L'enigmatico sito archeologico di Monte Cala a Lovere (BG):

castelliere protostorico o fortificazione del XV secolo?

(a cura di duepassinelmistero)
 

 

Raggiungere la meta

Raggiungiamo il luogo con lo spirito che ci caratterizza: la sana curiosità. Vogliamo cercare di capire e non abbiamo preconcetti. Vogliamo farci un'idea di questo interessantissimo sito, fortunatamente recuperato grazie ad un Bando del 2010 per la promozione di interventi di valorizzazione del patrimonio archeologico lombardo. L'area è situata a N-O della cittadina di Lovere, in zona boschiva a circa 300 m s.l.m, lungo le prime propaggini del Monte Cala, su un poggio chiamato Ronchi [1]. Coordinate geografiche: latitudine 45°48’55” N, longitudine 10°03’50” E. I cartelli indicatori aiutano senz'altro a trovare la direzione corretta e si può arrivare con l'auto fino ad un certo punto, dopodichè si deve trovare un parcheggio e proseguire esclusivamente a piedi. Sappiamo che dobbiamo arrampicarci un po' in salita (Via Castelliere) la quale, dopo il primo pezzo, non è più asfaltata ma sterrata, con sassi e ciottoli (munirsi di scarpe da trekking e abbigliamento comodo, nonchè acqua).
Lungo il percorso ci si può imbattere negli atletici scalatori poichè oltre l'area archeologica, verso i cosiddetti "Corni di San Giovanni", si trova una palestra di roccia. Di tanto in tanto ci voltiamo indietro a guardare il panorama sul lago, che si fa sempre più strepitoso. Ai lati del sentiero si ammirano muretti a secco e a destra una bella villa con terreno di pertinenza che (sapremo dopo) comprendeva anche l'area del "castelliere". I muretti a secco, ben ordinati e di notevole estensione, recingono le coltivazioni terrazzate moderne, e proseguono una tradizione antica. D'Improvviso scorgiamo un cartello e avvistiamo l'ingresso del sito: restiamo meravigliati da quella che sembra l'entrata ad una camera! E' sormontata da un'architrave monolitica appoggiata e incastrata nel resto della muratura a secco.
Una tecnica che abbiamo già visto nell'architettura arcaica, questa è la prima impressione. Avvicinandoci allo steccato e guardando all'interno, notiamo una finestrella sul lato corto rivolto verso il lago. Qualche abbozzo di vegetazione, in certi tratti proliferante, invade lo spazio tra i blocchi. Cominciamo a leggere la descrizione riportata sui pannelli didattici, che si incontrano in tutta l'area archeologica; ci servono elementi per capire quali strutture stiamo di volta in volta osservando. Un grazioso ponticello ligneo consente di immettersi nel livello sopraelevato e di avere quindi una visuale della camera che abbiamo visto per prima (e che ora è sotto di noi). Il sito si sviluppa a gradoni su una linea di massima pendenza orientata verso S-E. Alzando lo sguardo restiamo estasiati dal panorama sul lago e sulle montagne circostanti: appare sempre più evidente che il complesso dominasse l'intera valle sottostante, controllandone tutte le vie di terra che portavano in Val Camonica e ai passi alpini. Ci aggiriamo tra le vestigia archeologiche, accompagnati dai pannelli che ci stanno rivelando molte notizie, documentate da rilievi ortofotografici, disegni e mappe catastali napoleoniche e austriache, immagini degli scavi eseguiti in situ che, lungi dal confermare l'impressione arcaica che si ricava dall'insieme, hanno portato a risultati opposti.
  • Un sito del XV secolo
Secondo gli archeologi che hanno eseguito gli scavi nel sito, infatti, non vi sono dubbi: i reperti ceramici venuti alla luce sono di epoca tardo-medievale e l'analisi del tessuto architettonico fa loro ritenere che qui esistesse il campo (o uno dei campi) in cui l'esercito di Pandolfo Malatesta [2] organizzò l'assedio alla città di Lovere nel 1414, in diretto contatto con quello che doveva essere il punto più debole della cinta muraria e lungo la direttrice di accesso alla Rocca di S. Giovanni che da tempi ben più antichi costituiva il caposaldo nel controllo del territorio. La Rocca era stata eretta in una posizione strategica e nel punto più elevato del Monte Cala, a dominio del lago Sebino (Iseo), posta a crocevia tra la Val Cavallina, la Val Borlezza e la bassa Valle Camonica. A cagione di questo territorio conteso, con Brescia  vi erano stati numerosi contrasti a partire almeno dal Mille. E 'indubbio che Lovere abbia conosciuto insediamenti preistorici e prostorici ma le loro tracce non si trovano qui: sepolture (con relativi corredi) e villaggi sono stati scoperti in località Dos Pitigla (verso Castro) e nell'area del Castello (attuale piazza Vittorio Emanuele II).
 
