Sesto Calende

                                                                  dai culti pagani all' "Ufo" di Mussolini

 

                                                                                    (Marisa Uberti)

(Bellezze e Misteri della Valle del Ticino)

 

Sembra incredibile ma, ottimizzando i tempi, anche due giorni possono rivelarsi un tesoretto. La domenica ci dirigiamo a Sesto Calende, una perla bagnata dal Ticino e prossima al lago Maggiore. Data la posizione, ha rivestito un ruolo di primissimo piano fin dalle epoche più remote. Il nome si riferisce alla distanza da Somma Lombardo, infatti deriva dal latino (ad) sextum (lapidem), ossia “presso la sesta (pietra miliare)". La specifica Kalendarum si riferisce alle Calende, con riferimento al periodo in cui si teneva il mercato (wikipedia). Siamo venuti qui principalmente per visitare il Museo Archeologico e completare discretamente il quadro della  Cultura di Golasecca,  di cui il giorno precedente abbiamo visitato la Necropoli del Monsorino.

Sito nell’ottocentesco palazzo Comunale di Piazza Mazzini, il Museo espone circa un migliaio di pezzi (dal III millennio a.C. al Medioevo); particolare, però, conserva reperti della Cultura di Golasecca: oltre ad oggetti di uso comune, monili, ecc. , viene offerta la ricostruzione di ciste litiche in cui veniva posta l’urna cineraria (i golasecchiani cremavano i defunti) con tutto il corredo che, a seconda dello status dell’individuo, era più o meno ricco. Ad ogni modo, ciò permette di capire che i Golasecchiani credevano nell’aldilà. Sono anche ricostruite ipotizzabili abitazioni dei celti di Golasecca, in capanne di cui sono stati ritrovati i fondi, in alcuni casi (Golasecca, Sesto Calende, Castelletto Ticino).

Interessante la tomba del Tripode, appartenuta ad una donna di rango, vissuta agli inizi del V secolo a. C. Come molto interessante il caso di un bicchiere con due iscrizioni. Come, si dira? I Celti non scrivevano! Eppure in questa tomba era presente un bicchiere recante. Sul bordo, una serie di segni alfabetici tutt’oggi indecifrati. Forse si riferiscono al nome della proprietaria? Strano è che si trovino, tra l’altro, due bicchieri in questa sepoltura, perché nelle tombe di Golasecca è sempre stato trovato un solo bicchiere. La peculiarità di una tomba golasecchiana era infatti quella di avere un’urna decorata, una ciotola usata come suo coperchio, un bicchiere accessorio, eventuali monili o armi.

A Sesto Calende furono scoperte due tombe chiamate "del Guerriero" (I e II). La prima Tomba del Guerriero venne in luce casualmente nel 1867, quando un contadino -arando- fu intralciato da qualcosa che emergeva a circa due metri dalla superficie del terreno. Erano ciottoli e sassi che erano stati messi in antico a protezione di una sepoltura, di cui si ignorava l'esisstenza fino a quel momento (la zona era detta "Castiona" ed era di proprietà dell'Ospedale Maggiore di Milano).

Il corredo, ancora intatto, si componeva di oggetti di rilievo, facendo supporre che fossero pertinenti ad un guerriero o personaggio di rango della Cultura di Golasecca, databile intorno al VII sec. a.C. Oltre al classico set (composto da urna, ciotola, coppa con piede cordonato, piede di coppa), vi era un carro a due ruote e alcuni finimenti di cavallo, che accompagnavano il viaggio del defunto nell'aldilà. Insieme a questi reperti di straordinario interesse, vi era una situla in bronzo decorata a punzonatura con fasce e cerchi concentrici alternate ad una teoria di uccelli e un corteo di personaggi e animali simbolici (allattamento, lotta, cavaliere, sacrificio). Queste "decorazioni" non erano frequenti assolutamente tra i corredi dei golasecchiani e pertanto si ritiene che questo "Guerriero" appartenesse ad un clan diverso o comunque che a quell'epoca la civiltà di Golasecca avesse subito influenze rimarchevoli da culture transalpine. Il materiale si trova conservato al Museo Archeologico del Castello Sforzesco di Milano. La seconda Tomba del Guerriero venne scoperta nel 1928, anch'essa casualmente, mentre si eseguivano gli scavi per la palestra dell'Asilo infantile. Conteneva un ricchissimo corredo, tra cui parti di un carro a due ruote, morsi e ganci per redini di due cavalli. Che fosse un personaggio di rango appare fuori di dubbio e l'ipotesi è confermata dalla presenza di un elmo a calotta, punte di lancia, una daga, una situla decorata a sbalzo, degli schinieri avvolgenti di matrice greca. A questo punto sorge la domanda: perchè greci? Gli studiosi ritengono che i Golasecchiani di quel periodo (VI secolo a.C.), fossero venuti a contatto con gli Etruschi i quali, a loro volta, erano in contatto con le Colonie della Magna Grecia. Il materiale di questa seconda tomba è conservato presso il Museo Archeologico di Villa Mirabella a Varese.

