Il Parco dei Laghi Fossili di Sovere (BG)

Archivio naturale di Pianico-Sèllere
(Marisa Uberti)
 
  • Il Sentiero della Foresta fossile
 
Sovere[1] è situato nella bassa Val Borlezza, in un punto strategico situato tra il lago d’Endine, quello di Iseo, le valli Camonica e Cavallina. Già al tempo dei Romani era ideale per controllare lo sbocco della Val Borlezza verso la Valle Camonica, centro nevralgico dei trasporti e dei commerci. Il paese è attraversato dal torrente Borlezza[2], il protagonista del nostro racconto: nel corso degli ultimi secoli esso ha infatti inciso la piana di Sovere-Pianico (quest’ultimo è un comune confinante con Sovere) esponendo spettacolari pareti che hanno messo in luce i depositi di un antichissimo lago, sul fondo del quale si depositarono sedimenti per quasi 50 mila anni formando un eccezionale archivio di strati. 

Quello che vi proponiamo in questo articolo è un viaggio indietro nel tempo, a circa 800 mila anni fa, da effettuarsi in una...passeggiata! Ebbene sì, basta andare nel comune di Sovere, a circa 40 Km da Bergamo; ci si porta nei pressi del campo sportivo e si imbocca un sentiero in discesa, che culminerà sul greto del torrente (forra). Durante il percorso si incontreranno da vicino le tracce geologiche che dai giorni nostri ci portano nel Paleolitico Inferiore. I depositi sono oggi noti come “Formazione di Pianico” e rivelano importantissime informazioni sul territorio, sul clima, sulla flora e la fauna preistoriche di questo territorio, ma anche sulle oscillazioni dei ghiacciai e degli altri laghi dell’ultimo milione di anni. L'archivio naturale di Pianico-Sèllere è uno dei siti più importanti per la ricostruzione della storia dell’ambiente e del clima nelle Alpi.

Le pareti della forra non sono altro che i depositi di un lago datato tra 800 mila e 755 anni fa e che oggi non esiste più ma gli strati che sono tornati alla luce (ben 41.000) narrano – come le pagine di un libro – storie di foreste fossili, eruzioni vulcaniche e cambiamenti climatici verificatisi in un lasso di tempo di 50 mila anni perchè la storia narrata dalla parete fossile si interrompe a circa 750.000 anni fa, non perché il lago fosse scomparso, o si fosse riempito, ma perché il ghiacciaio che poi risalì la val Borlezza erose gli ultimi strati sostituendoli con depositi glaciali. 

Il bacino lacustre di Pianico-Sèllere occupa il settore inferiore della Val Borlezza tra Sovere, Pianico e Lovere e una parte si sviluppa nel sottosuolo di Cerete. È separato dal Lago d’Iseo da una profonda forra (orrido del Tinazzo).

Il lago si trovava incastonato nel territorio illustrato dal disegno ricostruttivo; era stretto e profondo, delimitato da versanti più ripidi di quelli che oggi si innalzano intorno a Sovere e Sèllere. Grandi frane si staccavano da questi versanti e alcuni cumuli detritici raggiungevano il fondo del bacino. Tali eventi producevano altri tipi di deformazioni nei fanghi lacustri soffici e ricchi d’acqua (fonte: pannello in loco a Sovere)

 

Tra il XIX e il XX secolo furono fatti clamorosi ritrovamenti fossili che richiamarono scienziati e appassionati da tutta l’Europa, da Stoppani (1857) a Balzer (1893), Sordelli (1896) e Maffei (1924). Nel 1859 A. Picozzi segnalò resti di rinoceronte (Rhinoceros merkii ) durante l’estrazione della marna bianca di cui è ricca la piana di Pianico; l’animale doveva essere vissuto durante un clima freddo ma il ritrovamento di alcune specie vegetali tipiche di climi caldi fece supporre che il lago si fosse formato in epoca glaciale ma avesse continuato a esistere e accumulare sedimenti anche nella successiva epoca interglaciale. Si intuiva – dallo studio della flora fossile (foglie, legni, frutti, polline degli alberi che crescevano nelle foreste intorno al lago estinto) – il carattere interglaciale della vegetazione che fu definita “moderna” rispetto a quella documentata a Leffe in Valseriana (datata al Pliocenico, 5-2,86 milioni di anni fa). Un contributo di grande valore alla conoscenza della paleoflora dell’antico bacino lacustre fu Ferdinando Sordelli che a più riprese (dal 1874 al 1896) raccolse, descrisse e catalogò numerose specie presenti nelle cosiddette “marne” di Pianico; egli redasse minuziosi disegni di foglie e frutti e si rese conto della differenza sia con le flore plioceniche che con quelle attuali. 

Le informazioni le raccogliamo cammin facendo, grazie a una cartellonistica (totem) posizionata sull’orlo del terrazzo fluviale, prima della discesa al fiume (purtroppo mancano invece indicazioni proprio dove c’è il campo sportivo, cosa che non guasterebbe al visitatore, specie se forestiero e non pratico del posto). 