La Torre Civica svetta in piazza V. Emanuele II, sul luogo di Castelvecchio
 
Una vastissima necropoli romana è poi emersa in pieno centro storico (peccato sia stato tutto ricoperto e, al momento, non risulti visitabile). Nel Medioevo la cittadina era dotata di un efficace sistema di fortificazioni, appetibile per la sua eccellente posizione, punto-chiave dell'Alto-Sebino, fiorente per la produzione di lana e attiva nei commerci. Schierata con i ghibellini, filo-imperiale e filo-viscontea, quando divenne possedimento del Malatesta (1408), questi cercò in ogni modo di ingraziarsela, concedendole un privilegio nel 1409. Ciò non servì a modificare le simpatie dei loveresi per i ghibellini e i Visconti di Milano, cui guardavano come loro signori e alleati. Ma Pandolfo III non voleva certo perdere questi territori e, in tale clima, nel 1413 scoppiò una ribellione dei loveresi e dei camuni contro di lui. Il Malatesta fu pertanto costretto a muovere guerra aperta ai Visconti e, durante la sua campagna per il consolidamento della propria egemonia sui distretti bergamaschi e bresciani (in modo particolare sulla Valle Camonica), pose un campo di assedio a Lovere, proprio nel luogo in cui ci troviamo. Oltre ai dati archeologici, sono state condotte ricerche d'archivio, che hanno confermato registrazioni di taglie imposte per l'esercito contro Lovere e Valle Camonica nel 1414. Il 3 Novembre la città capitolò. Lorenzo Scano di Gandino, notaio, tramandò che a Pandolfo andarono il castello, il paese e il dosso di San Zenone (Giovanni) e vi fu un grande saccheggio. Una tradizione narra che dopo il saccheggio, il Malatesta accese una candela e concesse agli abitanti il tempo di andarsene prima che quella si spegnesse, pena la morte. Il paese venne poi diviso in due, una parte venne venduta a Castro, una seconda (per 800 ducati) agli abitanti della valle Seriana. Le due parti furono definite dal segno di una croce inciso sotto l'involto del Portico delle Beccarie. Recente è il ritrovamento di documenti che confermano la leggenda (il passaggio del possesso di Lovere da Gasparino Guarinoni di Gorno a Pecino Guarinoni).
I Loveresi tornarono nelle abitazioni solo nel 1419, quando il Malatesta fu sconfitto dai Visconti, tornando nei suoi possedimenti romagnoli e marchigiani. Non fece più ritorno in terra lombarda.
 