Una delle prime cose che abbiamo notato dirigendoci verso il lungo fiume e passeggiandovi, è la presenza di lastre graduate poste in verticale che recano le date delle memorabili inondazioni della città. Effettivamente uno dei fenomeni che è rimasto e rimarrà probabilmente sempre nella memoria degli abitanti sono le inondazioni del lago Maggiore e del tratto iniziale del fiume Ticino, sulla cui riva sinistra è posta Sesto Calende. Al 1177 risale la prima notizia scritta di una piena (chissà quante ancora prima?) e da allora le acque del Verbani lacus si sarebbero alzate di 3 metri, rispetto allo zero convenzionale (m 192,39 s.l.m.),più di sessanta volte. Le tre piene più “memorabili”, dicono gli annali, risultano quelle del 1177, del 1705 e del 1868. Sono quelle, tuttavia, di cui è stata tramandata adeguata informazione, e non è detto che siano state le più devastanti[i]. Il 12 novembre 2014 si è verificata una notevole alluvione, tra quelle più recenti.

Lungo la passeggiata a fiume su Viale Italia abbiamo trovato una bella Triplice Cinta, incisa su una delle poche lastre antiche rimaste nel centro storico (forse proprio a causa delle frequenti inondazioni). Anche la Chiesa parrocchiale, dedicata a San Bernardino, la più vasta della città, è stata completamente ricostruita nel XX secolo, al posto della precedente, che sorgeva in p.zza Garibaldi e che venne abbattuta per ordine del Comune nel 1906 perché pericolante[ii]. A proposito dell’ eroe dei due mondi, sul lungofiume si incontra l’Obelisco Garibaldino, importante ricordo storico dell’epoca risorgimentale perché proprio a Sesto Calende sbarcò con i suoi armati Garibaldi, la notte del 23 maggio 1859, per disperdere lo straniero. Un tempo era anch’esso in  piazza Garibaldi, proprio dietro l’antica chiesa di S. Bernardino. La sua inaugurazione avvenne 6 ottobre 1861;  è in granito rosa di Baveno, ha una base quadrata ed un piedistallo che sostiene una piramide tronca alla cui sommità è posta una stella bronzea a sette punte.  Le quattro sfere di bronzo oggi visibili hanno sostituito i proiettili originari, che erano stati raccolti dopo le battaglie del 1859 contro gli Austriaci e collocati sul monumento.

Sulla pavimentazione abbiamo notato un compasso aperto su un dado che presenta tre facce con i numeri  5, 3 e 2 (totale 10). C’è qualcosa di strano perché normalmente le facce opposte di un dado devono dare 7 e qui non si verificherebbe. Questo simbolismo è lo Stemma Comunale, la cui spiegazione non è del tutto completamente chiara. La presenza del compasso indicherebbe, secondo alcuni, l’Ordine (delle Cose e degli abitanti), secondo altri un sinonimo di compasso sarebbe sesto. Il dado (che alcuni intepretano come “la fortuna”) sarebbe da intendersi come “pietra cubica” di massonica tradizione. A questo punto il compasso potrebbe essere l’immagine del Grande Architetto dell’Universo (Dio). Attendiamo precisazioni dai sestesi.