Il primo pannello è situato sul primo terrazzo fluviale: era l’antico alveo del Torrente Borlezza (320 slm) al termine dell’ultima glaciazione (17.000 anni fa) 

 

Imboccato il sentiero ci ritroviamo già in vista del torrente, che scorre nella sua gola a diversi metri sotto di noi. Ai lati del sentiero si dovrebbero vedere varie tipologie di massi (conglomerati, grossi blocchi provenienti dalla Val Camonica e portati fin qui dal ghiacciaio che risaliva la Val Borlezza; quindi sabbie giallle e livelli fini formatisi in un laghetto), tuttavia abbiamo usato il condizionale perché tutte le pareti sono coperte da fitte reti che impediscono l’osservazione (probabilmente applicate per mettere il sentiero in sicurezza e impedire la caduta dei massi, come vedremo nella parte finale di questo articolo).

L’ambiente è però decisamente suggestivo: in quel momento eravamo gli unici a percorrere il sentiero, assaporando il piacere della scoperta, di un’esperienza nuova. Il silenzio interrotto dal rumore dell’acqua del torrente, i raggi del sole filtranti tra le fronde, camminando dove un tempo c'era un lago... Alzando lo sguardo ci si sente osservati dalle cime delle montagne ma il cielo azzurro conforta e sprona a proseguire i nostri due passi nel mistero. A circa metà percorso si apre una radura, una distesa prativa (306 m slm) che è il terrazzo intermedio dove il torrente Borlezza scorreva poche migliaia di anni fa. Proprio in questo prato nel 2007 fu praticato un buco profondo 80 metri nella “Formazione di Pianico”, senza mai raggiungerne il fondo. 

Proseguiamo e cominciamo a vedere i depositi dell’antico lago; fatti pochi metri si è già nel fondovalle, sul greto del torrente e la sensazione di trovarci in un posto particolare è fortissima. Ci guardiamo intorno e restiamo estasiati, con la curiosità che ci contraddistingue. Dalla parte opposta a dove ci troviamo osserviamo una parete chiamata La Palazzina con i suoi spettacolari strati. Fu in quest’area che venne scoperto lo scheletro di un cervo, oggi conservato al Museo di Scienze Naturali di Bergamo Alta.

Nel fondovalle si trova un’area sosta con totem informativi che consentono di capire che cosa ci circonda: gli strati fittissimi che sono visibili sulle rocce della forra potrebbero infatti non dire nulla al turista inconsapevole ma si badi che ci troviamo al cospetto di centinaia di migliaia di anni raccontati da questi strati, che si differenziano per due colori: chiaro e scuro. Le esposizioni più spettacolari si trovano nei settori di maggior curvatura dei meandri del torrente, laddove era maggiore l’erosione laterale.

Va ricordato che nel corso dei secoli le pareti scavate dal torrente Borlezza erano state ricoperte da vegetazione e questo "calendario di pietra" rimase sconosciuto a tutti. Senza la dovuta manutenzone, però, il rischio è che la natura se ne riappropri

 

Occupiamoci della vertiginosa parete situata sul lato dove siamo scesi: 50 metri di verticalità chiamati “Sezione Muro”. Qui sono depositati fossili appartenenti a varie successioni di diversa età, incastrate l’una dentro l’altra e separate da depositi glaciali e interglaciali. I sedimenti più antichi hanno uno spessore di 105 m e appartengono a una complessa e lunga successione lacustre (Formazione di Pianico, che comprende depositi lacustri indentati con depositi di versante cementato). La parete attualmente visibile e oggetto di studio è alta dieci metri ed è composta da 41.600 strati che, due alla volta, si sono depositati ogni anno per ventimila anni di seguito. Le coppie di strati si riconoscono da una differente colorazione: scura per gli strati depositatisi in inverno e chiara per quelli depositatisi durante la stagione calda. Noteremo infatti che la parete nella parte inferiore è bianca mentre superiormente è grigio-chiara. Ciò, spiegano gli studiosi, è il risultato di brusche variazioni climatiche che influenzavano l’apporto di materiale nel lago.

I depositi chiari sono sottilissimi strati deposti con ritmo stagionale sul fondo di un lago caldo, limpido e profondo; tali depositi prendono il nome di “varve”: è stato trovato un banco di 20.800 varve chiamato Banco Varvato Carbonatico (BVC) e noi possiamo vederne le ultime 7.000 iniziando dalla base. Le varve bianche ci parlano di un clima temperato caldo, compatibile con foreste di latifoglie dense intorno al lago. I depositi grigi si deposero invece nel lago divenuto freddo e torbido per l’arrivo di detrito minerale (questi depositi prendono la denominazione di Membro di La Palazzina). Le varve più scure raccontano di un clima temperato freddo, dove crescevano foreste di conifere dense (un millennio di clima fresco). Gli strati grigi non varvali appartengono ad un clima temperato freddo con foreste rade. Ogni varva ha uno spessore di circa1 mm, che è maggiore nel caso di un apporto detritico invernale abbondante. Molto interessante è un livello grigio-azzurro visibile al di sopra di uno strato nero: si tratta di cenere vulcanica datata 780.000 anni fa. Incredibile! Da dove arrivava questa cenere? Non è tutt’ora stato individuato con certezza il vulcano ma doveva trovarsi a centinaia di chilometri: si è pensato a un vulcano – oggi spento- del Massiccio Centrale Francese, oppure a un vulcano spento laziale.

