo!
Per deliziare chi ci segue abbiamo preparato anche un video che permette di ammirare Giardini e Villa in tranquillità.
 
(Autrice di testo e foto: Marisa Uberti. Vietato copiare/incollare senza autorizzazione e/o citazione delle fonti). Inserito il 10/06/2020.
 
Bibliografia e sitografia:
 
  • Adami, Vittorio, Varenna e Monte di Varenna, Saggio di storia comunale. Milano, 1927
  • Adami, Vittorio, Il monastero di Santa Maria Maddalena di Varenna. Studio pubblicato nella Rivista Storica Benedettina, anno XIII, Vol. XIII, fasc. 57 del 31 dicembre 1922
  • Consonni, don Lauro, Quel monastero chiuso da San Carlo, in Varéna seu Insula Nova, Miscellanea varennese, vol. 6, Arti Grafiche Panizza, Mandello sul Lario, 1990. L'articolo è stato pubblicato sul Resegone, n. 22 del 3 Giugno 1997
  • www.villamonastero.edu
  • https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1n080-00023/
  • Le notizie deglii nterni sono state ricavate direttamente in loco
 
[1] Steso in Bellagio dal notaio Giovanni della Piazza in cui Ugerio di Bonardo di Insula Nova, vende ad Arnaldo di Cantono alcuni beni posti in Varenna, fra i quali una vigna che possiede in vicinanza del monastero costruito in Varenna
[2] "Quel monastero chiuso da San Carlo", in Varéna seu Insula Nova, Miscellanea varennese, vol. 6, Arti Grafiche Panizza, Mandello sul Lario, 1990. L'articolo è stato pubblicato sul Resegone, n. 22 del 3 Giugno 1997
[3] E' la storia di una sventurata fanciulla di famiglia nobile e corrotta, che si suicida nel lago di Como, ammaliata da suggestioni mistiche e per salvare le anime dei dissoluti genitori