Proseguendo dalla parte del Ticino lungo la passeggiata che costeggia il fiume, godendo del magnifico paesaggio su Castelletto Ticino, dei colori e della brezza estiva, incontriamo la Strada dell’Ipposidra. 

E’ qui, come ricorderemo per averne già parlato, che le imbaracazioni venivano fatte scendere, sganciate dai cavalli e ricalate nel fiume, per confluire poi nel Lago Maggiore. Siamo nel punto finale dell’antica “ferrovia delle barche”, della quale abbiamo incontrato diverse memorie in questo insolito tour. Più tardi andremo a vedere invece il punto iniziale, a Tornavento. E’ importante che sia rimasto almeno il toponimo, per ricordare il luogo, poiché non ci sembra che sia rimasto altro.

Risalendo la Via dell’Ipposidra, svoltando a destra incontriamo uno spazio di verde pubblico[iii] dove un pannello informa siano stati fatti ritrovamenti di edifici di epoca romana (I- V sec. d.C.), nel febbraio 1977, successivamente indagato con scavi archeologici nel 1984, 1987, 1998. Per le caratteristiche strutturali e la posizione, si ritenne che l’edificio potesse essere stata una mansio (luogo di stazione e punto di scambio di passeggeri e merci sulla direttrice Mediolanum-Verbanus), in un sistema di trasporto a rete che trovava in questi luoghi i primi sicuri e agevoli approdi per intraprendere la navigazione lacuale. Il sito, però, era conosciuto già prima, dalla Cultura di Golasecca, di cui sono emersi i resti di un abitato del V secolo a.C.  Un luogo che per dieci secoli è stato ininterrottamente abitato dall’uomo. Purtroppo dell’area di scavo non si individuano le vestigia come riportate sul pannello (forse non abbiamo guardato bene?). Si riesce comunque a vedere la base di un probabile muro perimetrale ma ciò che ci ha attratto è stata la presenza di una tomba (Golasecchiana?), costituita da lastroni infissi verticalmente nel terreno e tamponata con sassi di fiume (?). Di lato, superiormente, si trova un lastrone che doveva essere il coperchio. Un pannello è stato predisposto ma attualmente è ancora vergine, non contenendo alcuna notizia su questo reperto giacente nel verde pubblico (è delimitato da una semplicissima ringhiera, solo su tre lati, ed è quindi possibile l’avvicinamento).

Recuperata l’automobile, saliamo verso la località denominata un tempo  Scozzola (Scozola) o Scovilla, dove si trovava l’antichissima Abbazia di San Donato, di cui resta la chiesa. Invitiamo a visionare il nostro video, che ci aiuta un po’ ad integrare questo lungo reportage. Proseguendo verso monte e seguendo provvidenziale segnaletica, raggiungiamo il Sentiero delle Meraviglie nascoste. Già dal nome, si tratta di un luogo davvero magnifico, immerso in un paesaggio estatico tra colline moreniche. Ai margini del sentiero e su un poggio erboso si trova, ben visibile, la vetusta chiesetta di San Vincenzo, chiamata anche "dei Re Magi"[iv]. Domina dall'alto il nucleo dell’abbazia di S. Donato, ed è un piccolo paradiso, già noto dalla preistoria e sede di culti ancestrali. Gli archeologi hanno trovato una stratificazione che copre millenni. Una piccola porzione di abitato pertinente alla civiltà golasecchiana (VII- Vi secolo a.C.) è stato rimesso in luce in anni recenti.