Su questa parete possiamo notare degli strati “arricciati” (strati piegati): le varve subirono frane subacquee (quando erano ancora ricche d’acqua, si sono accorciate e arricciate, deformandosi per compressione causata dalla spinta di un movimento di versante)

 

Bellissimi paesaggi naturalistici, oltre che geologici, nella forra del Borlezza

 

Non è più possibile avvicinarsi alle pareti di roccia (a meno di avere autorizzazioni per motivi di studio e ricerca) perchè è avvenuta una frana, alcuni anni fa, di cui si vedono ancora i segni. Lungo la Sezione Muro, dove non ci si più avvicinare, nella parte alta - al di sopra degli strati grigi lacustri piegati dalla spinta del ghiacciaio dell’Oglio[3] –si offre al visitatore un vero e proprio libro, un archivio che mostra la storia della Val Borlezza dopo che il lago di Pianico-Sèllere scomparve: sette depositi differenti si susseguono uno sopra l’altro e in ciascuno di essi è eternato un pezzo di geologia e climatologia.

Tra i limi sabbiosi grigi stratificati appartenenti alla sezione Membro di La Palazzina (nel livello t28) fu trovato, nel febbraio 2000, lo scheletro di un cervo acoronato (Cervus acoronatus), la prima specie di cervo comparsa in Europa. Dapprima due ricercatrici, Clara Mangili e Sabina Rossi, individuarono un osso nei sedimenti lacustri sulla scarpata destra del torrente Borlezza; l’osso fu poi riconosciuto come pertinente alla zampa destra di un erbivoro, la quale era stata erosa dal torrente. L’intero scheletro giaceva ancora nel deposito! L’anno successivo gli esperti del Museo di Scienze Naturali di Bergamo effettuarono le operazioni di scavo e recupero della preziosa carcassa, che dal 2012 è esposta in una apposita sala del museo poiché risulta essere l’unico scheletro completo di cervus acoronatus noto in Italia. Il cervo si trovava in uno strato più recente rispetto alle varve (più in alto), che significa che visse dopo la conclusione del BVC, circa ottomila anni dopo (intorno a 762.000 anni fa), quando una foresta di latifoglie copriva la Val Borlezza e il clima era mite, ma non caldo come nel periodo delle varve.

Il bacino è rimasto oggetto di studio per i soli addetti ai lavori per molti anni, fino a che, nel 2000, il ritrovamento del cervo fossile fece aumentare l’attenzione; intorno al 2013 si arrivò alla creazione del Parco dei Laghi Fossili, dotato di pannelli illustrativi, QR Code e- per chi volesse- guide adeguatamente preparate. Si può comunque accedere al Sentiero della Foresta fossile in autonomia. Nel 2021, dopo alcuni anni di chiusura a causa di una frana che lo aveva reso inagibile, il sito è stato oggetto di ingenti interventi di messa in sicurezza, che ne hanno consentito la riapertura al pubblico[4]

Il luogo cela ancora altri aspetti da sondare e conoscere, pertanto torneremo per ulteriori approfondimenti, magari con qualcuno di voi che ci sta leggendo.

L'autrice nella forra del Torrente Borlezza

 

Bibliografia e sitografia:

 


[1] Il territorio comunale è composto dalle frazioni Piazza e Sellere, sulla sinistra orografica della valle, e dal nucleo abitativo di Sovere. Questo a sua volta è formato da due borghi posti sulle opposte rive del torrente Borlezza: il borgo San Martino, posto sulla destra orografica, e il borgo San Gregorio sulla sinistra.

[2] ll Torrente Borlezza è un affluente del Lago d’Iseo (187 m s.l.m.), nelle Alpi Bergamasche (Alpi Sudorientali). Un ramo del Borlezza nasce con il nome di Torrente Gera sul Monte Pora (1879 m s.l.m.), un altro dal Pizzo della Presolana (2521 m s.l.m.), una delle vette più alte delle Prealpi Calcaree Lombarde. Il bacino idrografico del Borlezza (136 km2) si divide nettamente in due segmenti: (a) il settore superiore si apre in una ampia conca orientata NW-SE, con i principali centri urbani di Castione della Presolana e Rovetta; (b) il settore inferiore, che indichiamo come Val Borlezza propriamente detta, orientata NW-SE. Tra i due segmenti il torrente cambia nettamente direzione all’altezza di Songavazzo. Fonte: Parco dei Laghi Fossili di Sovere, il territorio https://www.parco-laghifossili-sovere.it/il-territorio-della-val-borlezza.html

[3] Le pieghe che si osservano sono il risultato della spinta esercitata dal ghiacciaio che fluiva da est verso ovest, dalla Val Camonica verso l’Alta Val Borlezza , molto tempo dopo la formazione del lago

 

(Foto di Marisa Uberti; pubblicato il 26/03/2024)