La bellissima Torricella circolare (XI secolo) si trova al vertice nord-occidentale delle mura (oggi quasi completamente scomparse) su un'altura prospicente il lago. Faceva parte del sistema difensivo di Lovere e fungeva da controllo per l’avvistamento e la segnalazione. Dalla Torricella si dispiegava un passaggio segreto, un cuniculo che portava sino al lago. Attualmente è sormontata da una croce e per poter accedere all'area bisogna chiedere il permesso alle suore del Santuario delle Sante Capitanio e Gerosa. E' comunqu ben visibile portandosi in Via Torricella, anche con l'auto
 

Opinioni diverse

Va detto che non tutti concordano con la datazione proposta dagli archeologi (i quali si basano sulle prove che trovano). Il primo studioso a usare la definizione di castelliere fu l'architetto L. Cottinelli [4], il quale produsse una pianta in scala molto dettagliata del luogo; egli ritenne di avere individuato un villaggio fortificato attribuibile all'età del Bronzo. Diversi decenni prima di Cottinelli, tuttavia, fu un erudito locale a ipotizzare la vetustà delle rovine di poggio Ronchi, don Gino Scalzi, conservatore dell'Accademia Tadini di Lovere per quasi cinquant'anni;  fu lui a sottrarre i resti archeologici alla fitta boscaglia che li avviluppava.  Egli pubblicò su "La Voce di Lovere" (Bollettino parrocchiale), n. 3, anno 1948, n. 6 firmandosi d.G.S., il primo di una serie di articoli (fino a tutto il 1950) praticamente sconosciuti ai più [5], in cui citò per la prima volta il "Castelliere", includendolo nella storia antica di Lovere e attribuendolo non ai Celti ma agli Etruschi.
In epoche recenti due eminenti ricercatori dell'I.N.A.F.,  la prof.ssa Silvia Motta con la collaborazione del prof. Adriano Gaspani (Osservatorio Astronomico di Brera), tra il 2013 e il 2014 hanno eseguito un'accurata indagine archeoastronomica [3] in cui si considera che: "Per una datazione del “Castelliere”, considerati i possibili raffronti con tipologie costruttive simili dell’area camuna, per esempio il Castelliere di Dos dell’Arca situato esattamente sulla sponda opposta del lago, si può ipotizzare una appartenenza cronologica di tale struttura ad un periodo compreso tra la fine del II millennio a.C. e gli inizi del I a.C.". Appropriatamente si parla di "castelliere", nel testo, poichè questo è il termine con cui si indicano le strutture fortificate d'altura di quel periodo; erroneo è invece chiamarlo "castelliere" se ci si riferisce ad un complesso architettonico medievale o rinascimentale. Tuttavia, andando in loco, i cartelli indicatori riportano "castelliere", salvo poi specificare- sul pannello informativo di presentazione all'area archeologica - trattarsi di insediamento fortificato denominato "castelliere" e, più sotto, "campo di assedio malatestiano del 1414".
Motta e Gaspani, nel già menzionato lavoro, hanno concluso che "Dall’analisi archeoastronomica risulta chiaramente che il criterio di costruzione del Castelliere è stato puramente di natura strategica e difensiva, non astronomica. E’ sicuramente probabile, invece, che le popolazioni che l’hanno utilizzato si siano servite delle vette e delle selle naturali delle montagne di fronte per calendarizzare le stagioni per fini agricoli e simbolici. Le feste servivano da indicatori rituali e sociali del cambio stagionale; si può quindi supporre che fosse proprio la levata eliaca di talune stelle a determinare la data nel corso dell’anno della loro celebrazione. Erano anche il modo per tramandare oralmente le conoscenze astronomiche acquisite da generazioni e che avrebbe permesso di continuare ad adottare una suddivisione dell’anno che corrispondeva meglio alle loro necessità agricole e di allevamento" (v. nota 3).
  • Cosa sappiamo?
Il problema non è quindi la funzione del sito, sulla quale anche gli archeoastronomi concordano, ma è l'antichità dello stesso che, secondo le indagini archeologiche realizzate nelle campagne di scavo del 2013-2014 nell'ambito del progetto di valorizzazione del sito, finanziato da Regione Lombardia [6], non può risalire all'età del Bronzo perchè mancano i reperti ascrivibili a quell'epoca. I saggi di scavo sono stati otto e hanno avuto come obiettivo quello di sondare la presenza di eventuali strutture sepolte (muri, piani pavimentali, livelli d'uso). Le fasi più antiche sono risultate quelle pertinenti ad una strada o un cortile, la cui pavimentazione era costituita da grosse lastre di roccia locale e il cui andamento assecondava la forte pendenza del versante; è emersa anche una canalizzazione per il deflusso delle acque, che affiancava la strada.