Bellissimo l’altare in serizzo di epoca romana dedicato a Diana e a tutte le divinità, che si conserva nel Museo Archeologico. Nella chiesa cristiana era finito a sostenere l’acquasantiera

Su una delle tombe cristiane scoperte sotto l’abside a ovest[v] è stata trovata una lastra di riutilizzo: infatti apparteneva ad una donna di nome Bursula della famiglia romana dei Valerii (l’abbiamo vista al Museo Archeologico). Queste tombe, in numero di 9, sono interessanti anche perché erano state disposte a raggera intorno ad uno spazio vuoto: sembra possibile? No, in origine doveva esservi una sorta di altare o comunque qualcosa di sacro. Le sepolture non sono ad incinerazione come usavano i golasecchiani ma ad inumazione; le tombe utilizzarono lastre squadrate di reimpiego e ciottoli. Nel centro della navata fu scoperta una tomba particolare, alla quale era stato eretto intorno un muretto in ciottoli legati da malta e chiusa con grosse lastre di beola sigillate con abbondante malta. Accanto a questa tomba fu ritrovata quella di un bambino, che aveva sull’addome un guscio d’uovo, interpretabile come simbolo di rinascita. Le particolari condizioni microclimatiche dell’edificio hanno consentito la conservazione di certi reperti, molto importanti per gli studiosi moderni.  Non si sa altro di questo bambino ma la sua doveva essere una sepoltura importante, all’interno di un clan longobardo, come i resti scheletrici hanno permesso di datare.

La chiesetta di San Vincenzo: un tempo l'abside (situato ad est) si trovava dalla parte dell'attuale ingresso (ovest)

La Predja Buja

Addentrandosi per duecento metri nel bosco di fronte alla chiesa abbiamo trovato la stupefacente Preja Buja (Pietra Scura), un masso erratico di serpentinite di dimensioni colossali, circondato da altri massi più piccoli e alcuni recanti graffiti attribuiti all’epoca preistorica. A dire il vero abbiamo individuato bene delle grosse coppelle, perché i graffiti o incisioni che siano sono in parte coperte da muschi e in parte –se non si sa esattamente dove cercarle- introvabili. Il masso, depositato dai ghiacciai, è stato riconosciuto come Monumento naturale regionale di Preia Buia.

La visita di Sesto Calende finisce qui, non prima di aver ricordato come il piccolo borgo sia diventato famoso in tutto il mondo nel campo delle costruzioni aeronautiche[vi]. Venne infatti fondata qui, il 12 agosto 1915, la Società Idrovolanti Alta Italia (SIAI), che ebbe un ruolo importante nella produzione di idrovolanti nella I Guerra Mondiale[vii]. In seguito si fuse con l’Anonima Costruzioni Aeronautiche Savoia e con una società francese. Nel 1922 arrivò l’ingegner Alessandro Marchetti, ideatore dei velivoli più significativi impiegati nella II Guerra Mondiale. Gli idrovolanti prodotti dalla SIAI-Marchetti vennero esportati in tutto il mondo.  Si specializzò anche in aerei terrestri. Dopo la Guerra iniziarono tempi duri, ovviamente, dai quali la ditta riuscì a rialzarsi negli anni ’60, In seguito vi furono fusioni con la Augusta (per farla breve[viii]). Dak 2006 lo storico stabilimento di Sesto Calende è stato riaperto da AugustaWestland come sede della tecnologica Training Academy, in cui si svolge una scuola di volo con modernissimi simulatori.