"Verso sud è presente una seconda struttura realizzata dall'accostamento di due filari di pietre locali, la cui forma concava e il limite dettato dalla presenza di una grossa pietra sembrano regimare il deflusso delle acque, forse adattandosi ad un alveo più antico" [7]. I blocchi pavimentali furono coperti originariamente da limo e ghiaia, per cercare di compattare la superficie eliminando i vuoti tra i blocchi stessi. Nello strato esaminato sono stati trovati frammenti di laterizio che riconducono ad un'epoca storica. Verso monte la strada probabilmente proseguiva ma questo non è stato accertato perchè non sono stati estesi gli scavi mentre verso sud ne è stato individuato il limite, sebbene non sia chiaro se effettivamente la strada finisse oppure se le lastre che la componevano siano state asportate in tempi imprecisati.
Queste sono dunque le evidenze archeologiche più antiche (ma pur sempre di epoca storica) mentre la fase successiva è costituita dalle strutture difensive, che mantennero l'asse viario e il canale di deflusso delle acque, pur con rifacimenti e risistemazioni. Un muretto a secco delimitiva la strada verso nord.
Per capire meglio come funzionasse il campo d'assedio tardo-medievale di Lovere vi è un apposito pannello che ne spiega - a livello divulgativo- le finalità, l'organizzazione, la struttura. Anzitutto il complesso doveva essere organizzato per alloggiare uomini, animali, attrezzature contingenti; tutto era studiato, sia per le operazioni di offesa che di difesa. Sicuramente richiese l'impiego di personale specializzato nell'allestimento dei siti sui quali doveva impiantarsi il campo di assedio stesso (tali figure erano chiamate, in ambito lombardo, pionieri o guastatori). Nello specifico, gli studiosi sono risaliti a documenti che parlano di un centinaio di specialisti provenienti da Gandino e pare certo che Pandolfo Malatesta abbia personalmente presieduto alle operazioni, seppure non si sa dove risiedesse nel frattempo.
Si dovevano controllare le strade, gli accessi, e dovevano esistere più campi. C'è da ritenere che questo territorio avesse focolai ancora ostili agli assedianti: i loveresi potevano godere di una rete di capisaldi. Inoltre andava attentamente valutata la geo-morfologia dell'area, ubicata proprio sotto la montagna e con un rischio di caduta massi: forse per questo la parte sommitale del campo aveva muri di notevole spessore, a scopo protettivo (sia dai massi che da eventuali attacchi perchè sulla cima era situata la Rocca). Questo muro era dotato di un piccolo portale inserito nella muratura stessa e vi poteva entrare una sola persona per volta, tramite un percorso tortuoso. Un sistema a terrazze caratterizzava il terreno contenuto in questa cerchia; ciascun terrazzamento poteva ricevere acqua indipendentemente dagli altri tramite una canalizzazione realizzata a monte. Il sistema a terrazze digradava quindi lungo il versante, dove trovavano posto i padiglioni e le tende per gli accampamenti e i depositi.
I terrazzamenti furono creati per scopi agricoli, ma essi sono appannaggio di un periodo recente (fine 1700/inizio 1800). Stando proprio all'indagine archeologica, è emerso tuttavia che alcuni dei terrazzi presenti all'interno del perimetro fortificato furono costruiti strutturalmente insieme alle possenti murature difensive. Non esistono altresì, ad oggi, dati stratigrafici relativi all'imponente opera di terrazzamento presente a valle e a sud del sito archeologico.
Il campo di Monte Cala restò attivo diversi mesi, fino alla capitolazione degli assediati.
Ai piedi della piccola scala in pietra e successivamente al suo abbandono, fu demolita una porzione della muratura per scopi agricoli: il muro, che sicuramente era molto più alto, fu smontato e ricoperto di terra per una larghezza tale da creare un accesso funzionale alle attività agricole dei terreni [8]. L'utilizzo dell'area a scopi agricoli ha creato alterazioni del sito archeologico, che non risulta di agevole lettura.
Nel XIX secolo nell'area -come dimostrano la mappa catastale napoleonica (1814) e austriaca (1844) - vi era una casa con un piccolo spazio aperto di pertinenza. L'edificio sfruttò alcune parti della muratura appartenuta al sistema difensivo tardo-medievale come i resti di un piccolo edificio rettangolare realizzato immediatamente all'esterno dell'ambiente interrato il quale venne utilizzato come cantina/magazzino, nella nuova costruzione. La soglia della casa e i muri perimetrali del piccolo spazio aperto tra la casa e la strada sono stati messi bene in evidenza e le parti recenti si possono riconoscere per la presenza della malta come legante, del tutto assente nelle strutture militari precedenti. Le pietre usate per il nuovo edificio quasi sicuramente sono di reimpiego: la loro dimensione è notevole, soprattutto se si osserva la porzione sporgente di muro verso meridione;  una grossa pietra infissa verticalmente nel terreno reca i segni del cardine della porta che doveva immettere nel giardinetto da nord.
 
Permangono, a nostro modesto avviso, alcune perplessità di fondo, che potranno essere chiarite svolgendo più approfondite indagini archeologiche, anche se importanti scoperte sono state fatte. Chissà in futuro se potranno perfezionarsi le conoscenze acquisite? Il suggerimento ai nostri lettori è di recarsi a visitare questo sito, se vi abbiamo incuriosito. Una volta ridiscesi, è d'obbligo recarsi anche negli altri luoghi "strategici" della bella cittadina: l'area di Castelvecchio, nel cuore della città medievale, la Torricella e l'antica Strada di San Maurizio, che conduce al convento dei Francescani, in posizione mozzafiato con vista lago e con la bellissima Cappella di S.Pietro, situata all'esterno, lungo la via di pellegrinaggio e transito. Come dimenticare la Basilica di S. Maria Valvendra, non distante dalla quale è emersa la vasta necropoli di epoca romana. Ma dov'era il coevo villaggio? Avendo tempo a disposizione, si scoprirà una città incantevole, che nasconde ancora i propri segreti.
 
  • Si ringrazia il prof. A. Gaspani
[1] Tale denominazione è tarda; i documenti ottocenteschi citano l'area con il toponimo di "Comarino" e non si sono trovati riferimenti per quello di Ronchi
[2] Pandolfo III Malatesta (1370-1426) fu signore di Brescia per un breve periodo, compreso tra il 1404 e il 1421 e signore di Bergamo e Lecco dal 1408
[4] Cottinelli,L.,1971, Bollettino del Centro Camuno di Studi Preistorici, Capo di Ponte ( Edizioni del Centro), Vol.VI, pp.59-66
[5] Nel marzo 2017 si era iniziata, su Aberara.it la pubblicazione, a puntate, degli articoli di don Scalzi, con il permesso della Parrocchia (scriveva l'autore Marco Vedrietti). Una gran bella iniziativa, di cui abbiamo reperito  la prima parte nell'archivio della rivista telematica, e la seconda parte nel numero del 17 novembre di quell'anno. Ce ne sono ancora, immaginiamo, ma perchè non vennero più pubblicate?
[6] Coordinamento e direzione dello scavo archeologico d.ssa Maria Fortunati- d.ssa Cristina Longhi (Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia)
[7] Pannello in loco, Lo scavo archeologico
[8] Pannello in loco, Le attività agricole