Il fatto curioso: in uno dei capannoni della SIAI-Marchetti[ix] venne ospitato un…Ufo!? Cerchiamo di capire qualcosa di più. La mattina del 13 giugno 1933 un velivolo non identificato precipitò in una località nei pressi di Sesto Calende (non chiarita ma tra Sesto Calende e Vergiate, che confinano). Il Duce Mussolini, allora capo del governo, venne informato e per suo ordine nessuna notizia trapelò al pubblico; il mezzo e i suoi due occupanti furono trasportati velocemente all’interno di un capannone (poi vedremo quale). Doveva trattarsi di un caso scottante, per richiedere la segretezza che – con la riapertura del dossier dell’Aeronautica Militare - oggi sappiamo venne applicata. Per decenni, di questo episodio che fu forse il primo caso ufologico della storia moderna, non si seppe assolutamente nulla. Lo conosceva una ristretta cerchia di persone che gravitavano intorno agli apparati governativi, chiaramente. Per studiare il “caso”, venne istituito un apposito Gabinetto chiamato RS/33 nell’ambito del neonato CNR, di cui (secondo i bene informati) facevano parte (tra gli altri)  Italo Balbo, Galeazzo Ciano, Guglielmo Marconi. Forse si riteneva che il velivolo non convenzionale e con a bordo due occupanti fosse l’arma segreta di una potenza straniera. Ma cos'era veramente? Qualcuno che assistette all’ ufo-crash naturalmente ci fu (il mondo era abitato anche allora!) e sulla Cronaca Prealpina del 20 giugno 1933 (ma non solo su quella) si parlò di UFO e marziani (argomenti che a quel tempo erano sconosciuti o quasi alla maggioranza delle persone). Tutto venne messo presto a tacere: i documenti sparirono, iniziò un vero depistaggio, un cover-up atto a smontare definitivamente il caso. Che non era mai accaduto. Come si fa a tacitare i testimoni scomodi di qualcosa? Con lo spauracchio e l’applicazione di pene severissime, condanne, ricoveri in manicomio o quant’altro. Dove venne portato  il velivolo non convenzionale ? Giacque nei capannoni della SIAI-Marchetti, ma in quale esattamente? Sempre i bene informati sostengono fosse quello di S. Anna a Vergiate. Dieci anni dopo si doveva trovare ancora lì e lì vi restò ancora a lungo. Durante la II Guerra Mondiale, un capannone dello stabilimento di Vergiate bruciò (17 marzo 1943), l’altro venne bombardato una decina di volte. Restò indenne quello di Sesto Calende, risparmiato dai bombardamenti alleati. C’era un motivo? Si può ipotizzarlo ma non vi sono certezze. Finita la Guerra, intorno agli anni ’50, gli stabilimenti della SIAI-Marchetti vennero occupati dalle forze alleate della US Air Force, per la manutenzione degli aerei militari. Tutte le casse finirono negli Stati Uniti. C’erano anche quelle con i pezzi del velivolo sconosciuto? E che fine avevano fatto i corpi dei due occupanti morti nell’impatto? Erano tre le persone che sapevano del contenuto di quelle casse, ma una morì suicida e le altre due ebbero un incidente in mare. Se sia tutto un complotto, è bene articolato, ma anche se non lo fosse: una trama avvincente. Per chi come noi vorrebbe soltanto conoscere la verità senza speculare, chissà se verrà mai il momento; per ora ci accontentiamo di seguire l’ingarbugliata vicenda attraverso lo scrupoloso lavoro di ricercatori del settore[x].

 

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[i] Per approfondimenti si suggerisce il seguente lavoro, scaricabile gratuitamente dal web https://www.prosestocalende.it/Pdf_libri/Vol_5.pdf

[ii] Nel 1959 è stata ritrovata, in un piccolo vano delle fondazioni dell’antica chiesa dedicata a S. Maria e a San Bernardino,  un’epigrafe dedicatoria pertinente alla fondazione dell’edificio. Reca la data del 29 Aprile 1456 e accanto aveva due ampolline

[iii] Località Mulini Bellaria

[iv] All’interno vi è un affresco in cui è raffigurato san Vincenzo con il gruppo dei Magi ma siccome la chiesa, al momento della nostra visita, era chiusa, non abbiamo potuto documentare di persona

[v] L’abside primitiva si trovava dove c’è l’ingresso attuale; l’orientamento fu poi completamente ruotato

[vi] La prima industria di Sesto fu la fabbrica di cordami di canapa Maioni, che aveva sede presso il vecchio convento e che ha poi ospitato la SIAI-Marchetti. Importante anche l’industria vetraria, che deve le proprie origini alla raccolta dei sassi bianchi del fiume Ticino (cogoli), ma non vogliamo fare torto a nessuna delle altre importantissime industrie fiorite in città

[vii] Una S era la sigla dei velivoli

[viii] Approfondimenti quanti ne volete, sul web, ad esempio www.museoagusta.it/la-siai-marchetti/

[ix] A quel tempo la SIAI-Marchetti disponeva di tre ditte dislocate rispettivamente a Sesto Calende (uffici dirigenziali-amministrativi), Vergiate (produzione), S. Anna di Vergiate (i cantieri che avrebbero poi ospitato la Decima Mas).

[x] Un articolo esaustivo qui